«La prossima Pac dovrà ripensare gli ecoschemi, immaginare modelli che possano garantire reddito agli agricoltori e con una forte dotazione per la gestione del rischio, simili al Farm bill americano». Ha le idee molto chiare sul futuro del settore primario il presidente di Confagricoltura e da poco eletto alla guida del Copa Massimiliano Giansanti.
E poi ci sono le misure urgenti e assenti nella Legge di Bilancio, il delicato incarico europeo nel nuovo contesto geopolitico, la prossima Pac che dovrà prendere ampie distanze dall’attuale, la strategicità dell’agricoltura che fatica a entrare nell’agenda politica, l’importanza degli strumenti finanziari poco accessibili e quelli assicurativi, il coordinamento Agrinsieme.
Questo governo ha più volte sottolineato la centralità dell’agricoltura per l’economia del Paese. Si aspettava di più dalla Legge di Bilancio?
«Vista la complessa situazione in cui verte l’agricoltura italiana certamente mi sarei aspettato qualcosa in più in termini di risorse. Ma capisco che come Paese dobbiamo rispondere del debito accumulato in passato e che quindi era difficile trovare ulteriori fondi per il comparto. Ma ci sono almeno tre emergenze che andavano sostenute in altro modo per far ripartire nel minor tempo possibile il sistema produttivo fortemente penalizzato».
Quali?
«Rispetto ai danni legati alla peste suina africana, alla blue tongue e all’influenza aviaria serviva un impiego di risorse adeguate. Invece queste tre tematiche vengono affrontate con fondi non sufficienti. Ci sono gli emendamenti, speriamo che durante la discussione sulla Legge di bilancio possano essere trovate queste risorse».
Altre misure sacrificate nella Manovra?
«Ci aspettiamo che venga rafforzata la struttura di Agricat, perché oggi più che mai abbiamo necessità di un piano assicurativo che dia certezze e di una struttura di gestione che possa tempestivamente ristorare i danni subiti dagli agricoltori a seguito degli eventi catastrofali, legati al cambiamento climatico, che sempre più spesso colpiscono il nostro territorio».
Recentemente è stato eletto presidente del Copa. Avrà l’onore e l’onere di rappresentare oltre 22 milioni di agricoltori europei in questa delicata fase. Qual è la priorità del suo programma?
«Stiamo vivendo una stagione complicata. Veniamo dal periodo buio del Covid, stiamo subendo gli effetti delle due guerre e, in questa dimensione, sta cambiando completamente la geopolitica. Se guardiamo ai Paesi dell’area Brics troviamo che il Brasile è il massimo produttore al mondo di proteine vegetali per animali. La Russia è il principale esportatore di frumento a livello mondiale. La Cina è il primo detentore di commodity agricole. E l’India è un grande Paese con una politica agricola in forte ascesa. Tanto che più volte Narendra Modi ha rischiato di andare a casa proprio per le rivolte degli agricoltori. In questo scenario l’Europa è schiacciata dal peso dei Paesi Brics.
Ma non solo, con l’elezione del presidente Trump anche negli Usa ci sarà una rivisitazione della capacità produttiva e competitiva dell’agricoltura americana. E Trump, nel mandato precedente, ha già dimostrato che se necessario sa usare i dazi. La priorità è assicurare agli agricoltori europei un giusto reddito e soprattutto realizzare un'adeguata politica agricola europea nell’accezione più ampia. Quindi di più politiche che abbiano una visione strategica forte, capace di accompagnare un settore cardine nell’asset della comunità stessa».
La nuova Pac 2028-2034 andrà definita calibrando il tiro e correggendo tutto quello che non ha funzionato nell’attuale, forse la più contestata di sempre. Pensa che la nuova Commissione abbia chiaro il cambio di rotta?
«Che l’attuale Pac fosse fatta e scritta male lo avevamo già segnalato prima dell’adozione e del voto del 2021. Questa Pac è vecchia. Non tiene conto del Covid né degli effetti del conflitto russo-ucraino. È una politica ideologica che non guarda alla produttività e alla competitività degli agricoltori europei. È necessario fin da subito un netto cambio di passo e auspichiamo che il futuro commissario sappia essere forte, autorevole e che non risponda esclusivamente a logiche di interessi superiori, ma che metta al centro due elementi fondamentali: proteggere il reddito degli agricoltori e assicurare la sovranità alimentare in Europa e dall’altra parte garantire un giusto prezzo per i prodotti agricoli acquistabili dai cittadini».
Qual è la formula giusta per riuscire a coniugare le richieste degli agricoltori con gli obiettivi di mitigazione dell’impatto ambientale e le esigenze del bilancio Ue?
