Le prime piante di caffè cresciute in Sicilia sono quelle dell’Orto Botanico di Palermo. Messe lì per ovvi motivi scientifici. Nel 1912, sul Bullettino Della Reale Società Toscana Di Orticultura, Vincenzo Riccobono pubblicò una nota dal titolo “Esperimenti sulla possibilità di coltivare il caffè in Sicilia” in cui evidenziò come le basse temperature dei mesi invernali, tipiche del clima mediterraneo, impedissero la coltivazione della specie nell’isola.
A distanza di oltre un secolo, la tropicalizzazione del clima siciliano impone di rivedere certe convinzioni circa la vocazionalità colturale dell’Isola. Non a caso l’idea di coltivare il caffè comincia a stuzzicare qualche imprenditore agricolo alla ricerca di nuove colture da reddito. Soprattutto dopo avere letto delle prove sperimentali in qualche modo incoraggianti realizzate nel capoluogo siciliano dal giovane Andrea Morettino, quarta generazione dell’impresa di famiglia che opera con successo nel settore della torrefazione.
L’idea di provare a coltivare le piante di caffè a Palermo è del papà Arturo che, durante il suo primo viaggio nelle terre del caffè, è rimasto affascinato e l’idea di un caffè nativo siciliano non l’ha più abbandonato.
Le prove “in giardino”
L’esperimento nel giardino della storica torrefazione di famiglia è composto da piante di Coffea arabica nate dai semi donati negli anni ‘90 dall’Orto botanico di Palermo messe a dimora nella borgata di San Lorenzo ai Colli. Da questi semi sono cresciute negli anni le piante del caffè di quella che, in occasione del centenario della torrefazione Morettino, a beneficio dei giornalisti, venne incautamente definita pomposamente “piantagione”. Un appellativo che fece scattare immediatamente (e immotivatamente) i controlli di uno squadrone di ispettori del lavoro che dovettero arrendersi di fronte all’evidenza di un errore madornale: si erano recati in un piccolo impianto sperimentale.
Delle piante messe a dimora qualcuna è morta, qualcun’altra è cresciuta in maniera stentata. Le fallanze via via sono state rimpiazziate con altre piante che in maniera quasi eroica hanno saputo adattarsi al clima siciliano e a latitudini di gran lunga superiori rispetto a quelle della “Coffee Belt” ovvero la fascia del pianeta compresa tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno.
Secondo gli esperti, i cambiamenti climatici hanno influito parecchio. Ma molto hanno fatto le cure dei Morettino che hanno coperto le superfici laterali e superiori delle strutture metalliche sotto cui si trovano gli arbusti del caffè con teli ombreggianti durante i mesi più caldi e soleggiati, sostituiti sulle volte delle serre da teli di Pvc durante l’inverno, per scongiurare la discesa delle temperature a un livello letale per le piante.
Niente chimica e solo tecniche di coltivazione naturali, anche per il controllo degli insetti dannosi, nell’impianto sperimentale su cui vigilano attenti anche gli esperti dell’Università di Palermo con cui la famiglia Morettino ha da qualche tempo instaurato una proficua collaborazione. «Tecnicamente non è bio per questioni di certificazione», spiega Andrea Morettino.
Il primo raccolto di questa micro piantagione (non supera un ettaro) è stato effettuato nel 2021: appena 30 kg. Che sono diventati 50 nel 2022 e che si prevede possano arrivare a 100 nel 2023. Si dovrà aspettare la fine dell’estate – la raccolta è scalare tra luglio e settembre – per capire come quest’anno ha risposto la coltura. Secondo Morettino dovrebbe andare meglio degli altri anni: «Il clima che ci ha regalato un pazzo maggio piovoso – afferma il giovane – ci viene incontro: serve parecchia umidità perché la pianta del caffè fiorisca e possa quindi dare origine alle preziose drupe».
