Cosa succederebbe se domani l’Europa diventasse veramente ogm free?
È da questa provocazione che prende le mosse il convegno “Le politiche per le biotecnologie nell’alimentare”, organizzato da Assobiotec, Farmers scientist network nell’ambito della settimana europea delle biotecnologie. Una settimana particolarmente “calda”: a Bruxelles si sta infatti discutendo la possibilità di rivedere la normativa sulle importazioni ogm (attualmente 68 autorizzati), lasciando ai singoli Stati la possibilità di vietarne l’ingresso, così come avviene già con la coltivazione.
Al convegno è stato sottolineato che, a parte le ripercussioni giuridiche-commerciali (si violerebbero le norme sulla libera circolazione delle merci e gli accordi internazionali stipulati in sede Wto), la proposta appare economicamente impraticabile. Secondo un’analisi presentata da Francisco Areal dell’Università di Reding, se l’Europa, che attualmente importa circa il 75% del proprio fabbisogno di soia, chiudesse le porte a quella ogm (quasi il 90% del totale), il prezzo della coltura non transgenica schizzerebbe del 291%. Formaggi e salumi diventerebbero prodotti di lusso. Ricordiamo che ora per l’Italia il deficit derivante dall’import-export di mais e soia ha superato i 2 miliardi di €.
Se il discorso import verrà probabilmente archiviato senza troppe remore, resta sul campo la questione coltivazione. L’Italia, come altri 18 Stati membri, ha ribadito la sua scelta di vietarla e sembra altamente improbabile che, a breve termine, possa esserci un cambio di posizione. Ma a sparigliare le carte in tavola potrebbero essere le cosiddette “biotecnologie di nuova generazione”, tecniche come la cisgenesi (modificazioni mirate analoghe a quelle ottenibili da incrocio) e il genome editing (la tecnica del taglia-cuci di segmenti di dna) che, evitando il ricorso alla transgenesi, potrebbero essere accolte dall’opinione pubblica e dal legislatore in maniera più favorevole, aprendo le porte ad un’innovazione più diffusa, pubblica e magari più focalizzata sulle esigenze dei nostri agricoltori. «In realtà – ha puntualizzato Michele Morgante, presidente della società italiana di genetica agraria – dal punto di vista scientifico gli ogm non sono certamente meno sicuri dei nuovi metodi, che in parte rispondono a finalità diverse. Il punto è che queste nuove tecnologie hanno un profilo che può essere di sostanziale equivalenza con un prodotto convenzionale. Una pianta ottenuta con genome editing è impossibile da distinguere da una ottenuta con un tradizionale incrocio».
Si tratta insomma di diventare un po’ più “scaltri” e tattici nel far digerire le biotecnologie in agricoltura, anche se le speranze sono appese a un filo. «Da tre anni attendiamo un parere della Commissione Ue sull’inquadramento di queste tecniche. La posizione Efsa è che non andrebbero fatte rientrare nella normativa sugli ogm. Voci di corridoio, ma non c’è niente di ufficiale, sembrerebbero però indicare una posizione opposta della Commissione». Intanto il resto del mondo si muove. Il Canada, che come gli Usa non ritiene le due tecnologie assimilabili agli ogm, ha già messo in commercio una colza ottenuta con genome editing. Se e quando arriverà da noi l’Europa sarà costretta a pronunciarsi.
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