«La futura Pac dovrà ripensare tutto il tema degli ecoschemi, immaginare dei modelli che possano garantire il reddito degli agricoltori sul modello del Farm bill americano, quindi con una forte dotazione per la gestione del rischio. È altresì fondamentale intervenire con misure accoppiate ai singoli settori produttivi che di anno in anno vanno sostenuti. Per gli altri settori strategici dell’agricoltura andrà immaginato un modello più flessibile e semplificato, che tenga conto anche dell’adeguamento del budget all’inflazione. Oggi abbiamo una Pac troppo burocratica: è un complesso di norme non più sostenibile. Quindi ci vuole una Pac che guardi alla semplificazione e alla sburocratizzazione. Poi c’è tutto il tema delle politiche ambientali che, come previsto nel dialogo strategico, devono essere finanziate con fondi esterni alla Pac. La Pac deve tornare a essere una politica agraria ed economica. Il sostegno alle tematiche ambientali o sociali dovrà essere coperto con ulteriori fondi. Quello che noi chiediamo è anche un budget per la Pac e per le misure collaterali completamente diverso, e molto più sostanzioso, rispetto a quello assegnato fino a oggi».
Per accrescere la forza delle imprese agricole è fondamentale facilitare l’accesso agli strumenti finanziari. Il sostegno del sistema bancario e delle istituzioni è soddisfacente?
«Le misure finanziarie di accesso al credito e agli strumenti assicurativi saranno fondamentali per il futuro degli agricoltori che, ricordo, garantiscono anche la tenuta ambientale delle aree interne e la funzione sociale delle stesse e che per questo dovrebbero avere tutti quegli strumenti necessari che permettano loro un facile accesso bancario, semplicità nella gestione più complessiva delle linee di affidamento e investimento. Ma troppo spesso non vengono trattati da imprenditori con la “I” maiuscola quali invece sono. Le assicurazioni sono ulteriori strumenti a garanzia sia dell’imprenditore che delle banche stesse, perché nel momento in cui la gestione economica è comunque garantita da una polizza assicurativa che interviene, qualora ci fossero eventi catastrofali o crolli sui prezzi delle commodity, le banche possono sentirsi rassicurate. Certamente dovremo ragionare anche come Copa con la Bce perché troppe norme all’interno dei vari accordi di Basilea non rendono semplice l’accesso al credito per gli agricoltori».
Per le aziende avviate da giovani imprenditori la questione si complica ancora di più.
«Per i giovani c’è un tema molto più ampio legato anche alla mobilità dei terreni. Devono essere immaginati strumenti nuovi che possano permettere agli agricoltori di avere disponibilità di terra ma soprattutto di avere la possibilità di essere loro stessi garanti dell’operazione che vanno a fare. Va immaginato un nuovo modello da concordare con i progetti di Ismea, proprio per cercare di rafforzare la capacità di sostegno all’acquisto delle terre da parte dei giovani. C’è anche il tema legato al costo del terreno, il valore fondiario cambia molto da area ad area in Italia e in Europa.
L’accesso dipende molto dal prezzo d’acquisto dei terreni. Una soluzione potrebbe essere, per esempio: coinvolgere le grandi fondazioni bancarie o Cassa depositi e prestiti affinché comprino terra per ridarla poi ai giovani a un prezzo di affitto sostenibile in una logica di investimento di lungo periodo».
Mi dica una tematica agricola urgente, la più urgente, che fatica a entrare nell’agenda politica italiana ed europea e perché?
«La strategicità dell’agricoltura. Il settore agricolo sia nella vulgata comunicativa sia nel pensiero politico non è un’attività imprenditoriale. Gli agricoltori sono trattati come se fossero una parte dell’economia, dell’ambiente, della socialità. Invece gli agricoltori sono imprenditori a tutti gli effetti, fanno un bilancio, e la sofferenza del bilancio delle aziende agricole è evidente a tutti. Quindi quello che chiediamo è un’attenzione al settore agricolo al pari del settore dell’industria e del commercio.
Abbiamo bisogno di essere accompagnati nella capacità di produrre di più e di essere più sostenibili, perché è certamente importante mantenere gli standard di sicurezza alimentare. E qui mi collego agli accordi commerciali, come ad esempio il Mercosur che si sta discutendo in questi giorni. C’è l’urgenza di inserire nell’agenda politica il tema della reciprocità ponendo l’accento sulle difficoltà che gli agricoltori europei incontrerebbero per competere equamente con produttori esteri sottoposti a regole meno restrittive».
Agrinsieme, il coordinamento che rappresenta le aziende e le cooperative di Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari, esiste ancora?
«Certo. Con i presidenti del coordinamento ci sentiamo, ci vediamo abbastanza spesso, condividiamo strategie e visione sui grandi temi della politica italiana. Abbiamo deciso di suddividerci per argomenti per singolo settore di interesse associativo, quindi non vedete più il coordinatore, ma ci sono tutti i presidenti. Mentre sui singoli temi che non rientrano nell’ambito della delega abbiamo ovviamente una posizione unitaria. Il progetto continua.
Per noi l’amicizia di Cia, Copagri e Alleanza delle cooperative è un sentimento importante che ricambiamo, perché l’unitarietà della strategia nel rafforzamento più generale del comparto primario è fondamentale. Nell’ambito di un progetto più ampio di valorizzazione dell’agroalimentare italiano rientra, per noi di Confagricoltura, anche l’accordo con Unionfood. Fare sistema rende tutti più forti sui mercati».