ToBRFV (Tomato brown rugose fruit virus), cimice asiatica (Halyomorpha halys), aleurodide spinoso degli agrumi (Aleurocanthus spiniferus), Xylella (Xylella fastidiosa subsp. pauca ST53): sono stati questi i protagonisti della terza sessione, “Patogeni e parassiti di recente introduzione e di possibile diffusione sul territorio pugliese”, (moderata da Lorenzo Tosi, giornalista Edagricole) del 31° Forum di Medicina vegetale organizzato a Bari dall’Associazione regionale pugliese tecnici e ricercatori in agricoltura (Arptra).
ToBRFV, nuova emergenza fitosanitaria per pomodoro e peperone
ToBRFV è un nuovo tobamovirus, risultato di ricombinazione genetica fra varianti di ToMMV e TMV, che si manifesta sulle foglie attraverso bollosità e clorosi, restringimento dei lembi, imbrunimento su peduncoli, calici e piccioli, e su frutti mediante rottura di colore con maculature, rugosità, deformazione e maturazione irregolare, ha introdotto Matilde Tessitori, docente di Virologia vegetale presso il Dipartimento di Agricoltura, alimentazione e ambiente dell’Università di Catania.
«Questo virus si diffonde per trasmissione meccanica tramite operatori e impollinatori e trasmissione per seme attraverso il tegumento, ma non si trasmette mediante vettori. Dalla prima segnalazione in Giordania nel 2016 ne sono seguite altre rapidamente nei paesi produttori di pomodoro (come in Italia fra il 2018 e il 2019), tanto da farlo inserire in Alert List EPPO da gennaio 2019. Per gestire l’emergenza ToBRFV è necessario evitare l’introduzione nelle aree o nei siti indenni di fonti di inoculo primario (semi, piantine, suolo), evitare l’ulteriore diffusione nelle aree o nei siti dove è già presente attraverso infezioni secondarie causate da acqua di irrigazione, manipolazione delle piante e impollinatori, infine chiarire alcuni aspetti ancora oscuri sul virus e sulla sua epidemiologia».
Esperienza e gestione territoriale di cimice asiatica in Emilia Romagna
Il rinvenimento di Halyomorpha halys in provincia di Modena nel 2012 ha rappresentato un vero stravolgimento nella gestione fitosanitaria di svariate colture del territorio, haevidenziato Luca Casoli del Consorzio fitosanitario provinciale di Modena.
«Dopo le prime segnalazioni la diffusione delle popolazioni ha richiesto alcuni anni per raggiungere livelli veramente preoccupanti. Il primo forte incremento si è avuto nel 2015, fino ad arrivare agli ingentissimi danni provocati nelle ultime due stagioni. La correlazione delle condizioni ambientali con l’andamento delle popolazioni ha fugato le speranze che l’elevata mortalità degli individui svernanti fosse un possibile limite per la specie, evidenziando un grande potenziale biotico e la rapida possibilità dei pochi individui sopravvissuti allo svernamento di riportate le popolazioni ad elevatissimi livelli di infestazione. Gli anni 2017 e 2018 hanno costituito un chiaro esempio di questa potenzialità: dopo l’estate 2017 calda e siccitosa con una flessione delle popolazioni e una ingente mortalità degli individui svernanti, si è assistito a un rapido recupero delle popolazioni grazie all’andamento meteorologico caldo e piovoso della primavera 2018».
In funzione dell’incremento delle popolazioni le attività di controllo si sono concentrate sulla valutazione delle possibilità di contenimento andando a verificare l’applicabilità di sistemi diretti e indiretti.
«Difesa chimica a tutto campo, difesa chimica applicata nella fascia di bordo, tecniche attract & kill, applicazione di reti insetticide e anti insetto: queste metodiche sono state oggetto di numerose e ripetute verifiche che hanno evidenziato la loro complementarietà senza però giungere a un controllo soddisfacente, in particolare nelle annate caratterizzate da consistenti infestazioni. Particolare rilievo ha avuto la ricerca di antagonisti naturali in grado di contribuire al controllo su scala territoriale. Infatti negli ultimi anni si sono approntate valutazioni di campo relative ai parassitoidi oofagi Ooencyrtus telenomicida e Anastatus bifasciatus. A queste sperimentazioni si è affiancata un’indagine territoriale che ha evidenziato un inizio di resilienza ambientale, con un significativo incremento delle predazioni e parassitizzazioni a carico di ovature naturali, oltre a consentire l’individuazione di parassitoidi esotici quali Trissolcus japonicus e Trissolcus mitsukurii».
