Uno dei meriti che dobbiamo riconoscere alla Direttiva nitrati, così come è stata recepita e applicata nel nostro Paese, è quello di aver stimolato tecnici ed allevatori a ricercare nuove strade nella gestione degli effluenti zootecnici, non solo per ottemperare alle ormai ben note prescrizioni sui quantitativi annui di azoto distribuibili, ma anche per cercare di trasformare un obbligo in un'opportunità.
Quest'ultimo meccanismo può scattare quando dall'effluente di partenza si riesca non solo ad allontanare la quota di azoto eccedente la capacità di ricezione dei terreni disponibili per l'utilizzo agronomico, ma anche a valorizzarlo, assieme ad altri elementi nutritivi (P, K) e alla sostanza organica, anche dopo l'eventuale sfruttamento di quest'ultima in un processo di digestione anaerobica per la produzione di biogas.
Tra le tecnologie emergenti applicabili al trattamento degli effluenti non palabili è da segnalare l'evaporazione sotto vuoto. Da tempo impiegato in vari settori dell'industria, da quella farmaceutica a quella alimentare, questo trattamento è stato più di recente proposto in ambito zootecnico per il trattamento di effluenti non palabili, con l'obiettivo di:
i) ridurre il volume degli effluenti da portare al campo, potendo quindi contenere i costi di trasporto e distribuzione;
ii) scaricare il distillato, limitando dunque i volumi di stoccaggio alla sola frazione concentrata. Quest'ultima potrebbe inoltre essere valorizzata sul mercato dei fertilizzanti grazie al suo contenuto in azoto, fosforo e potassio.
È molto interessante l'abbinamento dell'evaporazione sotto-vuoto alla digestione anaerobica (DA), in quanto il cogeneratore è in grado di fornire l'energia termica necessaria per il processo, energia che attualmente, al di là della quota per l'autoconsumo, viene generalmente dissipata nell'ambiente. Il recupero del termico è un aspetto importante nel miglioramento dell'efficienza energetica e nella sostenibilità ambientale degli impianti di DA: in Italia, dal 2013 (Decreto 6/7/2012), come in altri Paesi (Spagna e Francia ad esempio), il recupero dell'energia termica da cogenerazione per il trattamento del digestato o per altri usi aziendali (come l'essiccazione dei foraggi o del cippato) è fondamentale per avere accesso ai bonus sugli incentivi al kWh elettrico.
Dal punto di vista del processo, si lavora sotto-vuoto perché a pressioni inferiori di quella atmosferica diminuisce la temperatura di ebollizione e con essa il consumo di energia necessaria per l'evaporazione. Inoltre, trattandosi di un sistema chiuso, non si hanno emissioni in atmosfera, aspetto quest'ultimo che garantisce il rispetto dei vincoli imposti dalla direttiva comunitaria IPPC.
Un impianto pilota
Le esperienze di impiego dell'evaporazione sotto-vuoto a carico di effluenti zootecnici sono ancora poco diffuse. Con l'obiettivo di verificare efficienza di concentrazione, caratteristiche di concentrato e distillato e consumi energetici, l'Università di Padova, in collaborazione con la ditta Saita srl di Limena (Pd), ha condotto delle prove con un impianto pilota di evaporazione sotto-vuoto a carico di digestato da liquame bovino e silomais.
La sperimentazione è iniziata nell'ambito del progetto Metadistretto della zootecnia del Veneto (Tecniche di controllo dell'azoto con impianti dimostrativi a punto fisso, 2009-2010), condotto in collaborazione con la Provincia di Padova e Unicarve e successivamente è proseguita nell'ambito del Progetto RiduCaReflui, promosso dalla Regione Veneto (2009-2012).
Bovini da carne
Il pilota utilizzato nell'ultimo ciclo di prove (2012) è un evaporatore a singolo stadio, a flusso discendente, con una capacità di lavoro pari a 200 kg/h di condensato (tabella 1). Esso ha operato presso un'azienda zootecnica che alleva bovini da carne, dotata di un impianto di DA della potenza di 560 kWe. L'energia termica necessaria al processo è stata fornita dall'acqua calda in uscita dal cogeneratore dell'impianto di DA.
Il trattamento di evaporazione è avvenuto a carico della frazione liquida separata del digestato ottenuta utilizzando un separatore del tipo a compressione elicoidale con luci del tamburo di 500 µm.
Le prove sono state condotte senza acidificazione preliminare dell'affluente, pratica utilizzata per ridurre la volatilizzazione dell'ammoniaca durante l'evaporazione; applicata al digestato zootecnico essa impone l'impiego di notevoli quantità di acido, con problemi di gestione aziendale (per gli aspetti legati alla sicurezza) e determina un aumento dei costi per il trattamento. Inoltre, non garantisce in ogni caso la possibilità di scaricare il distillato in acque superficiali.
I risultati delle prove
I risultati si riferiscono ai test condotti con l'attrezzatura descritta in precedenza (tabella 1). Nelle tabelle 3 e 4 sono riportate, nell'ordine, le caratteristiche fisico-chimiche della frazione liquida separata in ingresso, del distillato e del concentrato e la loro ripartizione in termini di portata (A) e di distribuzione percentuale dell'azoto (B).
Partendo da una frazione liquida separata con un contenuto in sostanza secca del 4,2% si è ottenuta una frazione concentrata al 12% di secco che rappresenta mediamente il 46% del volume di partenza. Gradi di concentrazione maggiore si possono ottenere utilizzando evaporatori a parete raschiata, più adatti al trattamento di matrici dense come il digestato, potendo oltretutto mantenere un più efficiente scambio termico.
