Negli ultimi giorni numerosi esponenti del mondo zootecnico hanno sottolineato il pesante pericolo per l’attività di allevamento costituito dall’aumento del costo delle materie prime per l’alimentazione degli animali, aumento dovuto alla guerra in Ucraina. Ma tra queste voci, tutte allarmate e preoccupate, quella più inquietante, anche perché più documentata, è sembrata quella degli industriali mangimisti.
Attraverso la propria associazione nazionale, l’Assalzoo, questi ultimi hanno parlato di «rischio di un blocco della produzione dei mangimi». Tanto che si profila la possibilità di «abbattimenti degli animali allevati».
Dal momento che la principale materia prima interessata da questo problema è la granella di mais, abbiamo chiesto a uno dei maggiori specialisti italiani per questa produzione, il professor Amedeo Reyneri di Lagnasco, dell’Università di Torino, se condivida il pessimismo di Assalzoo.
Non penso – risponde – che si tratti di condividere o meno quanto Assalzoo presenta, quanto di prendere atto che i numeri, in questo caso le produzioni nazionali e importate, sono quelli ricordati nel loro comunicato. Se per sopperire alla produzione di granella di mais dall’Ucraina erano necessari 80mila ha in più, nel caso del possibile blocco dall’Ungheria sono necessari altri 220mila ha circa. Dunque, in totale fanno 300mila ha per avere una disponibilità orientativamente di 3 milioni di tonnellate. Che sono la superficie e la produzione di mais espresse in media da una delle nostre tre grandi regioni maidicole, Lombardia, Veneto, Piemonte.
L’intervento di Assalzoo non si limita alla denuncia del problema. Infatti prosegue invitando gli agricoltori italiani a seminare più mais. Ma si farebbe ancora in tempo, sul piano organizzativo e agronomico?
I terreni argillosi sono da tempo preparati anche grazie a un inverno in cui la pochissima pioggia non ha ostacolato l’entrata in campo con i mezzi. Mentre i terreni sciolti in molti casi devono ancora essere lavorati, ma l’andamento meteo della prossima settimana lo consente. Quindi è possibile correggere le scelte. Il problema non sono i tempi, senza compromettere la resa è possibile seminare fino al 10-20 di aprile. Il problema non è neppure la disponibilità di semente ibrida idonea, quanto convincere dei vantaggi che comporta la scelta di seminare questa coltura anche in tempi di urea carissima.
Cioè prevede che il mais possa offrire redditività ai coltivatori?
La scelta di seminare mais comporta vantaggi. Infatti, non sappiamo quale sarà il prezzo della granella di mais nel prossimo autunno, ma è ben chiaro che rimarrà altissimo date le condizioni internazionali e dato il fatto che in rapporto alla soia il mais sarà apprezzato in modo maggiore con un rapporto sotto il 2:1. In queste condizioni il mais è senz’altro competitivo con la soia. Facciamo un’ipotesi “accademica” per forza: con un prezzo del mais di 350 €/t e una produzione di 12 t/ha la Plv è di 4.200 €/ha. Anche se ipotizziamo dei costi variabili di 2.500 €/ha cresciuti per energia e azoto, rimane un margine veramente interessante.
Ma non ha sottostimato il costo crescente dovuto all’aumento dell’urea, di cui la coltura ha grande necessità?
Molti operatori obiettano che ciò che manca è l’urea; difficile da trovare o disponibile a prezzi più che doppi rispetto al periodo pre-crisi energetica. Qui però occorre fare un ragionamento, forse poco elegante ma concreto. Nella maggior parte degli areali maidicoli i suoli sono ben dotati e i concimi organici spesso presenti: quest’anno è il caso “una tantum” di impostare la fertilizzazione basandosi sui fertilizzanti organici o in alternativa riducendo la dose di urea o di altri azotati anche del 50% rispetto a quanto di solito è applicato. Gli effetti sulla produzione della ridotta concimazione azotata non saranno significativi in moltissimi casi. Vorrei qui ricordare un elemento tecnico. Molti chiedono se occorre ridurre gli apporti quale sia la migliore strategia. I dati sperimentali indicano che l’apporto chiave che non deve essere dimenticato riguarda la concimazione starter fosfo-azotata. Possiamo su questa ridurre la dose, ma partire bene è la migliore premessa per una produzione redditizia.
Facciamo un esempio. Un coltivatore del Nord Italia che non fa mais, e che ora vorrebbe decidere di seminarlo, disporrebbe di tempi e modi per buttarsi in iniziative come le seguenti? Accordarsi con un acquirente della granella. Trovare la semente. Trovare la disponibilità d’acqua per le future irrigazioni. Ridisegnare i propri programmi colturali. Accordarsi eventualmente con un contoterzista. Effettuare la preparazione del terreno alla semina…
Trovare un acquirente per una commodity come la granella di mais non è mai stato un problema, tanto meno quest’anno. Ma del suo elenco mi pare piuttosto interessante ragionare sull’acqua: i livelli dei bacini e della neve sui monti in Nord Italia sono ai minimi storici. Contiamo molto sulle piogge primaverili, ma non seminare il mais perché ora l’acqua scarseggia credo sia un peccato di pessimismo al momento non giustificabile. Gli altri elementi dell’elenco non sono un problema significativo salvo per le aziende maidicole di medio-grandi dimensioni che non vogliono oltrepassare il limite imposto dal greening del 70% della Sau.
