Nel primo incontro fra produttori e trasformatori di pomodoro da industria nel bacino del Centro-Sud non è stata raggiunta alcuna intesa sul prezzo medio di riferimento del pomodoro per la prossima campagna. Per quanto abbia voluto essere un confronto costruttivo, volto alla ricerca di una maggiore competitività per la filiera del pomodoro da industria, economicamente importante per il Mezzogiorno d’Italia, le parti sono rimaste su posizioni distanti.
Anicav: «La nostra proposta tiene conto dei costi di produzione»
«L’industria di trasformazione, nonostante diversi costi di produzione stiano già registrando riduzioni, – dichiara Marco Serafini, presidente dell’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali (Anicav) – si è resa disponibile a riconoscere un incremento di prezzo che si aggiunge a quello già applicato nella scorsa campagna, proponendo un prezzo medio di riferimento di 140 €/t per il pomodoro tondo e 145 €/t per il lungo.
Con grande senso di responsabilità abbiamo proposto un prezzo medio di riferimento che tiene conto degli effettivi rincari dei costi di produzione e che, nel biennio, porta a un incremento di circa il 35%.
Qualsiasi altra proposta di aumento, nella situazione economica che stiamo vivendo, non sarebbe sostenibile dalle nostre industrie che si vedrebbero costrette a ribaltare i maggiori costi sul consumatore finale».
Cia Capitanata: «Prezzi Anicav fuori dalla realtà»
Di tutt’altro avviso è invece il presidente di Cia Capitanata, Angelo Miano: «I prezzi proposti da Anicav agli agricoltori per il pomodoro da industria al Centro Sud non coprono nemmeno i costi di produzione, perciò non sono adeguati al raggiungimento di un accordo con la parte produttiva. I prezzi devono essere realmente remunerativi, la filiera va salvata dagli egoismi di chi scarica la colpa sugli altri. I responsabili di Anicav fanno ricadere la responsabilità del mancato accordo sui produttori, ritenendo che 140 €/t per il tondo e 145 €/t per il lungo siano prezzi medi ampiamente sufficienti a coprire l’aumento dei costi di produzione. Magari avessero ragione, ma così non è.
Ogni singola voce dei costi di produzione del pomodoro da industria ha subito aumenti che vanno dal 10 al 100%. Le piantine hanno registrato un incremento di prezzo del 10%, i fitofarmaci in media segnano un +15%, così come le attrezzature tecniche, mentre il costo dei concimi di fondo è raddoppiato, a eccezione dell’urea. Proporre quei prezzi da riconoscere ai produttori, pensando che essi siano la base per un’intesa, non tiene conto della realtà e sottostima di gran lunga i costi di produzione che ricadono sulle aziende agricole».
Il prezzo giusto secondo Cia Capitanata
Per un prezzo giusto, rivendica Miano, «occorrono almeno 160 €/t per il tondo e 170 euro alla tonnellata per il lungo. Perfino la Spagna, pur avendo standard qualitativi inferiori a quelli italiani, prevede un pagamento minino del tondo a 150 euro».
Per il pomodoro di Puglia, in gran parte prodotto a Foggia, ricorda Nicola Cantatore, direttore provinciale di Cia Agricoltori Capitanata, «abbiamo avviato il percorso che condurrà al riconoscimento della Dop. Non riconoscere la qualità del nostro pomodoro e prezzi remunerativi a chi lo produce è un danno a tutta la filiera, oltre che un controsenso.
Nel 2022, a causa del tardivo raggiungimento di un’intesa, determinato proprio dall’Anicav, le superfici coltivate a pomodoro subirono un decremento di oltre 2mila ettari, con un calo di produzione di circa 3 milioni di quintali. Ai produttori occorre garantire una base minima di certezze per metterli nelle condizioni di programmare e di trapiantare”.
Pomodoro industria Centro Sud, nel 2022 intesa solo a luglio
Nella campagna del pomodoro 2022, l’intesa sul prezzo fu raggiunta solo in luglio. Troppo tardi poiché, in assenza di accordi, moltissime aziende agricole decisero in primavera di non procedere con i trapianti. I numeri, più di ogni altra cosa, dimostrano le conseguenze dell’accordo tardivo: in Capitanata, nel 2022 stati raccolti circa 12 milioni di quintali di prodotto, a fronte dei 14.782.000 del 2021.
In calo anche le superfici coltivate: 17.140 ettari nel 2021, mentre nel 2022 si è scesi a 15mila (complessivamente, in Italia, 32.500 ettari). Le industrie conserviere l’anno scorso hanno tirato la corda al massimo pur di non riconoscere un valore adeguato da corrispondere ai produttori. «Il calo delle superfici coltivate e, di conseguenza, la minore produttività - ha aggiunto Miano - sono state la diretta conseguenza delle politiche attuate dalla parte industriale».
L’accordo fu raggiunto nei primi giorni di luglio, con un’intesa basata su 13 centesimi al chilo per il tondo, 14 centesimi al chilo per il lungo e una maggiorazione pari al 30% per il biologico. A fine campagna, però, il tondo raggiunse i 16 centesimi e il pelato i 21 centesimi.
«Un’ulteriore dimostrazione – rileva Miano – di quanto poco assennate siano state le scelte della parte industriale, arroccata su quotazioni insufficienti anche a coprire i costi di produzione per le aziende agricole, ma poi costretta a subire le conseguenze delle sue stesse azioni con la riduzione delle superfici e la conseguente corsa all’accaparramento che hanno fatto aumentare i prezzi ben oltre le richieste iniziali degli agricoltori. Si tornerà ai numeri del 2021 solo e soltanto rompendo il muro creato da egoismi di parte che poi si rivelano autolesionistici, come dimostra il bilancio dell’ultima stagione del pomodoro».