Nel distillato si ritrova mediamente il 46% dell'azoto di partenza (tabella 4-B), in gran parte in forma ammoniacale (tabella 3); fosforo, solidi sospesi e totali sono presenti in tracce (non rilevabili) mentre si ritrovano concentrazioni di COD pari o inferiori all'1% circa del COD influente. Il fabbisogno termico per il processo è stato di 0,87 kWh per kg di condensato prodotto, in linea quindi con i risultati presenti in bibliografia. Durante l'esecuzione dei test è stato utilizzato un prodotto anti-schiuma con un dosaggio, molto cautelativo, di 2,0 - 2,5 kg/t di liquame in ingresso.
Un'ipotesi di applicazione in scala reale
L'ipotesi di trasferire il processo ad una scala commerciale, con particolare riferimento alle caratteristiche quanti-qualitative dei materiali presenti nell'azienda ospite e di trattare l'intera portata giornaliera della frazione liquida separata del digestato (35 t/d, attualmente avviata allo stoccaggio), fornisce lo spunto per una serie di considerazioni che vengono di seguito esposte.
L'utilizzo di un evaporatore doppio stadio attesta il fabbisogno di potenza termica a:
35.000 kg/d · 0,54 · 0,43 kWh/kg/24h= 339 kW
dove:
0,54 = quota della portata in ingresso all'evaporatore disponibile come condensato.
0,43 kWh/kg = energia termica di evaporazione in un impianto doppio stadio.
Tale fabbisogno verrebbe soddisfatto dalla disponibilità netta di potenza termica della fase “estiva” (pari a 585 kW), mentre produrrebbe un deficit di circa il 15% d'inverno, essendo la potenza netta residua di questo periodo pari a 325 kW.
La configurazione impiantistica è quella rappresentata in figura 2, dove il gruppo di evaporazione è posto in modo tale da ricevere soltanto la quota di energia termica eccedente il fabbisogno di termostatazione del digestore/i.
Una possibilità di aumentare la disponibilità di energia termica per l'evaporazione è quella di integrare l'evaporatore nella linea cogeneratore-digestore, così come rappresentato in figura 3.
In questa configurazione l'acqua calda in uscita dall'unità di cogenerazione, ad una temperatura di circa 90°C, viene usata direttamente e interamente dall'evaporatore, mentre sono i vapori di distillazione in uscita dal secondo stadio, a 50-55°C, a riscaldare la massa in digestione grazie alla condensazione in uno scambiatore di calore acqua/digestato.
La minore differenza di temperatura tra fluido riscaldante (vapori di distillazione) e fluido da riscaldare (digestato in fermentazione) che caratterizza tale soluzione richiede una maggiore superficie di scambio, ad esempio integrando quella esistente (all'interno del digestore) con uno scambiatore esterno di tipo coassiale.
Adeguamento delle caratteristiche chimiche del condensato all'esigenza di scaricabilità
A causa del suo contenuto in azoto ammoniacale, il distillato non è scaricabile in acque superficiali (il valore di soglia per lo scarico in acque superficiali contenuto nel Dlgs. 3/4/2006 n. 152 è di 11,6 mg N-NH4+/L ).
Per renderlo tale si rende necessario un post-trattamento atto a recuperare la quantità di azoto ammoniacale in eccesso nel distillato, fatto che consentirebbe di limitare lo stoccaggio alla sola frazione concentrata (pari a circa la metà del volume iniziale), riducendo sensibilmente sia i volumi di stoccaggio che i costi per il trasporto e la distribuzione agronomica.
L'ipotesi considerata è quella del recupero dell'azoto dal distillato tramite filtrazione su membrane di osmosi inversa, previa acidificazione.
Uso più razionale e “in cascata” dell'energia termica
Nell'ambito delle strategie per ridurre il carico di nutrienti nelle zone ad alta densità zootecnica, l'evaporazione sotto vuoto del digestato è una soluzione interessante, in quanto offre il potenziale di ridurre almeno del 40-50% il volume iniziale dell'effluente, con positivi riflessi sui costi di trasporto e di distribuzione.
Non è da escludere in ogni caso la possibilità di valorizzare il concentrato come fertilizzante, grazie al suo interessante contenuto in azoto (in forma prevalentemente organica), fosforo e potassio. L'utilizzo dell'evaporazione sotto vuoto in abbinamento alla digestione anaerobica consente di utilizzare con profitto una fonte di energia disponibile che altrimenti verrebbe dissipata nell'ambiente. Una nuova configurazione impiantistica che realizza un utilizzo più razionale e “in cascata” dell'energia termica prodotta dall'unità di cogenerazione, tra l'evaporatore e il digestore, potrebbe essere una valida soluzione per ovviare a deficit stagionali, oltre che per favorire un ulteriore ispessimento del concentrato.
Un aspetto che rimane da chiarire è la destinazione del distillato: i risultati ottenuti dalle prove svolte sia nell'ambito del Progetto RiduCaReflui che da altri gruppi di ricerca (senza e con acidificazione preliminare, rispettivamente) hanno messo in evidenza la produzione di un prodotto non scaricabile in acque superficiali. La scaricabilità è tuttavia un aspetto fondamentale per la possibilità di diffusione di questo processo in ambito agricolo, in quanto determina la possibilità di limitare il volume di stoccaggio alla sola frazione concentrata, con evidenti, positive, ripercussioni di ordine economico.
È su queste tematiche che l'attività di ricerca del gruppo sta proseguendo, consci oltretutto del fatto che, accanto a problematiche prettamente ingegneristiche, devono essere risolte e/o affinate anche quelle di tipo economico e gestionale.
*Dipartimento Territorio e Sistemi Agro Forestali, Università di Padova
**Saita srl, Limena (Pd)
La bibliografia è disponibile presso gli autori
Allegati
- Scarica il file: L’evaporazione sotto vuoto taglia i volumi dei reflui