Il genere Juglans comprende ben 18 specie delle quali il noce comune (J. regia) e il noce nero (J. nigra) sono quelle economicamente più importanti sia in ambito europeo che italiano.
Anche se l’areale originario di provenienza si estende dai Carpazi in Europa orientale attraverso la Turchia, l’Iraq, l’Iran, l’Afghanistan fino a terminare in oriente nelle zone collinari ai piedi della catena dell’Himalaya, J. regia può essere reputata una specie naturalizzata europea ed italiana, visto che, all’epoca della civiltà greca e durante l’Impero Romano era già considerata domestica.
Solo dopo il XVI secolo il noce comune è stato introdotto nel Nord America. Percorso opposto ha avuto, invece, J. nigra che dal versante atlantico americano è stato importato in Europa nei primi decenni del 1600 ed impiegato più per la qualità del legno che per la commestibilità dei frutti.
Tratto da Terra e Vita 37/2022
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Mono o duplice utilizzo
Sebbene si assista ad una maggiore diffusione dell’arboricoltura da legno, l’utilizzo del solo noce comune per la produzione dei frutti costituisce ancora la più importante attività economica ed industriale legata a questa specie. Proprio quest’ultima, negli ultimi anni è oggetto di crescente interesse da parte degli imprenditori agricoli che, con il supporto di finanziamenti comunitari, si stanno orientando alla conversione dei terreni ex seminativi in noceti da frutto. Attualmente, gli impianti da frutto sono presenti dal Nord al Sud Italia in zone di pianura, collinari, pedemontane e montane, ricoprendo, così, un areale vasto e piuttosto frammentato, con notevoli differenze pedoclimatiche.
Le malattie che possono colpire il noce possono essere divise in due gruppi, a seconda che colpiscano gli organi epigei od ipogei della pianta. Fra quelle che colpiscono la parte epigea della pianta si possono annoverare, in ordine di rilevanza del danno causato: la maculatura batterica, l’antracnosi e la necrosi apicale bruna. A queste si aggiungono altre patologie oggi considerate minori (vedi in fondo) oltre alle malattie che interessano l’apparato radicale.
Maculatura batterica, malattia chiave
Tra gli agenti patogeni più pericolosi negli impianti di noce predomina il batterio Xanthomonas arboricola pv. Juglandis (Pierce) Dye. La malattia può interessare tutti gli organi verdi della pianta: sugli amenti i sintomi si presentano con imbrunimenti, disseccamenti e deformazioni, mentre sul fiore femminile, particolarmente suscettibile alle infezioni, possono comparire maculature o striature bruno-nerastre, la cui evoluzione conduce al suo avvizzimento e successivo distacco. Le foglie possono infettarsi in qualsiasi stadio di sviluppo.
Su di esse i sintomi si manifestano inizialmente come piccole macchie clorotiche con contorno angolare, i cui tessuti successivamente necrotizzano, causando deformazioni e lacerazioni del lembo. Le stesse tacche necrotiche più o meno allungate e con contorno irregolare possono manifestarsi anche sul rachide, sul picciolo e sui germogli sui quali possono causarne il completo disseccamento. Sui frutticini in fase di sviluppo, possono comparire macchie della dimensione di pochi millimetri, idropiche, di forma tondeggiante e leggermente depresse. Al contrario, infezioni più tardive portano alla comparsa di tacche depresse sul mallo, che col tempo tendono ad imbrunire e ad approfondirsi arrivando ad interessare il guscio e il gheriglio con aree nerastre che assumeranno una consistenza molle.
Xanthomonas arboricola pv. juglandis (XAJ) sopravvive come epifita sulla superficie delle foglie durante la stagione primaverile-estiva, in attesa di condizioni favorevoli alle infezioni, mentre trascorre l’inverno sui residui dei frutti caduti a terra, all’interno dei cancri rameali e soprattutto nelle gemme. Le infezioni primarie si verificano generalmente in primavera, poco dopo la ripresa vegetativa, quando il batterio colonizza gli amenti e le giovani foglie, mentre le infezioni secondarie avvengono tramite gli essudati batterici che fuoriescono dalle aree necrotiche. Il patogeno penetra nell’ospite principalmente attraverso le ferite, le cicatrici fogliari, gli stigmi fiorali e infine gli stomi, attraverso i quali il batterio può invadere lo xilema e colonizzare le gemme. Temperature comprese tra i 4 e i 30°C, con optimum tra i 20 ed i 28°C, elevata umidità relativa e la presenza di una prolungata bagnatura degli organi vegetativi sono le condizioni climatiche favorevoli per le infezioni che possono rendersi manifeste dopo appena qualche giorno.
