«È necessario attivare da subito le esenzioni previste dalla Direttiva Quadro Acque di fronte ad avvalorati dati sperimentali per impedire che l’applicazione del Deflusso Ecologico dal 1 Gennaio 2022 riduca in maniera drammatica gli accumuli idrici nei bacini montani con gravi ripercussioni per l’agricoltura, l’ambiente e la produzione idroelettrica, nonché l’indotto del turismo».
Si tratta di richiesta urgente che Anbi fa a Regioni e Governo, a fronte degli allarmanti dati forniti dalle sperimentazioni del Consorzio di bonifica Piave e di Enel Green Power, utilizzando il Veneto come area test, perché primo ad aver indicato dei nuovi parametri nell’ambito del Piano di Gestione delle Acque, redatto dalla competente Autorità di Bacino Distrettuale.
Benessere dell’habitat
Il concetto di deflusso ecologico nasce nel 2012 e mira al benessere dell’habitat acquatico, evolvendo i parametri giudicati troppo discrezionali del precedente minimo deflusso vitale.
La sua pedissequa applicazione, cioè senza considerare le complesse interconnessioni delle reti idriche, potrà però avere conseguenze disastrose per i territori come dimostrato dai dati presentati al recente Festival della Bonifica.
Produzioni ed energia a rischio
Secondo Enel Green Power, che ha svolto una simulazione basandosi sui dati di 11 anni, i rilasci previsti dal deflusso ecologico, limitando le riserve d’acqua trattenute nei bacini montani, creerebbero, nel Veneto, un deficit costante nelle disponibilità irrigue, tale da produrre un calo di almeno il 46% nelle produzioni agricole, tra cui le eccellenze del radicchio e dell’uva per il celeberrimo prosecco.
Non solo: si avrebbe un calo di 930 megawattora nella produzione di energia idroelettrica, pari a circa mille piccole centrali e crollerebbe il mercato turistico dei laghi, impossibilitati a trattenere un livello paesaggistico, adeguato alle aspettative degli ospiti.
Possibili gravi conseguenze
Alla presa idraulica di Nervesa della Battaglia, fondamentale per il reticolo di corsi d’acqua che innerva la provincia di Treviso, il volume d’acqua, rilasciata a valle, schizzerebbe da 10,2 a 33,2 mc/sec con indubbi benefici per l’habitat all’interno dell’alveo fluviale, ma minore produzione di energia rinnovabile (se ne perderebbe oltre il 60%) e gravi conseguenze sull’ equilibrio degli ecosistemi, presenti nel territorio.
Cave dai bacini
È indispensabile che, dopo l’urgenza dell’attuale approccio emergenziale, si ricerchino nuovi equilibri fra esigenze produttive e ambientali in aree, la cui fertilità deriva dalle scelte idriche, operate dalla Repubblica Serenissima nel 1400. Servono scelte cogenti per destinare le cave dismesse a bacini di raccolta idrica ed è necessario efficientare il sistema irriguo, trasformandolo da “canalette” a “pressione”, sul 50% dei 51mila ettari attualmente serviti nel trevigiano.
Produzioni compromesse
«Per farlo occorre tempo, ma soprattutto 200 milioni di investimento, lo stesso valore della produzione agricola che, stante le attuali norme sul deflusso ecologico, rischia di essere fortemente compromessa insieme a 30mila posti di lavoro, poiché già l’anno prossimo qui non ci sarà acqua sufficiente per irrigare» afferma Paolo Battagion, direttore del Consorzio di bonifica Piave.
«Mettiamo i dati delle nostre sperimentazioni a servizio della politica, perché apra una trattativa in Europa per sospendere un’applicazione del deflusso ecologico, che sarebbe disastrosa per il made in Italy agroalimentare – afferma Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei Consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi). – La gestione idrica deve essere valutata sulla realtà delle connessioni ambientali, ma anche economiche e sociali di ciascuno Stato e l’irrigazione collettiva italiana è un esempio virtuoso dalle molteplici implicazioni per le comunità.
È necessario intervenire con determinazione a Bruxelles per ridiscutere l’applicazione di una normativa che sta destando molta preoccupazione nel nostro Paese. Al contempo è giusto chiedersi dove erano i rappresentanti italiani quando, dalla Direttiva Quadro Acque del 2000, l’Unione Europea sta percorrendo strade penalizzanti i Paesi del Sud Europa, fortemente minacciati dalle conseguenze dei cambiamenti climatici».