Il futuro delle sementi? Molto dipenderà non dalla scienza – che ha già fatto tanto – ma dalla politica. Già nel 2025, infatti, il comparto attende risposte molto importanti a livello europeo, come il via libera alle Tea (Tecnologie di evoluzione assistita), in cui l’Italia, va riconosciuto, gioca un ruolo chiave e si è rivelato un Paese all’avanguardia. Da sorvegliare attentamente c’è inoltre tutto il capitolo del biologico, visti anche gli ambiziosi obiettivi dettati dal Green Deal europeo, che impone a ogni Stato membro l’ormai celebre obiettivo del 25% di superficie agricola entro il 2030. Poi, c’è il tema della ricerca, con l’auspicio di un confronto sempre maggiore tra pubblico e privato.
Ma a illustrare meglio punto per punto sia lo stato dell’arte sia – soprattutto – la direzione che si dovrebbe intraprendere per il futuro stesso dell’agricoltura, è Alberto Lipparini, dal 2015 alla direzione di Assosementi, un settore dove peraltro ha sempre operato nella sua carriera professionale, anche prima di assumere incarichi dirigenziali.
Lipparini, può tracciare innanzitutto una fotografia di Assosementi, anche in rapporto allo scenario internazionale?
«La nostra associazione oggi conta 164 aderenti, di cui 155 sono ditte sementiere e 9 strutture che producono beni e servizi a supporto. A fronte di un fatturato mondiale, nell’attività sementiera, che è stimato in 25 miliardi di euro, Assosementi aggrega realtà per circa 1,2 miliardi di euro. Siamo insomma una realtà importante nello scenario internazionale, anche per alcuni aspetti peculiari. Se da una parte i grandi numeri si concentrano giocoforza altrove, perché in Italia le aziende sementiere hanno dimensioni medio piccole (le grandi sono prevalentemente multinazionali), siamo comunque sul podio a livello mondiale nella moltiplicazione del seme, in quanto disponiamo sì di poco terreno, ma molto diversificato. Siamo fra i primi produttori di sementi a livello mondiale, al pari di Francia e Cile».
Anteprima di Terra e Vita 37/2024
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Il settore delle sementi è in prima linea per affrontare sfide come il cambiamento climatico e la sostenibilità. Qual è la posizione di Assosementi sulle nuove tecniche di miglioramento genetico che si stanno portando avanti negli ultimi anni?
«Il miglioramento genetico è essenziale per garantire la competitività del settore. Oggi, grazie a tecnologie come la cisgenesi e il genome editing (che, chiariamolo subito, non hanno a che vedere con la “vecchia” transgenesi, gli ogm per intenderci!) possiamo sviluppare nuove varietà in tempi molto più contenuti rispetto ai metodi tradizionali, che richiedono mediamente almeno dieci-dodici anni per una singola cultivar inedita. Tutto ciò è cruciale per rispondere rapidamente e con efficacia ai cambiamenti climatici e alle esigenze dei mercati. Purtroppo, il dibattito normativo in Europa è ancora aperto, ma il recente parere favorevole dell’Efsa sul basso rischio delle nuove tecnologie ci dà molte speranze in questo senso.
Auspichiamo quindi di vedere presto una regolamentazione che possa correttamente normare l’impiego delle Tea, le quali, ricordiamolo anche qui molto chiaramente, non introducono nella nuova pianta migliorata Dna di origine esterna, ma consentono di intervenire a livello molecolare all’interno della stessa specie. La nuova varietà che si ottiene utilizzando le Tea non presenta differenze rispetto a una che può essere originata con l’impiego di tecniche tradizionali quali l’incrocio e la selezione. Da questo punto di vista, l’Italia si sta dimostrando molto all’avanguardia: il Governo ha compreso la questione e ha dato il via libera alla sperimentazione in campo delle Tea, ormai peraltro accettate in buona parte del mondo. Solo Paesi come Sud Africa e Nuova Zelanda hanno assunto una posizione di rifiuto verso l’impiego di queste nuove tecnologie».
Ritiene sia stato giusto abbandonare la strada degli Ogm?