I principali vettori del patogeno sono rappresentati dalla pioggia (che oltre a favorire la disseminazione dell’inoculo, facilita la penetrazione del batterio nei tessuti garantendo una prolungata umettazione dei tessuti vegetali), il vento, gli insetti e gli acari. Anche l’uomo può favorire la penetrazione del batterio utilizzando materiale di propagazione o strumenti di taglio contaminati, oppure attraverso la semplice raccolta dei frutti.
La minaccia antracnosi
Questa avversità, presente e segnalata in Italia già dagli anni ’20, è causata dal fungo Gnomonia leptostyla e dal suo anamorfo Marssonina juglandis. La malattia colpisce prevalentemente le giovani porzioni ancora verdi della pianta come le foglie, i germogli, il rachide e i frutti ma, solo in sporadiche occasioni, anche i rami, le branche e il tronco. Le avvenute infezioni si rendono manifeste con la comparsa di macchie bruno-nerastre, tendenzialmente tondeggianti, isolate sugli organi o confluenti, e spesso, ma non sempre, circondate da alone clorotico. Con il progredire della epidemia, la parte centrale delle lesioni tende ad assumere un aspetto grigio polverulento a cui successivamente fanno seguito vistose lacerazioni dei tessuti. Sui frutti, compaiono estese necrosi del pericarpo che, in caso di gravi attacchi, può indurne una precoce cascola. Alla necrosi del mallo può seguire anche l’alterazione ed atrofizzazione del seme. Anche sugli organi legnosi la manifestazione della malattia porta alla formazione di tacche necrotiche depresse che col tempo possono degenerare in cancri spesso fessurati, la cui profondità ed estensione dipende dalla precocità dell’attacco.
L’antracnosi viene favorita da un andamento climatico caldo-umido e da uno scarso arieggiamento della pianta, che si può verificare attraverso un eccessivo lussureggiamento della chioma, con un incontrollato sviluppo delle erbe infestanti, oppure con l’ombreggiamento eccessivo causato dalla vicinanza di boschi o di fasce frangivento. In condizioni favorevoli alla malattia si possono avere defogliazioni precoci, sviluppo di estesi cancri rameali a cui spesso segue il disseccamento di porzioni di chioma e degenerazione dei frutti, seme compreso.
Il patogeno sverna principalmente sulle foglie cadute a terra sulle quali sviluppa la forma perfetta G. leptostyla. Il rilascio delle ascospore, organi di riproduzione sessuata del fungo e principali responsabili dell’infezione primaria, per lo più coincide con la schiusura delle gemme e si protrae per un periodo di tempo piuttosto lungo, andando a coprire il periodo di maggiore recettività dell’ospite. Sui tessuti lesionati, invece, si differenziano gli acervuli di M. juglandis, piccoli corpiccioli brunastri spesso disposti in file concentriche, dai quali vengono rilasciati i conidi che assicurano le numerose infezioni secondarie che si susseguono dall’inizio della vegetazione fino al termine dell’estate. I danni possono risultare gravi su piante adulte di noce comune e noce nero, che risultano entrambe suscettibili alla malattia mentre, al contrario, M. juglandis non costituisce un problema in vivaio dove gli attacchi risultano sporadici e per lo più legati a situazioni colturali anomale, come l’eccessivo ombreggiamento.
Necrosi apicale bruna (NAB), la più recente
La Necrosi apicale bruna, comparsa all’inizio degli anni 2000, è causata da più specie di Fusarium spp. (es. F. semitectum, F. graminearum) che possono variare a seconda della località. L’alterazione viene aggravata nella sintomatologia dalla presenza contemporanea di diverse specie di Alternaria sp. oppure Colletotrichum sp. o Phomopsis sp.).