L’emergenza Aleurocanthus spiniferus si allarga al Sud Italia
Aleurocanthus spiniferus è un aleurodide tropicale originario dell’Asia sudorientale, segnalato per la prima volta nel 2008 in Puglia, in provincia di Lecce. È una specie molto polifaga, che attacca soprattutto specie arboree, come agrumi, pomacee, vite, kaki, ecc., floricole e ornamentali. «Ma negli ultimi tempi – ha rilevato Francesco Porcelli, docente di Entomologia agraria del Dipartimento di Scienze del suolo, della pianta e degli alimenti dell’Università di Bari – ha iniziato a gradire l’ailanto, benché sia una specie a foglia caduca, anche perché, grazie ai tantissimi individui, riesce comunque a superare l’inverno. Rilevo peraltro che in moltissimi casi su foglie di ailanto sono state trovate tracce di Dna del suo parassitoide Eretmocerus».
Sui possibili scenari di controllo dell’A. spiniferus si è soffermato Antonio Guario, agronomo fitoiatra, il quale ha sostenuto che «i trattamenti devono essere continui, iniziare in primavera, nella fase di inizio germogliamento, e proseguire in estate e autunno. Attualmente su Aleurocanthus spp. risulta registrato solo acetamiprid (Epik SL) per l’utilizzo su vite da vino e da tavola e agrumi». Perciò Guario ha invitato le società agrochimiche «ad arricchire l’elenco delle sostanze attive utilizzabili sia con il possibile impiego di sostanze attive già registrate sulla coltura e sull’avversità in forma generica (aleurodidi) sia mediante eventuali estensioni di impiego di sostanze attive che sono già registrate su altre specie di aleurodidi previa sperimentazione su A. spiniferus».
Ulteriori acquisizioni su risposta di cultivar di olivo a infezioni di Xylella
L’impiego di varietà resistenti è una strategia chiave per mitigare le perdite economiche dovute alle infezioni da Xylella fastidiosa subsp. pauca, ST53 nelle colture, in particolare nelle aree in cui il batterio trova condizioni favorevoli per la sua persistenza e le infezioni sono associate a malattie gravi. È quanto ha evidenziato Donato Boscia, responsabile della sede di Bari dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (Ipsp) del Cnr, esponendo in sintesi quanto già comunicato alla 2ª Conferenza europea su X. fastidiosa tenuta ad Ajaccio (Corsica).
«Caratteri genetici che conferiscono resistenza/tolleranza, già identificati in vite e agrumi, recentemente sono stati ritrovati anche in olivo. Sebbene comprendere i percorsi molecolari coinvolti nella resistenza sia un obiettivo primario di molti studi, oggi supportati dalle potenti risoluzioni delle tecnologie di sequenziamento ad alta resa (high-throughput sequencing technologies), la conferma con saggio biologico rimane lo strumento fondamentale per definire il grado di suscettibilità o resistenza di un dato genotipo vegetale. In tale contesto la comparsa e la diffusione di Xylella negli oliveti del Salento ha creato la necessità di avviare grossi programmi di screening biologico del germoplasma di olivo, sia in campo aperto sia sotto serra. Le piante in prova sono monitorate per rilevare la comparsa e la gravità dei sintomi, l’incidenza di infezioni batteriche, la stima della dimensione della popolazione batterica, ecc.».
I risultati finora raccolti hanno messo in evidenza i seguenti aspetti: 1) in condizioni controllate nelle cultivar più sensibili il periodo di latenza delle infezioni nelle olive può essere di appena un anno, mentre in condizioni di campo una prima stima attendibile dei sintomi associati alle infezioni può essere fatta non prima di tre anni di esposizione alla pressione naturale dell'inoculo; 2) le cultivar in fase di sperimentazione potrebbero in primo luogo essere distinte in “altamente sensibili”, quelle che hanno sviluppato i sintomi nel più breve tempo, e “potenzialmente tolleranti/resistenti” che però necessitano di ulteriori indagini; 3) in caso di inoculazioni con ago o esposizione sul campo le cultivar potrebbero essere differenziate in base al tasso di infezioni sistemiche, come altamente infette rispetto a basse infezioni. «È interessante notare che alcune cultivar hanno prodotto reazioni biologiche simili a quelle registrate per la cultivar Leccino, usata come controllo resistente; tuttavia, pur non mostrando sintomi, spesso presentano popolazione batterica elevata, cosa che, se confermata, potrebbe essere spiegata con la presenza di tratti di tolleranza. Si tratta tuttavia di risultati preliminari, che – ha raccomandato Boscia – richiedono un ulteriore periodo di osservazioni e analisi».