Green Deal bocciato un’altra volta su rese e redditività

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Secondo Wageningen l’impatto delle strategie Farm to fork e Biodiversità rischia di essere peggiore rispetto al quadro già fosco tracciato dal centro Jrc

Se ne parla da anni e ormai è chiaro. Il cambiamento climatico è un problema sempre più grave e impellente, che bisogna affrontare con un approccio interdisciplinare, a livello internazionale. A questo proposito l'Unione europea ha lanciato il Green Deal. Pur non essendone la causa principale, l’agricoltura è fortemente coinvolta nel riscaldamento globale, sia come vittima che come colpevole. Infatti, secondo le stime diffuse dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il settore agricolo mondiale è responsabile del 14,5% delle emissioni antropiche di gas a effetto serra (7,1 miliardi di tonnellate all’anno), costituite principalmente da metano (circa il 50%), ossido di diazoto (N2O) e anidride carbonica (entrambi per circa il 25%).

Allo stesso tempo, la maggior frequenza di eventi climatici estremi, l’incremento delle temperature medie e i prolungati periodi di siccità incidono negativamente sulla maggior parte dei sistemi agricoli. Come se non bastasse, se non si agirà rapidamente per ridurre le emissioni, questi effetti non potranno che peggiorare in futuro.

Purtroppo i problemi non finiscono qui, perché l’agricoltura gioca un ruolo importante anche in altre questioni ambientali, come ad esempio l’acidificazione e la salinizzazione dei terreni, l’eutrofizzazione delle acque superficiali, il prelievo intensivo di acqua dolce e la destinazione d’uso del suolo. Nel frattempo, la domanda globale di alimenti continua a crescere a causa del forte incremento della popolazione mondiale che, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, nel 2050 potrebbe arrivare a sfiorare i 10 miliardi.

I tempi stanno cambiando

Alla luce di quanto detto, è evidente che nei prossimi anni il settore agricolo dovrà attraversare una transizione verso una produzione più sostenibile (ossia capace di durare nel tempo), riducendo il proprio impatto ambientale e adattandosi ad un ambiente che cambia. A causa della grande complessità e variabilità dei sistemi agroalimentari a livello mondiale, a cui si aggiungono i grandi interessi di tutti gli attori in gioco (dagli agricoltori ai consumatori, dai rappresentanti politici ai produttori di mezzi tecnici per l’agricoltura), questa evoluzione non si prospetta né veloce né indolore. E se si è quasi tutti d’accordo sul fine, non si è affatto uniti nella scelta dei mezzi per raggiungerlo. A tal proposito, l’Unione europea sta puntando sul Green deal, il piano per il raggiungimento della neutralità climatica dell’Europa entro il 2050, che prevede di raggiungere i seguenti obiettivi entro il 2030:

  • la diminuzione del -35% delle emissioni di gas serra;
  • il dimezzamento dell’impiego di prodotti fitosanitari;
  • la riduzione del -20% dell’uso di fertilizzanti e del -50% della dispersione di nutrienti nell’ambiente;
  • il calo del -50% della vendita di antibiotici;
  • il mantenimento del 10% della superficie agricola incolta per la biodiversità;
  • il raggiungimento del 25% della superficie agricola europea coltivata a biologico.

Quest’ultima, secondo i dati più aggiornati (rilevati nel 2019) è pari all’8,5% dell’area agricola europea, con forti differenze tra i vari Paesi dell’Unione. L’Italia è al quinto posto, con il 15,2% in biologico.

L’annuncio del Green deal ha suscitato diverse reazioni nel comparto agricolo, molte delle quali piuttosto scettiche, se non apertamente contrarie. Ma, sì sa, le conclusioni a priori restano solo opinioni personali, mentre per esprimere dei giudizi con cognizione di causa servono i dati. Per questo, alcuni gruppi di ricerca si sono occupati di valutare i possibili effetti di tali misure sul settore primario.