Ma tra le ultime piogge quasi tropicali (brevi e intense) e i primi picchi di caldo è stato un lampo. Questo ha portato all’anticipo della fruttificazione (già a partire da fine maggio) confermando la tendenza a verificarsi di un “ciclo continuo” in cui si alternano fasi di fioritura e fasi di fruttificazione in diversi periodi sulle stesse piante. «Le piante hanno risentito un po’ delle ondate di calore e qualcuna è andata in sofferenza, abbiamo dovuto aumentare la frequenza e il volume degli adacquamenti». Non è detto, quindi, che le previsioni di produzione possano realmente verificarsi.
Raccolta e lavorazione
Le “ciliegie” (cosi si chiamano i frutti) vengono raccolte a mano. Segue la lavorazione con metodo Gold Honey: spolpatura manuale, fermentazione di 48 ore ed essiccazione al sole. Poi una tostatura medio-chiara a cui, per il primo anno sono seguite le numerose sessioni di assaggio della bevanda preparata con una caffettiera Chemex, oggetto di design amato in tutto il mondo, in cui il caffè viene estratto preservando tutta l’intensità della miscela, esaltandone gli aromi. Il risultato, dicono gli esperti degustatori, è straordinario: un caffè di grande finezza, con acidità equilibrata e una naturale dolcezza.
Il primo caffè nativo in Sicilia si è subito dimostrato di altissima qualità, con sentori particolari e unici, tipici della terra siciliana, quali note di uva zibibbo e carruba e dolci sentori di fiori di pomelia bianca e zucchero panela. «Si tratta ovviamente di una piccolissima produzione - commenta Morettino - da destinare al nostro progetto di didattica esperienziale che si concretizza nella scuola e nel museo del caffè. Due attività che abbiamo istallato nel nostro stabilimento di San Lorenzo ai Colli a Palermo».
L’interesse dei ricercatori
La piccola coltivazione dei Morettino ha destato l’interesse del gruppo di colture tropicali del Dipartimento Saaf dell’Università di Palermo guidato da Vittorio Farina che ha di recente condotto uno studio coinvolgendo anche il Dipartimento di Scienze e tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche e il Crea. Lo studio ha messo in evidenza che le coltivazioni di caffè made in Sicily sono paragonabili, dal punto di vista delle componenti bioattive e nutrizionali, a quelle delle zone tropicali di origine «ma siamo solo all’inizio» sottolinea Farina. E inoltre, la valutazione chimica quali-quantitativa della polpa, intesa come prodotto di scarto, ha messo in evidenza il suo potenziale impiego in bevande “funzionali” e nei processi di fortificazione alimentare. Risultati che non sono sfuggiti a un grande player del caffè in Italia come Lavazza che ha mostrato un grande interesse verso la ricerca.
I test in serra
Il gruppo di colture tropicali di Unipa segue anche le piante di caffè delle varietà internazionali Catimor T5175 e Caturra impiantate all’interno di una serra fredda sita a 30 metri s.l.m., in consociazione con alberi ad alto fusto di papaya e banana, presso “l’Orto di Rosolino”, una piccola azienda agricola che si trova che si trova nel cuore dello “Zucco” a Terrasini in provincia di Palermo. L’azienda è condotta da Rosolino Palazzolo, un vero appassionato che ha iniziato anni fa con due esemplari provenienti dal Costa Rica. Adesso di piante di caffè della varietà “Arabica” ne ha circa 800. Le fa crescere all’ombra delle papaye e dei banani all’interno di seimila metri quadrati di serre che ricordano una foresta pluviale. Sono soltanto due le aziende agricole siciliane in cui si tenta la coltivazione del caffè in serra. L’altra si trova in provincia di Ragusa e precisamente a Santa Croce Camerina.
Lo “stile” di coltivazione adottato da Palazzolo per le sue serre è poco noto e scarsamente condiviso da altri agricoltori. L’impatto ambientale è bassissimo. Il suo metodo va oltre il biologico: ha adottato con successo l’agromeopatia e la fitoterapia. Per assicurare l’elevato tenore di sostanza organica nel terreno richiesto dalle piante di caffè, si affida allo sfalcio delle infestanti.
