Dazi, l’Europa non scelga il braccio di ferro

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Nell'editoriale di Terra e Vita n. 36/2024 Paolo De Castro ricorda come la bilancia commerciale con gli Stati Uniti sia sbilanciata a favore dell'Ue e dell'Italia e invita la nuova Commissione a cercare un compromesso con Trump

Dall’India al Giappone, dalla Cina agli Stati Uniti. Negli ultimi tempi stiamo vedendo rigurgiti protezionistici un po’ in tutto il mondo. Di certo, però, a preoccupare di più il settore agroalimentare europeo e italiano sono i dazi che minaccia di imporre il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump appena si insedierà alla Casa Bianca, sulla falsa riga di quanto fece durante il suo primo mandato. Difatti, le bilance commerciali dell’Europa e dell’Italia nei confronti degli Usa (e anche della Cina), sono nettamente sbilanciate a nostro favore. Di questo dobbiamo prendere atto.

In questi anni il nostro Paese ha incrementato molto le esportazioni di cibi e bevande oltre oceano, tanto che nel 2024 sfioreremo gli otto miliardi di euro.

Un valore ormai prossimo a superare quello delle vendite in Germania, storicamente il primo mercato estero per pasta, vini, passate, salumi e formaggi italiani. Un risultato positivo ma che rischia di diventare un boomerang se Trump utilizzerà lo stesso metodo di otto anni fa per imporre i dazi aggiuntivi. Allora scelse gli Stati e i prodotti da colpire proprio in base al fatturato. La Francia era la prima esportatrice di vini negli States e per questo furono introdotti balzelli per le bottiglie bordolesi e borgognone. L’Italia era leader nell’export di formaggi, ecco le tasse doganali su Parmigiano Reggiano e Grana Padano, che in poco tempo fecero perdere ai nostri prodotti lattiero-caseari il 10% del mercato. Ma oggi siamo in testa anche per le vendite di vino, liquori e pasta.

Anteprima di Terra e Vita 36/2024

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Da qui deriva la comprensibile preoccupazione di tutti gli attori delle filiere coinvolte. Un calo della domanda a causa dei dazi avrebbe un effetto immediato su di loro.

Se prendiamo il lattiero-caseario, possiamo immaginare uno scenario nel quale i prezzi del latte scenderebbero, mettendo in difficoltà gli allevatori, mentre le aziende di trasformazione dovrebbero rivedere i loro piani produttivi, con immaginabili conseguenze sulla forza lavoro. E secondo il Censis quello agroalimentare è ormai il primo settore manufatturiero italiano per volumi di export.

Di fronte a tutto questo bisogna lavorare per abbassare i toni e trovare un compromesso. Ad esempio, Bruxelles potrebbe concedere più spazio ai semi oleosi e alle carni statunitensi.

Ma anche incrementare gli acquisti da Washington di gas e altre materie prime di cui l’Europa è deficitaria. Perché un braccio di ferro non gioverebbe, soprattutto a noi. Non abbiamo molte alternative per recuperare altrove eventuali quote di mercato che perderemmo negli Stati Uniti. Basti pensare che il valore delle nostre spedizioni verso Pechino è nell’ordine di qualche centinaio di milioni di euro.

E poi l’Europa deve mettersi nell’ordine di idee che non è più il centro del mondo e non può imporre standard agli altri Paesi con i quali commercia, deve contrattare.

Il Vecchio continente resta un mercato importantissimo ma non ha più la dimensione che aveva anche solo venti o trent’anni fa. Oggi, ad esempio, pretendere che soia e olio di palma che varcano i confini dell’Unione non siano stati coltivati su terreni deforestati, seppur condivisibile come principio, ottiene come risultato solo che Brasile e Argentina vendano le loro commodity altrove, in India e in Cina. Speriamo quindi che la nuova Commissione europea appena insediatasi affronti questi temi con un approccio pragmatico, volto a favorire uno sviluppo sostenibile dal punto di vista etico e ambientale ma anche economico.

Dazi, l’Europa non scelga il braccio di ferro - Ultima modifica: 2024-11-27T08:14:54+01:00 da Simone Martarello

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