In un mondo che corre più veloce della nostra capacità di interpretarlo, l’export agroalimentare italiano rappresenta una delle poche certezze su cui ancora possiamo contare. Ma questa solidità non basta più. La nuova geografia del commercio globale non premia chi si limita a presidiare i mercati tradizionali: chiede elasticità, informazioni tempestive, investimenti e una diplomazia economica più muscolare.
È il messaggio emerso con chiarezza dal IX Forum Agrifood Monitor di Nomisma: se l’Italia vuole restare protagonista del made in Italy nel mondo, deve cominciare a ragionare in termini di presidio strategico, non di semplice presenza.
Export italiano oltre i 70 miliardi: crescita non si arresta
Il 2025 si chiude con un risultato storico: l’export agroalimentare supera per la prima volta i 70 miliardi di euro, grazie al +5,7% dei primi nove mesi.
Nomisma colloca così l’Italia:
- nono Paese esportatore mondiale,
- secondo Paese per crescita degli ultimi cinque anni (+55%).
L’Europa traina (+9%), con performance straordinarie in Polonia (+17,3%), Romania (+11,1%), Repubblica Ceca (+9,1%) e Spagna (+14,5%). Più debole invece la spinta dei mercati extra-Ue (+4%), frenata da Stati Uniti (-1,1%) e dall’arretramento di Russia e Giappone.
«In un contesto dominato dall’incertezza, la diversificazione è un’urgenza strategica» ricorda il presidente di Nomisma Paolo De Castro. «La competitività si costruisce con analisi, strumenti e relazioni solide: è il percorso che stiamo portando avanti con Crif e Simest».
Usa: mercato indispensabile, ma sempre più complesso
Il rapporto con gli Stati Uniti resta centrale, ma attraversa una fase di tensione. Due le variabili chiave:
- svalutazione del dollaro (oltre –10% da inizio anno);
- dazi del 15% dell’Amministrazione Trump, che ad agosto hanno fatto crollare l’export italiano fino a –22%.
Eppure i fondamentali del mercato parlano chiaro: gli Usa importano 211 miliardi di dollari di agroalimentare, con una crescita del 50% in cinque anni. E gli acquisti di made in Italy sono aumentati del 66% dal 2019 al 2024, rendendo l’Italia terzo fornitore dopo Canada e Messico. Le categorie più performanti:
- derivati della carne e cioccolato: +50% e differenziale di prezzo >40%;
- olio d’oliva, vini, liquori, aceti: oltre il 25% dell’export mondiale italiano, con premio di prezzo del 30%.
Gli Stati Uniti restano centrali: la posizione di Beretta
La misura della posta in gioco emerge con chiarezza dalle parole di Beretta, intervenuto al Forum:
“Gli Stati Uniti rappresentano per noi una grande opportunità, anche se costituiscono solo una parte del nostro export. Stiamo inviando un messaggio forte: si tratta di un risultato conseguito, ma intendiamo rafforzare la nostra posizione lì, pur in presenza di dazi al 15%.”
Una dichiarazione che rispecchia la situazione di tutta la filiera: l’olio extravergine italiano negli Usa trova consumatori attenti, maturi, consapevoli dei benefici nutrizionali. Ma dazi, costi logistici e assicurativi impongono un approccio nuovo: non basta esportare, serve presidiare, consolidando partnership distributive e comunicazioni basate su autenticità e reputazione.
Dove crescerà il Made in Italy nei prossimi 10 anni
Il Forum ha messo in luce un’accelerazione inattesa: alcuni mercati stanno crescendo più degli Stati Uniti e rappresentano il vero terreno di gioco del prossimo decennio.
Dal 2014 a oggi, gli acquisti di agroalimentare italiano sono cresciuti oltre il 12% annuo in:
- Messico
- Polonia
- Romania
- Corea del Sud
A questi si aggiungono Australia e Brasile, mercati dove l'Italian lifestyle beneficia della presenza di comunità italiane e di una ristorazione che potrebbe presto ottenere il riconoscimento Unesco.
