Deflusso minimo vitale, un’emergenza da gestire

Dal 2022, per rispettare la normativa, si dovrà garantire ai fiumi una portata minima maggiore. E nel 2027 si dovranno raggiungere gli obiettivi della Direttiva Acque. In attesa che siano messi a punti una serie di studi sul territorio, si andrà avanti per deroghe

Il 1° gennaio entrerà in vigore la normativa europea sul deflusso ecologico che prevede un maggiore rilascio di portata nei fiumi e conseguentemente un minor prelievo di acqua non solo per l’irrigazione ma anche per impieghi idroelettrici, civili e turistici.

Il Deflusso Ecologico (DE) o Deflusso Minimo Vitale (DMV) è inteso come il regime idrologico conforme con il raggiungimento degli obiettivi ambientali definiti dall'articolo 4 della Direttiva Quadro Acque (DQA), la direttiva 2000/60/Ce.

Un algoritmo inappropriato

Questi deflussi minimi si basano però su calcoli effettuati con un algoritmo calibrato sulle condizioni idrologiche dei paesi dell’Europa centro-settentrionale, difficilmente applicabile in tutti gli altri Paesi. In particolare non possono essere applicati a molti fiumi italiani, soprattutto a carattere torrentizio, che in alcuni mesi dell’anno sono carichi d’acqua (in primavera con il disgelo e in autunno nella stagione delle grandi piogge) mentre in altri sono quasi asciutti.

Rilasciare più acqua nei fiumi, nel rispetto delle nuove portate previste dal Deflusso Ecologico, può voler dire privare d’acqua vasti territori, ridurre la produzione agricola, compromettere ambienti e habitat naturali, distruggere paesaggi di pregio turistico-culturale con ripercussioni sulla ricarica di falda, e sulle risorgive ed i fiumi.

Uno scenario preoccupante

Si prospetta dunque uno scenario di crisi ambientale e occupazionale in modo particolare per una vasta parte del Veneto, a partire dai territori solcati dalle reti idrauliche, che prelevano acqua dai fiumi Piave e Brenta, che risentirebbero pesantemente della diminuzione di risorsa, che dovrebbe essere altresì lasciata negli alvei fluviali.

Consorzi di bonifica, istituzioni, mondo ambientale e  attività produttive  guardano dunque con apprensione alla data del 1° gennaio 2022, allorché, con l’entrata in vigore del Deflusso Ecologico secondo quanto previsto dalla Direttiva Quadro Acque, per rilasciare un quantitativo d’acqua nei fiumi anche 3 volte superiore rispetto all’attuale si diminuiranno sensibilmente i prelievi per le reti di canali, che innervano vasti territori e che hanno sostenuto nei secoli l’ambiente, le attività produttive e un paesaggio di notevole pregio.

Bacino del Piave a rischio

Paolo Battagion

I dati ricavati dal Consorzio di bonifica Piave dimostrano che sull’area del comprensorio (in pratica tutta la provincia di Treviso), se storicamente le stagioni critiche dal punto di vista della risorsa (per critica si intende una riduzione della disponibilità di risorsa maggiore del 20% rispetto alla media) sono 1 ogni 20 anni (l’ultima è stata il 2003), con l’applicazione del Deflusso Ecologico diventerebbero 2 ogni 3 anni con una situazione di grande criticità (una riduzione di oltre il 50% sulla media) ogni 2 anni.

«Il Bacino del Piave, come quelli del Brenta e del Tagliamento – avverte il direttore del locale Consorzio di Bonifica Paolo Battagion – è fortemente artificializzato e a carattere torrentizio e quindi risulta difficilmente gestibile mentre altri, che possono comunque avere problemi, come quello del Po, hanno molto più camera di espansione ed è più facile mantenerli in equilibrio».

Una deroga opportuna

In ogni caso sussiste una possibile deroga laddove il beneficio del mantenimento della deflusso ecologico è inferiore ai danni che questo stesso può provocare.

E Battagion aggiunge che comunque si sta lavorando per riequilibrare la situazione. «Fra le soluzioni più importanti – afferma - c’è la riduzione dei consumi di acqua (stop allo scorrimento e ok alle derivazione in pressione – sia pure con prezzi elevati), una migliore gestione e razionalizzazione dell’uso dell’acqua, e la realizzazione di invasi per il trattenimento dell’acqua utilizzando magari cave dismesse, spesso presenti sul territorio».

Bisogna ragionare a livello di bacino

Francesco Vincenzi

«Abbiamo circa 5 anni – ci spiega Francesco Vincenzi, presidente Anbi (Associazione nazionale dei consorzi di bonifica e irrigazione) – per procurare tutti gli studi necessari per definire il deflusso minimo vitale dei nostri fiumi. Ci stiamo attivando con tutti i Consorzi di Bonifica, Autorità di Bacino e Università per lavorare su questi dati. È importante mettere in evidenza il fatto che non è possibile parlare di singolo alveo fluviale ma le indicazioni devono emergere a livello di bacino per una corretta gestione della risorsa idrica. Altrimenti l’algoritmo studiato per il deflusso andrebbe calibrato sul singolo fiume in funzione delle specifiche caratteristiche».

Gli obbiettivi contenuti nella Direttiva Acque dovranno essere raggiunti entro il 2027 e quindi entro quell’anno anche i deflussi minimi dovranno essere messi a punto. Fino a 2027, dunque si andrà avanti per deroghe.

Rivedere il metodo di valutazione

L’Austria, dal canto suo, ha già deciso che non applicherà il deflusso minimo vitale ma farà delle scelte specifiche sula base delle necessità. Anche molti paesi del nord Europa dove era stato calcolato l’algoritmo su cui si basa l’applicazione della normativa, stanno facendo qualche passo indietro.

«Il cambiamento climatico e le mutate esigenze d’uso – spiega Vincenzi – hanno rimesso in gioco il metodo di valutazione che deve tener conto dell’identità del territorio. D’altra parte la normativa è sempre in ritardo rispetto all’attività di studio e ricerca effettuata».

Dunque scampato pericolo? Forse. L’importante è adesso mettere insieme tutti gli studi sul territorio in modo da sviluppare una politica sociale, ambientale e produttiva che salvaguardi le aziende e allo stesso tempo non deprima il territorio.

Deflusso minimo vitale, un’emergenza da gestire - Ultima modifica: 2021-12-16T17:14:38+01:00 da Alessandro Maresca

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