«Tra ottobre 2021 e maggio 2022 nelle serre di Terrasini la temperatura non è mai scesa sotto lo zero. L’umidità notturna si è mantenuta alta e quella diurna si è progressivamente ridotta fino a maggio. In queste condizioni l’attività vegetativa è rimasta praticamente nulla durante la stagione invernale e anche l’attività fotosintetica è rimasta pressoché ferma fino a marzo. Tutto ciò – spiega Vittorio Farina – è in linea con quanto noto riguardo alla pianta di caffè, la cui attività fotosintetica è generalmente ridotta rispetto alle potenzialità che i parametri ambientali permetterebbero di raggiungere».
L’ipotesi fotovoltaico
Assodato che la pianta del caffè può sopravvivere e produrre in alcune zone della Sicilia, è però ancora prematuro pensare di passare dalla sperimentazione alla coltivazione industriale.
L’invito alla prudenza viene da Natale Torre, il vivaista della Piana di Milazzo (Me) che ama definirsi “acclimatatore di piante esotiche”. A quegli imprenditori agricoli che, alla ricerca di nuove colture da reddito, si lasciano trascinare dall’entusiasmo e pensano a coltivare il caffè ricorda sempre che «Il caffè in Sicilia, così come in altre parti d’Italia dove dovessero esistere adatte condizioni climatiche, pedologiche e agronomiche, deve essere considerata una coltura integrativa il cui prodotto deve essere destinato a un pubblico di nicchia attento alla sostenibilità e alla qualità».
Dopo 35 anni di studio – tanti ne sono passati da quando importò dal Costarica le prime due piante di caffè della varietà Arabica – Torre ha messo a punto la tecnica di riproduzione e adesso ha ben chiare le esigenze climatiche, pedologiche e idriche della coltura caffè. Dati che ha volentieri messo a disposizione del gruppo di colture tropicali del Dipartimento Saaf dell’Università di Palermo con cui ha iniziato da qualche tempo a collaborare.
Prove su prove, sotto serra e in pieno campo su diversi substrati e in diverse condizioni climatiche portano Torre a confermare che «la pianta del caffè può considerarsi poco esigente, ed in effetti lo è, ma nei paesi tropicali. La sua coltivazione in Sicilia – afferma il vivaista milazzese – può avvenire solo in condizioni particolari che si realizzano in ristretti areali e dove l’uomo può intervenire a modificare alcuni importanti parametri climatici». Il riferimento è a temperatura e umidità. La pianta non arriva nemmeno a fiorire se l’umidità relativa non è vicina al 90%. Nei luoghi tipici di produzione la temperatura non scende quasi mai sotto i 10 gradi e non vengono superati i 30; mentre la media costante per tutti i mesi dell’anno si aggira intorno ai 18-20 °C. Le elevate temperature delle nostre estati siccitose possono esserle letali, così come i picchi termici invernali e il vento. La pianta esige terreni con pH vicini alla neutralità, ricchi di humus e sostanza organica. Infine l’insolazione: deve essere bassa.
«La pianta del caffè – spiega Natale Torre – è un arbusto che predilige l’ombra. Negli altopiani del Costa Rica e degli altri paesi tropicali dove la coltura è diffusa, viene coltivata sotto delle chiome degli alberi d’alto fusto». Tutto porta a pensare che la coltura del caffè possa essere inserita nelle serre fotovoltaiche. In alternativa anche nelle aree riparate dal vento sotto i pannelli dell’agrivoltaico che sono posti a un’altezza tale da consentire lo sviluppo degli arbusti.
Intanto si prosegue nel progetto del caffè “dalla pianta alla tazzina” tutto made in Sicily (o Italy). Oltre ad essere a Km zero, sarà anche, e soprattutto, a residuo chimico praticamente nullo. Sembra un dettaglio, ma così non è. «La commodity prodotta nei paesi tropicali non ci dà garanzie in questo senso. Lì è ancora consentito l’uso di presidi chimici che in Italia e in Europa sono al bando ormai da decenni», ricorda Torre. Impensabile, poi, che il caffè prodotto in Sicilia possa confrontarsi in termini di prezzo con quello prodotto in qualsiasi paese del coffee belt. Insomma, se nell’Isola si dovesse cominciare a produrre caffè, questo non sarà per tutti.