Aggregazione, una medicina che può aiutare a curare il mais

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Pellizzari (Confcooperative Veneto): «Se non cambiamo modo di vendere, questa coltura in Italia è destinata a sparire»

Tutti intorno al capezzale di un malato molto grave. Grave da tempo, ormai, ma che per fortuna non è ancora morto, nonostante gli ultimi anni lo abbiano messo a dura prova.

Il malato molto grave è il mais italiano, a cui Confcooperative Veneto ha dedicato recentemente un convegno in quel di Montecchio Maggiore (Vi), per lanciare un messaggio di speranza ai nostri maiscoltori.

«Dobbiamo puntare sull’aggregazione perché, per lo meno sul lungo periodo, non possiamo pensare che il prezzo del mais venga stabilito per decreto – ha commentato Carlo Piccinini, presidente di Confcooperative Fedagripesca nazionale – perché comunque siamo in un mercato globale e si creerebbero delle storture. Se vogliamo guadagnare, dobbiamo diventare più efficienti in campagna e nel settore della trasformazione e più forti commercialmente, colmando il divario tra parte agricola e consumatore finale. Chiaramente è necessario anche il supporto della politica, se non altro per salvaguardare le nostre produzioni dalle importazioni di prodotti che vengono coltivati senza regole, cosa che crea sperequazione».

Una fotografia inquietante

Il presidente del settore Grandi Colture Fedagripesca Confcooperative Veneto Emilio Pellizzari ha scattato la fotografia del mais italiano oggi.

Il tasso di autoapprovvigionamento del mais. Fonte: Elaborazioni Dario Frisio su dati Istat - campagna ottobre-settembre

«Il mais è fondamentale per la nostra regione, ma negli anni si è registrato un allontanamento delle aziende agricole da questa coltura – ha amaramente constatato Pellizzari – nonostante una piccola ripresa nelle produzioni la scorsa stagione. Le superfici a livello nazionale si sono quasi dimezzate dal 2012 a oggi e lo scorso anno siamo scesi sotto i 500mila ettari (minimo storico). Le rese e le produzioni complessive nella scorsa stagione sono aumentate, ma venivamo da un 2022 negativo. Per contro, le importazioni aumentano ogni anno, il tasso di approvvigionamento nel 2023 ha toccato un altro minimo storico (41%) e quest’anno potrebbe scendere sotto il 40%. Quanto ai prezzi, stiamo sì tornando ai livelli prima della pandemia, dell’impennata delle materie prime e della crisi geopolitica (201 €/t alla Borsa Merci di Bologna a fine febbraio), ma i costi di produzione sono rimasti alti (220 €/t in Veneto). Trovare spazio sul mercato oggi è a dir poco difficile – ha concluso Pellizzari –. Come costi di produzione abbiamo ancora qualche possibilità di abbassarli attraverso la cooperazione tra aziende medie e piccole. Per spuntare qualcosa di più dobbiamo aggregarci e cambiare sistema di vendita, altrimenti il mais in Italia è destinato a sparire del tutto».

I fondamentali del mais a livello italiano e internazionale sono stati tracciati da Annachiara Saguatti di Areté. «Il mercato mondiale del mais risulta ben approvvigionato grazie alla produzione particolarmente abbondante del continente americano (record in Usa e Argentina, seconda produzione più alta in Brasile) – ha riferito Saguatti –. Il conflitto continua a limitare la produzione ucraina, con un calo della disponibilità iniziale (stock iniziali + produzione) del 4% rispetto al 2022/23. Nonostante le preoccupazioni dovute al termine della Black Sea Grain Initiative, le esportazioni ucraine continuano a mantenere un buon ritmo, determinando prezzi in discesa su tutte le principali piazze per tutta la campagna. Anche se attualmente il conflitto Russia-Ucraina non sta ostacolando direttamente le esportazioni – ha concluso l'analista – un inasprimento potrebbe nuovamente portare a difficoltà logistiche e a limitazioni per la produzione ucraina. I costi di produzione rimangono elevati, sia sui fertilizzanti sia sui carburanti, per cui non si tornerà ai livelli pre-crisi».

Agricoltura rigenerativa

Ad Amedeo Reyneri Di Lagnasco dell’Università di Torino è toccato il compito di spiegare perché l’aggregazione è un mezzo per adottare il nuovo modello dell’agricoltura sostenibile, ovvero l’agricoltura rigenerativa. «Oggi è necessario spostare l’attenzione dalla riduzione dei fattori della produzione (meno concimi, meno agrofarmaci) agli interventi strutturali per la riduzione dei costi unitari. Per ragionare in questo senso occorre stimolare l’impiego delle cover crop piuttosto che i vincoli di rotazione, incentivare le colture efficienti che danno elevate produzioni, residui colturali e bilancio carbonico positivo (come appunto il mais), promuovere investimenti strutturali orientati a sistemi e tecniche più efficienti, favorire una meccanizzazione efficiente e con riflessi concreti su costi e produttività (vedi seminatrici e sarchiatrici di precisione) piuttosto che attrezzature complesse (e costose) per il rateo variabile. Siamo di fronte a una grande trasformazione: rapida “perdita” delle aziende agricole cerealicole “tradizionali”, affermazione di tecnologie “difficili” e costose, necessità di trovare nuovi modi più mirati di fare agricoltura secondo modelli di agricoltura rigenerativa, necessità di aggregare l’offerta e promuovere le “filiere organizzate”, opportunità di tradurre in termini economici l’adozione di modelli agricoli più rispondenti alle esigenze. Per tutti questi motivi – ha concluso il professore – l'aggregazione è un fattore chiave e a guidarla ci deve pensare il sistema cooperativo, inglobando anche le aziende contoterzi, perché sono quelle che in questo momento gestiscono una parte grossa del nostro areale agricolo».