Fonte: Bremmer et al. 2021. Nota: i risultati si riferiscono alla riduzione dell’impiego di agrofarmaci e fertilizzanti unita al mantenimento del 10% dei terreni agricoli incolti

Punti di forza e limiti degli studi

Pochi mesi fa, nell’estate 2021, il Centro comune di ricerca (Joint research center, Jrc) – ovvero il servizio di consulenza scientifica indipendente di cui si avvale la Commissione europea – ha pubblicato una relazione tecnica sulla valutazione dell’impatto delle strategie “From farm to fork” e “Biodiversità”, facenti parte del Green deal europeo.

Data l’insormontabile impossibilità di fare esperimenti scientifici nel futuro, questa tipologia di studi viene effettuata utilizzando dei modelli previsionali. Pur essendo strumenti molto utili per quantificare anticipatamente i possibili effetti di vari scenari, i modelli non possono che essere delle semplificazioni schematiche e parziali di piccole porzioni di realtà. Di conseguenza, proprio per le loro ragioni strutturali, hanno vari punti deboli, tra cui:

  • sono necessariamente impossibilitati a tenere conto delle infinite variabili presenti nel mondo reale;
  • si basano su varie ipotesi che, per quanto realistiche, potrebbero rivelarsi inesatte o incomplete;
  • danno origine a risultati parziali, che non sono “la risposta definitiva” ma solo il punto di partenza dell’analisi del problema, da integrare con più ampie valutazioni qualitative di tipo sociale, economico e politico.

Per fare un esempio: il modello del Jrc non tiene conto dell’eventuale impiego di nuove tecnologie (ad esempio il miglioramento genetico delle colture con le Tecniche di evoluzione assistita, o l’applicazione del digital farming), né dell’adozione di diete più ricche di alimenti vegetali e povere di prodotti animali (una tendenza in crescita in Europa), né tanto meno dell’impatto della riduzione degli sprechi alimentari, che solo nell’Unione si stima ammontino a circa 88 miliardi di tonnellate annue, per un valore di 143 miliardi di euro (Fusions, 2016).

Produzioni giù ma più sostenibili?

Fatte queste doverose premesse, passiamo ai risultati. Secondo la valutazione del Jrs del 2021, la riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari e fertilizzanti unita all’aumento della superficie coltivata in agricoltura biologica e delle aree paesaggistiche ad alto contenuto di biodiversità avrebbe un impatto ambientale positivo, riducendo significativamente le perdite di elementi nutritivi nell’ambiente, le emissioni di gas serra e quelle di ammoniaca.

Il prezzo da pagare per ottenere questi benefici sarebbe la riduzione delle rese e del reddito degli agricoltori con scarti variabili in base alla coltura considerata, che dovrebbero quindi essere controbilanciati con appositi sussidi previsti dalla Pac. Bisogna sottolineare, però, che questa analisi non prende in considerazione i possibili effetti positivi sulle rese colturali derivanti dal potenziamento dei servizi ecosistemici frutto dell’incremento della biodiversità, né tanto meno quei potenziali vantaggi derivati dall’agricoltura biologica che non si riflettono sulle rese colturali.

Un altro punto cruciale da notare è che la riduzione delle rese, se non accompagnata da un calo della domanda, incrementerebbe l’importazione di prodotti alimentari ottenuti in Paesi extra-Ue, possibilmente con impatti ambientali superiori a quelli della produzione europea. Tuttavia, va anche considerato che, stando agli accordi internazionali sul clima, anche altri Paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni.

Più colpite le colture annuali

Più recentemente, nel dicembre 2021, il dipartimento di Economia della celebre Università olandese di Wageningen ha condotto uno studio di valutazione dell’impatto economico del Green deal sulla produzione di cinque colture annuali (frumento, colza, mais, barbabietola da zucchero e pomodoro da industria) e cinque colture perenni (mele, olive, vite, agrumi e luppolo), in particolare sulla qualità e i volumi delle produzioni, sui prezzi di mercato, sul commercio internazionale e sull’uso indiretto del suolo.

Lo studio ha coinvolto 25 aziende agricole in 7 Paesi europei, inclusa l’Italia, ed è stato commissionato da diversi attori della filiera agroalimentare internazionale, tra cui CropLife Europe e CropLife International, associazioni di categoria delle aziende dell’agribusiness (comparto agrochimico, agricoltura digitale e di precisione, innovazione delle biotecnologie vegetali).