«La sfida dei prossimi anni sarà diversificare, innovare e presidiare» sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare Nomisma. «Esistono Paesi in grado di diventare il nuovo volano dell’export italiano».
Accordi di libero scambio: la leva più potente
La politica commerciale europea si conferma determinante.
1. Ue–Mercosur
- 260 milioni di consumatori
- PIL complessivo > 3.000 miliardi di dollari
- export agroalimentare italiano: 440 milioni, +68% in cinque anni
2. Accordo Ue–Indonesia
- 287 milioni di abitanti
- export italiano: 90 milioni, +58% dal 2019
Per vino, pasta, lattiero-caseario e olio d’oliva si tratta di opportunità ancora ampiamente inesplorate.
Settore alimentare italiano: solido ma sotto pressione
Sul versante economico-finanziario, il quadro Crif conferma una tenuta robusta:
- tasso di default al 3%
- sostenibilità del debito buona (DFL/EBITDA 2,5x)
- copertura degli oneri finanziari elevata (8x)
Persistono però criticità:
- ritardi nei pagamenti oltre i 90 giorni
- pressioni su logistica e settori vulnerabili al clima
- indebitamento elevato ma ancora sostenibile
«Per governare la volatilità – spiega Simone Mirani di Crif Ratings – serve flessibilità finanziaria. È l’unico modo per affrontare dazi, shock valutari e tensioni geopolitiche senza perdere competitività.»
Formaggi, olio, vino e salumi tra opportunità e timori
Le testimonianze dei consorzi hanno evidenziato una realtà sfaccettata:
- Parmigiano Reggiano: negli Usa da 20 a 55 $/kg, forte sensibilità alle politiche tariffarie;
- vini italiani: otto miliardi di export, ma rischio rallentamento;
- olio d’oliva: mercato Usa cruciale, ma grandi potenzialità nei Paesi emergenti;
- salumi e carni trasformate: Usa imprescindibili.
Messaggio comune: la qualità è la nostra forza, ma senza stabilità commerciale non si va lontano.
Autenticità e diplomazia alimentare: la sfida Unesco
Sul fronte culturale, l’Italia guarda con grande attesa al riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale Unesco, atteso per il 10 dicembre a Nuova Delhi. La discussione si intreccia a un nodo strategico: l’autenticità delle materie prime utilizzate nei ristoranti italiani nel mondo.
Come ricordato Nicola Bertinelli nel suo intervento: «La cucina italiana è la seconda più diffusa al mondo, ma non può esistere una vera cucina italiana senza ingredienti autentici. Troppo spesso nomi e ricette vengono usati impropriamente, e in certi casi si delocalizzano produzioni per aggirare dazi». Il tema riguarda tutti: dal Parmigiano Reggiano all’olio extravergine. Il richiamo è diretto:
«Serve un censimento globale dei ristoranti italiani – ha detto Bertinelli –. La tecnologia lo permette. E chiamare "parmesan" ciò che non è Parmigiano Reggiano non può più essere tollerato». Difendere l’autenticità significa proteggere cultura, valore e identità.
La prospettiva
Il quadro emerso dal Forum è chiaro: l’Italia ha la forza per restare protagonista dell’agroalimentare mondiale, ma il futuro sarà multipolare. Gli Usa resteranno un faro, ma non potranno più essere l’unico. La vera partita si giocherà su:
- diplomazia economica forte,
- presidio sistematico dei mercati,
- investimenti in intelligence competitiva,
- difesa dell’autenticità e della qualità.
L’Italia oggi ha un’opportunità rara: non limitarsi a esportare cibo, ma esportare cultura, identità e stile di vita. Sta alle nostre filiere avere il coraggio di salire a bordo di questo treno — sapendo che non passerà due volte.