Il momento di maggiore recettività all’alterazione è il periodo della fioritura e immediata post-fioritura fino a quando gli stigmi rimangono turgidi. I frutti rimangono recettivi alla malattia fino alla chiusura del canale stilare anche se la suscettibilità diminuisce con l’avanzare della stagione e con l’ingrossamento del frutto. Fattori predisponenti sono, oltre alle varietà, il sistema di allevamento (intensivo a siepe sviluppato sul modello californiano con utilizzo di varietà a fioritura laterale come la varietà francese Lara o la californiana Chandler che produce una parete vegetata di fogliame e di germogli a fiore in risposta alla potatura meccanica, praticata su un lato), e le condizioni climatiche particolarmente umide che intercorrono nel periodo della fioritura.
Attacchi alla parte ipogea
Fra le avversità crittogamiche in grado di arrecare danno all’apparato radicale e al colletto delle piante di noce vi sono Armillaria mellea, Phytophthora cactorum, Sclerotium rolfsii, anamorfo di Athelia rolfsii e Cylindrocarpon destructans, agenti causali rispettivamente di marciume radicale fibroso, marciume del colletto, marciume scleroziale bianco e marciume canceroso.
Le piante colpite da marciume radicale fibroso manifestano una generale sofferenza, accrescimento stentato, clorosi e appassimento fogliare, a cui fa seguito il disseccamento più o meno rapido dell’intera chioma fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla morte per colpo apoplettico. Esaminando le radici di piante infette, è facile notare, al di sotto della corteccia, la presenza di un caratteristico feltro miceliare biancastro distribuito a ventaglio, e di rizomorfe, ossia cordoni miceliali prima color crema e poi bruni. Al piede e nelle vicinanze delle piante da lungo tempo infette, possono comparire i carpofori eduli conosciuti come chiodini o famigliole buone.
Le condizioni favorevoli per l’instaurarsi della malattia sono legate principalmente ad una elevata presenza di materiale organico indecomposto, suoli pesanti ed alcalini e al cattivo drenaggio del suolo.
Il marciume del colletto, conosciuto anche come “mal dell’inchiostro” causa un deperimento generalizzato della pianta di noce (con maggiore suscettibilità del noce comune rispetto al noce nero), una chioma rada con foglie clorotiche e avvizzite e getti ridotti, anticipata defogliazione. Sul colletto è possibile notare marcati imbrunimenti della corteccia ed ampie aree necrotiche che coinvolgono il tessuto cambiale potendosi estendere alle radici ed al tronco. La sua presenza è più frequente in noceti in produzione con cattivo drenaggio oppure eccessivamente irrigati.
Infine, per dovere di cronaca, vanno citati il marciume canceroso e il marciume scleroziale bianco che sono rari negli impianti in produzione mentre possono essere maggiormente presenti nei vivai.
Prevenzione agronomica
Se vengono rispettate le sue caratteristiche intrinseche e le sue esigenze pedoclimatiche, il noce va certamente annoverata tra quelle piante arboree dotate di una notevole vigoria che di per sé lo rende pressoché tollerante a molte fitopatie. Pertanto il terreno dovrebbe essere profondo, fertile e ben drenato. Sarebbe inoltre consigliabile mettere in atto pratiche agronomiche virtuose in grado di sfavorire lo sviluppo dei patogeni e la penetrazione nella pianta. Negli impianti da frutto in produzione, durante la stagione è buona norma evitare l’irrigazione per aspersione specialmente durante la fioritura e potare la pianta in modo da favorire la circolazione dell’aria all’interno della chioma.