A fronte dei costi di tutti questi fuori programma, il nostro coltivatore potrebbe contare sull’opportunità di spuntare prezzi più alti per la propria granella di mais?
I prezzi della granella sono oggi stellari. Come si è detto prima sono destinati a ridursi, come pure gli attuali costi energetici. Fino a un valore di 260-300 € per tonnellata il mais è molto competitivo ed è probabile che questa quotazione possa essere una soglia mantenuta nella prossima campagna, perché è difficile immaginare che le importazioni dal Mar Nero possano essere riprese. Se gli operatori fanno due calcoli vedranno che il mais in queste condizioni potrà dare delle soddisfazioni. Vorrei però aggiungere una considerazione.
Prego.
Con queste quotazioni le colture di secondo raccolto diventano molto interessanti. Non solo la soia dopo orzo, o la soia dopo un frumento raccolto tempestivamente, possono trovare una loro collocazione economica, ma anche il mais. Attualmente per una coltura di secondo raccolto giocano favorevolmente tre fattori:
- il primo è il valore della granella come abbiamo fino ad ora ricordato;
- il secondo fattore è la disponibilità di ibridi precoci e precocissimi (classe Fao 2-300) molto più produttivi rispetto a quelli in commercio fino a pochi anni fa e tali da portare la granella ad una umidità adeguata;
- infine, il cambiamento climatico che vede allungarsi la stagione vegetativa in modo importante, con raccolte anticipate del cereale vernino e periodi utili protratti per la maturazione del mais.
Dobbiamo imparare ad adattarci e a sfruttare ciò che i mercati, il cambiamento climatico e le innovazioni offrono.
Assalzoo: la guerra in Ucraina e lo stop dell’Ungheria possono affossare la zootecnia italiana
Assalzoo, l’associazione degli industriali mangimisti italiani, lancia un allarme: a causa della guerra in Ucraina la zootecnia italiana deve fare i conti con una «grave carenza delle materie prime agricole».
Addirittura c’è «il rischio di un blocco della produzione dei mangimi». Tanto che si profila «l’abbattimento degli animali allevati».
Il conflitto in Ucraina, spiega l’associazione, sta avendo pesantissime ripercussioni sul mercato delle materie prime agricole, in particolare del mais, coinvolgendo l’intera Europa dell’Est, che sta bloccando le esportazioni. Dichiara Michele Liverini, presidente reggente di Assalzoo: «Ad oggi la disponibilità di materie prime agricole per la produzione mangimistica è limitata nella maggior parte dei casi a 20 giorni, massimo un mese. Se non si attivano canali di approvvigionamento alternativi sarà inevitabile il blocco della produzione mangimistica, con conseguenze devastanti per gli allevamenti, con la necessità di abbattimento degli animali presenti nelle stalle e il crollo delle produzioni alimentari di origine animale, come carni bovine, suine e avicole, latte, burro e formaggi, uova e pesce».
La situazione, continua Assalzoo, è ormai «a un livello di allarme massimo», non solo con prezzi assolutamente fuori controllo (le quotazioni del solo mais sono raddoppiate rispetto al periodo pre-pandemia), ma anche con il pericolo che la situazione possa ora precipitare del tutto, tenuto conto che oltre alla perdita del mais ucraino è stato annunciato il blocco delle esportazioni di mais anche dall’Ungheria, principale fornitore di mais verso l’Italia con circa il 35% del mais importato.
Per garantire la produzione di mangimi, afferma ancora l’associazione, «occorrono decisioni di emergenza».
Al momento l’unica alternativa praticabile appare quella di rivolgersi al mercato americano, con particolare riguardo agli Usa e all’Argentina; «ma sono notevoli le problematiche di carattere sia logistico (occorrono dalle 5 alle 8 settimane per l’arrivo delle navi) sia qualitativo. Tuttavia questa appare l’unica fonte attraverso la quale tentare di colmare il grave deficit a fronte del fabbisogno nazionale».
«Subito incentivi alla coltivazione di mais»
L’apertura del conflitto in Ucraina, continua Assalzoo, ha dimostrato ancora una volta la situazione fortemente critica dell’Italia a causa della sua massiccia dipendenza dall’estero per soddisfare la domanda interna di materie prime agricole. Una situazione che è andata aggravandosi negli anni, con il costante calo della produzione nazionale di mais, crollata dall’autosufficienza di una quindicina di anni fa a uno scarso 50% attuale.
Assalzoo «chiede pertanto l’adozione di misure urgenti per gestire l’emergenza, favorendo l’import di mais per scongiurare il profilarsi di una vera e propria debacle della zootecnia nazionale. Al contempo, chiede di mettere in atto un piano immediato di incentivi per favorire la coltivazione di ulteriori superfici a mais».
Nel nostro paese per l’alimentazione animale occorrono circa nove milioni di tonnellate di mais, a fronte di una produzione italiana di 6 milioni di tonnellate. «È necessario coltivare in Italia almeno 300mila ettari in più per soddisfare la domanda della zootecnia nazionale».