Secondo i risultati ottenuti, si stima che la riduzione dell’impiego di agrofarmaci e fertilizzanti unita al mantenimento del 10% dei terreni agricoli incolti potrebbe avere degli effetti collaterali (tab. 1), tra cui una riduzione media delle rese dal -10 al -20%, con differenze tra le varie colture. I cali sarebbero quasi nulli per la barbabietola, mentre potrebbero raggiungere il -30% per le mele. Allo stesso tempo, il prezzo delle mele potrebbe diminuire (-14%).

Rispetto allo studio precedente effettuato dal Centro comune di ricerca europeo Jrc, lo studio di Wageningen ha rilevato un effetto più negativo sulla resa delle colture perenni, mentre i risultati sono simili per quanto riguarda le colture annuali. In generale, le perenni sarebbero più svantaggiate a causa della minore disponibilità di soluzioni efficaci nel ridurre l’impatto negativo dell’attuazione degli obiettivi del Green deal. Di conseguenza, il prezzo di prodotti come vino, olive e luppolo potrebbe aumentare di almeno il +20%, determinando uno squilibrio della bilancia commerciale, con un possibile raddoppio dei volumi delle importazioni e un calo dell’export.

Il campus dell'Università di Wageningen, Paesi Bassi

Meno reddito per gli agricoltori

Considerando uno scenario in cui viene attuato unicamente l’obiettivo di aumentare la superficie di produzione biologica fino al 25% del totale, le rese potrebbero ridursi del -10% e i prezzi agricoli potrebbero aumentare di circa il +13%. Se invece si realizzasse unicamente il taglio del -50% dell’impiego dei prodotti fitosanitari e delle perdite di nutrienti, ci si aspetterebbero delle rese minori fino al -50%.

Dunque, conclude lo studio olandese, con l’applicazione del Green deal la produzione potrebbe ridursi e probabilmente gli agricoltori subirebbero un impatto negativo sul reddito poiché i ricavi tenderebbero a diminuire, eventualmente superando la riduzione dei costi dovuti al minore uso di prodotti fitosanitari e fertilizzanti. L’impatto sui commerci europei potrebbe essere significativo, causando un aumento dell’import e una riduzione dell’export.

Ma anche in questo caso, prima di prendere come oro colato quanto riportato è bene fare delle considerazioni aggiuntive. Come nello studio del Jrc, anche in questo caso non è stato tenuto conto dell’eventuale applicazione di tecniche e tecnologie innovative, come ad esempio il biocontrollo, i biostimolanti, l’agricoltura di precisione e le nuove tecniche di miglioramento genetico, che, secondo gli stessi autori, potrebbero controbilanciare almeno in parte le riduzioni delle rese. Inoltre, nonostante diversi studi precedenti abbiano dimostrato che una maggiore biodiversità negli agroecosistemi possa incrementare le rese agricole, questa eventualità non è stata presa in considerazione.

C’è ancora tanta strada da fare

In conclusione, il Green deal sembra avere delle potenzialità per l’ambiente ma anche alcuni possibili effetti collaterali. Risulta evidente quanto la situazione sia complessa e come per trovare una soluzione accettabile da tutte le parti sia imprescindibile selezionare le priorità e scendere a compromessi. Indiscutibilmente, poi, la ricerca dovrà continuare a migliorarsi sviluppando modelli sempre più sofisticati e attendibili, che tengano conto anche delle interazioni biologiche ed ecologiche alla base degli agroecosistemi, oltre che dei tradizionali indicatori economici. Perché forse, mentre “la nostra casa è in fiamme” e il 20% del cibo prodotto finisce nei cassonetti, vale la pena chiedersi se le rese colturali e i bilanci commerciali siano ancora indicatori sufficienti per indirizzarci verso lo sviluppo di soluzioni integrate, che permettano di affrontare le enormi sfide che attanagliano, oltre all’agricoltura, la sopravvivenza della nostra specie.

Green Deal bocciato un’altra volta su rese e redditività - Ultima modifica: 2022-02-26T08:01:56+01:00 da K4

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