Talismano rame
Nei soli impianti da frutto, si ha la necessità di intervenire contro l’antracnosi e soprattutto contro la batteriosi, vera e propria malattia “chiave”, per le perdite elevate che questa malattia è capace di causare alla produzione, impiegando i soli sali rameici. I prodotti cuprici, utilizzati contro la batteriosi, risultano al contempo efficaci contro l’antracnosi. In agricoltura integrata, per la difesa nei confronti dell’antracnosi possono essere effettuate anche applicazioni a base di captano (max 4 applicazioni /anno) e tebuconazolo (massimo 2 applicazioni/anno). Negli impianti adulti pertanto è consigliabile eseguire i trattamenti con sali di rame sia in autunno, durante la caduta delle foglie per proteggere le cicatrici fogliari e in primavera, a partire dalla ripresa vegetativa nella fase di schiusura delle gemme e proseguendo fino alla fine di giugno, quando la stagione estiva con la riduzione dell’umidità e le alte temperature unite alla minore succulenza dei tessuti ospite, riducono il pericolo d’infezione. Proprio perché la difesa contro questa avversità è ancora legata all’utilizzo di prodotti a carattere preventivo, i trattamenti vengono di solito eseguiti a calendario oppure in base alla piovosità. A causa della sensibilità al rame dei fiori, è sconsigliabile eseguire i trattamenti in piena fioritura. Vi sono tuttavia modelli previsionali, alcuni già impiegabili e altri in fase di implementazione, che potrebbero determinare più precisamente gli eventi infettivi in base alle condizioni climatiche predisponenti nelle diverse fasi fenologiche e pertanto ottimizzare i trattamenti effettuati.
Ciò sarebbe tanto più utile nel caso dei Sali di rame che sono soggetti alla limitazione di impiego di 4 kg di ione rame/ha/anno. Proprio in seguito a tale riduzione sono in corso da diversi anni una attiva sperimentazione volta a mettere a punto strategie di difesa senza l’impiego di Sali rameici oppure ad un loro impiego a bassa dose in miscela con induttori di resistenza o corroboranti.
Tab.1 La difesa anticrittogamica del noce
Avversità | Sostanze attive | Numero interventi |
Antracnosi (Gnomonia leptostyla) | Prodotti rameici (*) | |
Tebuconazolo | 2 | |
Captano | 4 | |
Necrosi apicale bruna Alternaria spp. Colletotrichum spp. | (Boscalid + Pyraclostrobin) | 2 |
Maculatura batterica (Xanthomonas campestris | Prodotti rameici (*) | (*) |
Cancro batterico (Pseudomonas syringae) | Prodotti rameici (*) | (*) |
(*) Si raccomanda di non superare il quantitativo di 4 kg di s.a./ha/anno | ||
Fonte Disciplinari produzione integrata Emilia - Romagna |
Le strategie per i vivai
Per quanto riguarda la protezione dei vivai, la problematica più rilevante riguarda il contenimento della batteriosi su noce comune che può essere ottenuto, oltre che con applicazioni cupriche, anche con l’adozione di pratiche colturali che facilitino la circolazione dell’aria nella vegetazione (come per esempio la scelta di una adeguata densità d’impianto e una corretta potatura), spesso rigogliosa, delle giovani piante. Di grande importanza è risultata la distanza d’interfila quando si operi in vivai con semina diretta in campo. Per le altre avversità, dato il loro carattere di sporadicità, si consiglia l’intervento solo quando il livello d’infezione od il pericolo di diffusione, come ad esempio per P. cactorum, sia tale da renderlo necessario.
Gli autori sono del Servizio Fitosanitario – Regione Emilia-Romagna
Malattie minori in agguato
Sul noce possono essere presenti anche altre malattie secondarie e attualmente considerate di minore importanza come il seccume fogliare lanuginoso causata da Microstroma juglandis e il cancro pustoloso causato Melanconium juglandinum, e della forma ascofora Melanconis carthusiana. La prima, comune nel Sud Italia, colpisce principalmente foglie e i germogli causando ampie porzioni bollosa, per lo più internervali, leggermente clorotiche successivamente cuoiose, spesso circondate da un alone clorotico. La seconda fitopatia coinvolge i tessuti corticali, cambiali e legnosi dove provoca evidenti striature bruno-nerastre. Il progressivo incedere dell’infezione può portare al deperimento della pianta. Entrambe, per le condizioni climatiche di sviluppo sono più presenti in Italia centro meridionale.
Alla stessa maniera in tutta Italia, sia in vivaio che in impianti in produzione, possono presentarsi infezioni causate da Cytospora juglandina (sin. Cyclothyrium juglandis), Diplodia juglandis, Phoma juglandina e Phomopsis juglandina, comuni agenti di cancri rameali, la cui gravità dei danni è di solito dipesa dalla intensità di altri fattori debilitanti della pianta come le gelate tardive, terreni pesanti, carenze e squilibri nutrizionali.