«Da due generazioni alleviamo e valorizziamo la razza autoctona di suino nero di Calabria e il suino bianco Dop, all’aperto in regime di benessere animale e senza l’uso di antibiotici dalla nascita». Lo spiega la giovane Anna Madeo di Filiera Madeo, una consolidata realtà calabrese che poggia le sue basi su tre cardini: valorizzazione del territorio, incremento della sostenibilità e forza della filiera.
Oltre all’allevamento Filiera Madeo è specializzata nella coltivazione di due varietà autoctone di peperoncino: “naso di cane o roggianese” e “cornetto piccante”, ingredienti dell’artigianale nduja spalmabile prodotta in azienda. Il peperoncino fresco ottenuto dalle oltre 500mila piante è utilizzato anche per la lavorazione dei salumi.
Fiore all’occhiello di Filiera Madeo è la produzione di pregiati salumi di nicchia di suino nero, realizzata nei tre stabilimenti dedicati alla lavorazione delle carni. L’originale pigmento nero è ottenuto grazie a un particolare processo di macellazione brevettato, differente dal tradizionale.
Da dove nasce la scommessa di puntare sul suino nero?
Tutto è iniziato – racconta Madeo – grazie all’intuizione di mio padre Ernesto che nei primi anni ’90 intraprende una sfida rivelatasi vincente: avvia un lungo percorso di selezione per recuperare la genetica del suino nero di Calabria, razza autoctona quasi estinta, rintracciando alcuni esemplari di maschi e femmine nelle aree della Sila Greca e dell’Aspromonte. Ha iniziato con due maschi e cinque femmine. Dopo vent’anni siamo riusciti a riportare la razza in purezza sulla nostra terra. Oggi il nostro allevamento è registrato nella banca dati nazionale dell’Anas, come l’allevamento di razza autoctona più grande d’Italia.
Quanti capi allevate?
Alleviamo tremila capi nelle nostre aziende di proprietà. Ma siamo riusciti ad aggregare altre aziende, non solo calabresi, e allargare la filiera italiana del suino nero. Il risultato è stata la creazione del marchio collettivo Re Nero 100% puro suino nero italiano, che tutela cinque razze autoctone: suino nero di Calabria, nero dei Nebrodi, Casertana, Cinta senese e Mora romagnola. Questo progetto di rete nazionale del suino nero italiano coinvolge 15 imprese tra allevatori e trasformatori, presenti in sette Regioni, e circa 10.000 esemplari allevati, trasformati e certificati attraverso la blockchain. L’obiettivo è arrivare a 25mila capi nel 2026. Con i nostri salumi garantiamo al consumatore la qualità data dalla purezza delle razze autoctone di suino nero, un patrimonio italiano inestimabile che rischiava di perdersi e che invece grazie al fare rete riusciamo a valorizzare, anche sui mercati internazionali. Il 40% del nostro fatturato è infatti destinato all’export europeo ed extra europeo.
Quali sono i risultati e i vantaggi di aver costituito questa rete nazionale del suino nero?
Dopo cinque anni di filiera direi l’aver condiviso come imprese la stessa missione: tutelare le biodiversità che ciascuno di noi aveva nei propri territori e farlo con dei metodi comuni, nel rispetto del benessere animale, attraverso un’alimentazione stagionale e rispettando i tempi di accrescimento, per poi arrivare a produrre pochi prodotti di qualità caratteristici del territorio. La richiesta del mercato del suino nero italiano aumenta. Uniti siamo più forti. Vendiamo più di 1.500 prosciutti l’anno di suino nero. La sfida è diffondere nelle nuove generazioni la cultura dello stare insieme, che in Italia manca.
È una produzione redditizia?
Direi di sì. La carne fresca viene venduta dai quindici euro al chilo, a seconda dei tagli si arriva anche a diciannove euro. Per i trasformati bisogna moltiplicare per tre o quattro. Sullo scaffale parliamo di un posizionamento paragonabile all’Iberico. Abbiamo lanciato in un supermercato inglese di nicchia il nostro marchio Re Nero ed è accanto all’Iberico con lo stesso prezzo: dieci sterline una vaschetta da 60 grammi. Un successo enorme. Su questo dobbiamo puntare. Il prodotto posizionato nei mercati di nicchia vale 169 €/kg. Siamo presenti da quattro anni sugli scaffali di un supermercato italiano di fascia alta e le vendite hanno un trend di crescita costante.
Quali sono le peculiarità delle carni di suino nero?
I nostri suini si nutrono con un’alimentazione a km zero a base di radici, erbe e olive a cui vengono integrati cereali da filiera corta quali grano, orzo, favino e verdura di stagione. Come conseguenza dell’interazione tra il genotipo, la dieta e il regime d’allevamento estensivo condotto, le carni del suino nero di Calabria, come certificato da uno studio condotto con la facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna, hanno un’alta concentrazione di Omega-3; acidi grassi di alta qualità come Omega-6 e Omega-9; bassi livelli di trigliceridi e colesterolo Ldl; bassi livelli di ossidazione e irrancidimento degli acidi grassi, che garantiscono importanti proprietà come l’allungamento della vita del prodotto finito.
Innovativo e alternativo è anche il packaging dei salumi a marchio collettivo?
Attualmente i nostri salumi del pregiato suino nero vengono avvolti da una “carta d’api” fatta con lino e cera d’api. Un packaging totalmente green che sostituisce la plastica e il sottovuoto, garantendo un’ottima conservazione dei salumi anche fuori dal frigo e per lunghi periodi di tempo. Ma ho in mente un altro progetto: creare una nuova filiera calabrese di produzione della Ginestra, che è un prodotto spontaneo. La trasformeremo in un tessuto particolare che poi sarà rivestito di cera d’api, invece di utilizzare il cotone che altre fonti di provenienza.
Nella sua azienda si è investito anche nell’economia circolare?
Sì. Abbiamo un impianto di bio-digestione, produciamo 250 kWh di energia elettrica e termica, utilizzando tutti i residui della produzione agricola che, attraverso un sistema di economia circolare, tornano nuovamente alla terra sotto forma di concime biologico e acqua depurata. Inoltre gli impianti fotovoltaici installati, trasformano 750 kWh di energia solare in energia elettrica. Le energie rinnovabili rendono completamente autosufficiente la nostra filiera produttiva. Ci tengo a dire che sono stata selezionata come sustainability hero per l’Italia e premiata a Bruxelles come modello di business sostenibile e per i migliori standard di corporate welfare attuati nel settore. Anche gli allevamenti possono essere sostenibili.