Blockchain, un’opportunità in più per il biologico (e l’agroalimentare)

L’etica e le trasparenza di chi gestisce i dati restano però determinanti quanto, e più, della stessa tecnologia. Il tema è stato affrontato in un webinar organizzato da B/Open (VeronaFiere, 23 e 24 novembre)

Le vendite di biologico (vedi l’articolo di Pinton su Terra e Vita n. 29 alle pagg. 48-49), sia pure non così speditamente come negli ultimi anni, continuano comunque a crescere. L’attenzione da parte dei consumatori nei confronti di prodotti “green” e sostenibili, infatti, è sempre più netta e consapevole. Quando acquista prodotti biologici però il consumatore fa un vero e proprio “un atto di fede” non disponendo di strumenti per verificare se questi rispettano veramente i criteri di sicurezza decantati.

Al di là della fiducia riposta nelle ditte che lavorano seriamente oggi però esiste uno strumento di elevata efficacia in grado di garantire le caratteristiche di un prodotto sul mercato: la block chain, con la quale il biologico sta muovendo i primi passi. 

Se n’è parlano in un webinar organizzato da B/Open, la rassegna di Bio-foods e natural self-care che si terrà per la prima volta, pandemia permettendo, il 23 e 24 novembre alla Fiera di Verona.

La blokchain

«La blockchain è un registro digitale che contiene una serie di informazioni in forma di blocchi concatenati inseriti in ordine cronologico che non possono essere modificati ma che tutti possono vedere” ha spiegato Fabio Malosio, Blockchain solution manager di Ibm che è intervenuto all’incontro on line». Ci sono blockchain pubbliche (aperte a tutti) o private (permissioned) ma la loro struttura non cambia. Applicate inizialmente per la gestione delle valute virtuali (come il Bitcoin), oggi vengono utilizzate in tutti i settori, a garanzia della trasparenza delle transazioni, dalla finanza al settore agroalimentare.

«Nell’agroalimentare in generale così come nel biologico - aggiunge Malosio -, utilizzando la blockchain si può registrare la produzione dal campo allo scaffale. Poi, attraverso un qrcode stampato sulla confezione, il consumatore può ripercorrere tutti i passaggi del prodotto dalla materia prima fino all’arrivo nel punto vendita».

Chiaramente aderire a una blockchain ha un costo per il produttore ma questo è assolutamente sostenibile, ed anzi vantaggioso se si tiene conto del risultato che è possibile ottenere. Secondo Malosio questo costo sarebbe di circa 100 €/mese peraziende fino a 50 milioni di fatturato, 1.000 €/mese fino a 10mila euro e 10mila €/mese se si supera il miliardo di fatturato.

L’accreditamento

La tracciabilità di un prodotto però non è scevra di criticità.

«La normativa cogente - afferma Riccardo Bianconi, ispettore di Accredia (ente, sotto la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico, che accredita gli organismi di certificazione) - impone agli operatori l’obbligo della tracciabilità e della rintracciabilità a garanzia di sicurezza di un prodotto. Questa garanzia però presuppone dei momenti specifici di assunzione di responsabilità come quando si dichiara, per esempio, che una partita di prodotto agroalimentare è idonea all’uso».

In sostanza la criticità vera risiede nell’approccio etico e nelle modalità organizzative adottate affinché l’asserzione di idoneità corrisponda al vero. «L’assunzione di responsabilità di chi regista è determinante - ribadisce Bianconi -. La dichiarazione dello stato di un prodotto è basilare al di là di ogni indicazione di legge».

La normazione

Chiaramente alla base di tutto ci deve essere una normazione che individua le regole attraverso le quali si garantisce il corretto funzionamento di un sistema nel quale si sviluppa una leale competizione e consente di effettuare scelte consapevoli.

«La normativa ha la funzione di individuare quello che è un buon prodotto - spiega Piero Torretta, presidente di Uni (Ente italiano di normazione) - e, nello specifico dell’agroalimentare, ha l’obiettivo di dare al consumatore la possibilità di fare una scelta consapevole, anche come stile di vita. E nel caso specifico della blockchain per dare un contenuto ai dati».

La piattaforma Oip

Nel segmento del biologico Assocertbio (Associazione nazionale che raggruppa i principali Organismi di certificazione del biologico italiani) ha realizzato due anni fa la rete Oip (www.reteoip.eu) - Organic Integrity Platform -, piattaforma per la certificazione delle transazioni a livello europeo e mondiale sul bio. 

«L’utilizzo della piattaforma, che permette di archiviare i dati legati al processo di produzione - spiega il presidente di Assocertbio Riccardo Cozzo -, è del tutto gratuito. Stiamo valutando l’introduzione della blockchain nella nostra piattaforma ma già adesso i dati compresi sono certificati e non possono essere modificati senza che l’operazione sia ricondotta al singolo operatore. Grazie ad una direzione operativa di rete - conclude Cozzo - in caso di problematiche di non integrità di prodotto, riusciamo a intervenire scambiandoci i dati e controllando in maniera incrociata tutti gli operatori».

Un operatore evoluto

Daniele Grigi

«Oggi la blockchain è di moda - afferma Daniele Grigi - responsabile marketing del Gruppo Grigi di Bastia Umbra (Pg) e amministratore delegato di Food Italiae  - Divisione alimentare - ma è soprattutto necessario che tutti si convincono delle potenzialità che riveste, anche nei confronti del consumatore. Come Food Italiae abbiamo realizzato un cluster e per esser nostri fornitori è obbligatorio aderire alla blockchain. A livello aziendale la sfida più importante è legata all’organizzazione del lavoro: tutto deve essere preciso, corretto, verificato. Non ci è concesso di sbagliare e l’investimento è sul piano umano oltre che aziendale».

Blockchain, un’opportunità in più per il biologico (e l’agroalimentare) - Ultima modifica: 2020-09-26T12:47:39+02:00 da Alessandro Maresca

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