«Le colture proteiche sono il tema del futuro e l’Europa sta mettendo a punto un piano di sviluppo, perché sono in grado di sfamare miliardi di persone e sono un cardine anche per la nostra zootecnia. Inoltre, offrono anche molti vantaggi ambientali ed economici». L'ha detto Simona Caselli, assessora all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna al recente seminario “Strategia europea di sviluppo delle colture proteiche nelle filiere zootecniche e nell’alimentazione umana” tenutosi all’inizio di ottobre a Bologna e organizzato da Alleanza delle Cooperative.
«Ma l’Europa, più che continuare a puntare sugli aiuti individuali o accoppiati – ha proseguito Caselli – deve ragionare in termini di strumenti di filiera, attraverso i Psr e l’organizzazione del mercato. Il futuro dell’agricoltura, infatti, è nell’aggregazione, che renda economicamente sostenibile la produzione».
«L’Europa si impegnerà a dare rinnovate opportunità alle proteiche attraverso la nuova Pac - ha detto il capo Unità colture arabili e olio d’oliva Dg Agri dell’Ue Silke Boger - puntando sulla ricerca & sviluppo, incentivando la realizzazione della filiera e potenziando gli strumenti già esistenti».
Nell’Ue produzione fluttuante
«In Europa la produzione è stata molto fluttuante – ha detto Filippo Bertuzzi di Aretè– in calo costante negli anni 70 e 80, con un picco negli anni 90, poi di nuovo, al livello attuale, molto simile agli anni 60. In generale in Italia, Spagna e Grecia, anche se con alternanze, hanno registrato diminuzioni significative, mentre in Francia, Germania, Regno Unito e Polonia, ancora con alternanze, hanno segnato una crescita».
Le colture azotofissatrici sono una delle opzioni disponibili per realizzare le Efa (Ecological focus area); e 16 Stati Ue hanno supportato il settore delle colture proteiche, nel contesto degli aiuti accoppiati volontari, aumentando le superfici a legume.
«I piselli sono il legume più coltivato in Ue per superficie e produzione – ha precisato Bertuzzi – mentre lenticchie e ceci hanno ancora una superficie limitata».
Italia, produzione in aumento
Nel nostro Paese la produzione è oggi in crescita. «Gli anni d’oro sono stati i 60 con 640mila tons, scivolando a 135mila tons negli anni 2010-2014 (–81%) – ha evidenziato Bertuzzi –. I cambiamenti nelle abitudini alimentari hanno ridotto il consumo annuale pro-capite da 13 a 6 kg.
Fave/favino hanno registrato un costante calo; ceci e lenticchie hanno invertito la curva già all'inizio del 2000; i piselli hanno invece seguito trend meno costanti con alternanza di crescita e contrazione. Dal 2015 superfici e produzioni sono tornate ad aumentare. Nel 2017 si annoverano circa 100mila
ha (+35%) e 190mila t (+37%), con aumenti produttivi consistenti per ceci (+72%), lenticchie (+60%) e piselli (+52%). Nel 2016 eravamo al 54esimo posto nella produzione mondiale e all’8° nell’Ue.
Nel 2017 l'Italia è stato il 2° produttore di ceci (dopo la Spagna) e il 5° produttore di lenticchie europeo.
Fave e favino coprono più della metà delle superfici del totale degli ettari destinati a legumi. A livello produttivo i piselli hanno aumentato il loro peso (26%) grazie a rese ben più elevate rispetto agli altri legumi.
Quanto alla bilancia commerciale, nel 2016 l'Italia ha importato il 65% del suo consumo. L’export è stata modesta, circa 21mila toni nel 2017 (media di 17.000 toni nei precedenti 5 anni), principalmente di ceci, fave/favino e fagioli».
Lo spazio di crescita c’è
«Secondo i dati Fao, nel periodo 2000-2014 la popolazione mondiale ha segnato un +19%, ma la disponibilità di legumi pro capite solo un +17% – ha concluso Bertuzzi –. L’aumento delle produzioni mondiali di legumi non regge il tasso di crescita dei consumi: per mantenere l’attuale disponibilità pro capite, la produzione dovrebbe aumentare fino a 110 milioni di tonnellate».
Dunque, la domanda continua a salire, ed è lecito presupporre che la produzione italiana di leguminose, se aumentasse, troverebbe immediata e favorevole collocazione sul mercato.