In un contesto di crisi globale non bisogna perdere d’occhio le opportunità che un’agricommodity come il mais ha comunque a disposizione. «Ci sono tre soluzioni sfruttabili – ha spiegato Andrea Cagnoni di Grain Services – ovvero i beni fungibili (come le macchine efficienti), le riserve di valore, una delle quali è la terra, e infine le alleanze e la copertura del rischio: bisogna quindi aggregarsi per ottimizzare i processi di produzione».

In chiusura è intervenuto anche il presidente del Settore Grandi Colture Daniele Castagnaviz che ha posto l’accento sulla «necessità di superare il divieto di monosuccessione previsto dalle nuove normative in materia di Pac, per consentire la coltivazione in deroga del mais in rotazione per 2 anni su 3, nei soli areali vocati ovvero nelle sole aree irrigue delle 5 regioni della Pianura padana. Una soluzione sostenibile da un punto di vista ambientale e agronomico».

La politica batta un colpo

Mario Vigo, maiscoltore da sempre e ideatore del protocollo Combi Mais nella sua azienda, non ci sta. E per l’ennesima volta fa appello alla politica europea perché intervenga a sostegno di una coltura strategica come il mais.

Mario Vigo, ideatore del protocollo Combi Mais

«Se facciamo i conti, nel 2023 (prezzo del mais 23 €/q), per pareggiare i costi, era necessaria una produzione di 160 q/ha contro i 101 del 2022 (prezzo del mais 37 €/q) e i 142 del 2021 (prezzo del mais 19 €/q). I costi di produzione (affitto compreso) sono aumentati dai 2.705 €/ha del 2021 ai circa 3.700 €/ha nel 2022 e nel 2023. Anche se aggiungiamo il ricavato della Pac, quantificabile ormai in 150 €/ha, è evidente che coltivare mais in modo redditizio è ormai impossibile».

«La nuova Pac va ripensata – continua Vigo – perché tutto il contesto è stato stravolto in particolare dal Covid e dal conflitto Russia-Ucraina. Anziché tagliare i titoli, la Politica agricola comunitaria doveva creare un paracadute per tamponare la crisi, vistoche oggi i prezzi sono come al solito volatili e i costi sono rimasti elevati. I dati del Censimento 2020 indicano un calo significativo di aziende agricole, io aggiungo che si sta mettendo fuori gioco una tipologia di azienda agricola che è quella cerealicola. E l’andamento dei prezzi non aiuta a correggere questa situazione, con il rischio di un ulteriore calo delle semine a mais da granella anche quest’anno».

Come si può limitare questo andamento schizofrenico dei prezzi?

«Come prima cosa occorre fermare l’importazione selvaggia che oggi vede entrare in Italia di tutto e di più. È evidente che bisogna creare un percorso di valorizzazione del prodotto italiano, anche perché io sono fermamente convinto che il prodotto che entra in Italia non ha la stessa qualità del mais italiano. Quest'ultimo, se coltivato con i protocolli giusti, ha un valore nutritivo sicuramente maggiore, lo conferma la differenza tra i pesi specifici di partite di mais estero ungherese o ucraino rispetto a quello italiano. Purtroppo, però, questa differenza di qualità spesso a livello mercantile non viene riconosciuta.

In secondo luogo, bisogna che l’Ue studi qualche intervento per alleggerire la situazione di un mercato che è diventato pesante, evitando che il prodotto estero si fermi in Italia e aprendo anche agli aiuti di Stato sulle coltivazioni in forte crisi come il mais. Per rispettare la sostenibilità l’agricoltore oggi ha dei costi maggiori che ricadono tutti sulle sue spalle. Cioè, fare ambiente costa all’agricoltore ogni anno qualcosa di più, che non gli viene riconosciuto con un prezzo superiore, e allora almeno il maggior costo andrebbe spalmato su tutta la filiera».

Sono anni che per il mais si lancia un grido d’allarme, ma la situazione purtroppo non migliora?

«Politicamente le nostre organizzazioni non hanno sentito il dovere di difendere questa coltivazione, tanto che si sono dovuti muovere i trattori perché qualcosa cambiasse. E sinceramente non capisco perché: il mais è una coltivazione strategica per la sua “multifunzione” produttiva e ambientale. Insomma, serve più polso».

Nonostante tutto continuerà a coltivare mais nella sua azienda?

«Assolutamente sì, sia quello alimentare sia quello zootecnico. Il nostro protocollo Combi Mais prevede il ricorso alle cover crop già da anni, per non parlare di altre tecniche innovative e qualitative che consentono di mantenere la coltivazione del mais un po' più redditizia di quella tradizionale».

Aggregazione, una medicina che può aiutare a curare il mais - Ultima modifica: 2024-03-06T17:47:24+01:00 da Francesco Bartolozzi

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