«Come direttore di Assosementi, non vorrei tornare su questa questione, dal momento che in Europa sembra un capitolo chiuso. È vero, da una parte, che ci sono illustri rappresentanti del mondo politico e scienziati, come la senatrice Elena Cattaneo, che non si arrendono sotto questo aspetto, e che i Paesi che li hanno adottati (le Americhe, soprattutto) hanno percentuali di produttività inarrivabili rispetto ai sistemi tradizionali. Tuttavia, dobbiamo appunto guardare avanti e imparare dall’esperienza degli Ogm, per non fare gli errori di comunicazione che ci sono stati in passato. È fondamentale, oggi, che l’Europa recepisca l’importanza delle Tea per il futuro dell’agricoltura e il nostro auspicio è di riuscire a ottenere una regolamentazione entro il 2025, anche se non sarà affatto facile».
Oggi, sempre a proposito di Tea, cosa rimane sul tavolo di Bruxelles?
«Restano molti dettagli da chiarire di diretto interesse del settore sementiero, come l’accesso alle nuove varietà e l’etichettatura. La regolamentazione dovrà bilanciare le esigenze della scienza, dell’industria e della società civile. Speriamo che entro la fine del 2025 si arrivi a una conclusione che supporti l’innovazione, senza compromettere il grande lavoro finora svolto sulle Tea, il quale ha ricevuto un primo significativo impulso in Italia fin dal 2016, quando il comparto delle biotecnologie vegetali ricevette importanti sovvenzioni dall’allora ministro Martina».
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Passiamo al biologico: anche in tal caso l’agenda si presenta fitta, considerando pure i vincoli dettati dal Green deal europeo.
«Questo settore ha conosciuto un’espansione significativa e ancora una volta l’Italia si piazza ai vertici, tanto da essersi già avvicinata all’obiettivo del 25% di superficie coltivata con metodo biologico che si dovrebbe raggiungere entro il 2030. Ma, appunto, ci sono criticità da affrontare. Restano alcuni limiti da superare, come la disponibilità di sementi biologiche certificate, che da sempre risulta insufficiente a soddisfare le potenziali richieste degli agricoltori, rendendo di fatto obbligatorio il ricorso al meccanismo delle deroghe. Si tratta di un sistema dal quale al momento non possiamo esimerci, ma che rappresenta al tempo stesso un vincolo all’aumento della produzione di sementi bio. Noi auspichiamo un maggiore dialogo con le autorità per migliorare tale meccanismo e rendere più sostenibile la produzione delle stesse».
L’agricoltura biologica e il Regolamento europeo 848/2018 danno spazio al cosiddetto “materiale eterogeneo”. Qual è la sua visione su questa opportunità?
«Il materiale eterogeneo può essere interessante soprattutto per il settore biologico e per determinati areali produttivi. Si tratta di miscele di diverse varietà, adattate a specifici contesti locali, che possono offrire una maggiore resilienza agli stress ambientali. Tuttavia, dal nostro punto di vista, serve maggiore chiarezza normativa. Il nostro sistema produttivo, da sempre, si basa sulla costituzione di nuove varietà migliorate che, una volta testate, vengono descritte dettagliatamente e iscritte in registri pubblici; adattare questo sistema al materiale eterogeneo richiederà l’attenzione e l’impegno di tutte le strutture coinvolte. È importante che venga trovata una sintesi che valorizzi la biodiversità senza compromettere la competitività del sistema».
Concludiamo per un certo verso da dove tutto è iniziato: la ricerca. A che punto siamo?
«La ricerca è il cuore del nostro settore e il motore del sistema produttivo primario. In Italia, abbiamo a livello pubblico realtà eccellenti come il Crea, ma per mantenere la competitività dobbiamo rafforzare la collaborazione tra pubblico e privato. Da un lato, il pubblico deve continuare a investire nella ricerca di base e nel pre-breeding; dall’altro, il settore privato deve utilizzare il lavoro pubblico per sviluppare varietà che rispondano alle esigenze del mercato. Questo modello, già adottato con successo in altri paesi, potrebbe essere la chiave per valorizzare il sistema sementiero italiano».