«Un testo importante, perché partito dal presupposto di un settore che funziona bene. Non dovevamo riformare qualcosa di scassato, ma solo migliorare e arricchire. Nel 2022 il valore della produzione per il sistema delle Ig è stato superiore a 80 miliardi di euro e nel 2023 credo ci avvicineremo a 90 miliardi, una fetta molto rilevante del settore agroalimentare. Solo da noi in Italia la Dop economy vale oltre 20 miliardi. Non si tratta quindi di curiosità enogastronomiche ma di importanti asset economici e sociali».
C’è un misto di soddisfazione e orgoglio nelle parole dell’europarlamentare Paolo De Castro, relatore per il nuovo Regolamento europeo sulle Indicazioni geografiche, sul quale è stato di recente trovato l’accordo con i negoziatori di Consiglio (il ministro dell’Agricoltura spagnolo Luis Planas, presidente di turno del Consiglio Agrifish) e Commissione (il commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojcechowski). Incontriamo De Castro a Bologna, nel suo ufficio nella sede di Nomisma. La giornata è uggiosa ma l’atmosfera è frizzante.
Sembra molto soddisfatto del risultato raggiunto.
«Sì, lo sono. Lo avevamo promesso agli agricoltori e a tutti gli altri attori delle filiere dei nostri prodotti d’eccellenza. Abbiamo reso ancora più potente il motore di una macchina che funziona già benissimo. E vorrei sottolineare che il sistema delle Ig non percepisce fondi Ue: il suo successo si basa sulle regole».
La politica, in generale, è l’arte del compromesso. Ma in Europa bisogna esercitarla ancora di più per via del sistema che governa l’Unione. Ci racconta un po’ il percorso di questo Regolamento: cosa lo ha ispirato, quali Paesi sono stati i principali promotori, quali invece hanno messo un po’ i bastoni tra le ruote?
«La partenza è stata in salita. La proposta della Commissione presentata dal direttore generale della Dg Agri Wolfgang Burtscher, austriaco, era un disastro. Addirittura suggeriva di mettere insieme Dop e Igp, con uno schema al ribasso per la qualità e le garanzie verso i consumatori. Poi la Commissione Agricoltura si è messa a lavorare, abbiamo presentato un centinaio di emendamenti approvati all’unanimità, cosa non frequente. Le modifiche sono state accolte anche dalla plenaria dell’Eurocamera. E poi, come facile immaginare, la difficoltà più grande è stata convincere 27 Paesi ad approvare un Regolamento che di fatto interessa solo quattro o cinque: Italia, Francia, Spagna, Grecia e Portogallo. Ogni cosa che noi proponevamo di regolatorio, di procedurale, di tutela, era vista come una rottura di scatole dai Paesi del Nord, a partire dalla Germania. Ricordo che sui biscotti ci ha creato qualche grattacapo. Insomma, la spaccatura geografica si è sentita, anche se devo dire che con la presidenza svedese abbiamo lavorato molto bene».
Di certo con la presidenza spagnola del Consiglio Agrifish il percorso sarà stato in discesa.
«Sì, c’è stata una netta accelerazione dei lavori. Con Madrid condividevamo tutti i contenuti e per quanto il ministro Louis Planas dovesse rappresentare l’intero Consiglio, il negoziato è stato molto più facile».
Però a inizio ottobre durante il terzo trilogo politico è successo qualcosa che sembrava compromettere tutto. Lei stesso ha pronunciato parole molto dure.
«Beh, è normale. Durante tutti i negoziati, soprattutto nelle fasi finali, c’è sempre un po’ di sangue (sorride ndr). La pressione del Consiglio era molto forte e in quei giorni la presidenza spagnola era rappresentata da una giovane funzionaria e non dall’alter ego del ministro Planas, Fernando Miranda. Ha commesso una leggerezza, cioè ha portato sul tavolo negoziale una bozza che non era stata concordata e questo ha creato il panico. Sono cose che succedono, ma poi tutto si è risolto per il meglio».
Un negoziato fatto da ventidue triloghi tecnici e quattro politici. Qual è stato lo scoglio più grande da superare?
«Sono stati due. La contrarietà di una parte minoritaria della rappresentanza del settore del vino a sottostare a un Regolamento che comprende anche le altre Ig e il ruolo dell’agenzia Euipo».
Come mai il vino voleva ballare da solo?
«Non l’ho ancora capito. Forse per una ragione identitaria? Il vino non vuole mischiarsi con i formaggi? Oppure per mantenere un comitato di gestione autonomo. Questo ci ha costretti a lavorare molto per trovare un punto di sintesi. Alla fine abbiamo lasciato le novità che riguardano nello specifico il settore del vino all’interno dell’Ocm, come etichettatura e sistema dei controlli, mentre per quelle che riguardano tutti, quindi anche il vino, fa fede il nuovo Regolamento».
E invece il nodo dell’agenzia come è stato sciolto?
«L’Euipo non si occupa di Ig ma di brevetti, di proprietà intellettuale. Questo però ha suscitato diffidenza in alcuni Paesi, perché pensavano potesse occuparsi dei disciplinari di produzione. Quindi abbiamo dovuto chiarire che l’agenzia di Alicante avrà solo un ruolo tecnico e amministrativo. A lei sarà affidato anche il registro unico delle Ig, altra novità del Regolamento».
Veniamo ai punti salienti del nuovo Regolamento. Partiamo dal rafforzamento del ruolo dei consorzi.
«I consorzi sono il motore delle Indicazioni geografiche. Abbiamo cercato di aumentare le competenze di quelli riconosciuti. Una novità che riguarda in particolare il settore lattiero-caseario è l’estensione da tre a sei anni per i piani di regolazione dell’offerta. Questo semplifica molto le cose, perché raggiungere la maggioranza dei due terzi dei soci nelle assemblee non è facile».
Ci spiega cosa c’entra il turismo?
«Abbiamo stabilito che le iniziative sul turismo Dop possono essere svolte anche dai consorzi».
Ci saranno dei finanziamenti?
«No, almeno non direttamente, però i Psr potranno finanziare le attività agrituristiche dei consorzi. Naturalmente questa è una parte tutta da costruire, ma i consorzi più strutturati sapranno farlo in tempi brevi e cogliere le opportunità di questa novità che ritengo molto importante».
Assolatte da tempo fa notare come ci siano troppe Ig casearie e che sarebbe opportuno concentrare gli sforzi e quindi le risorse per la promozione su quelle che hanno una produzione e un mercato all’altezza. Il nuovo Regolamento contiene norme che vanno in questa direzione?
«Abbiamo voluto dare un segnale mettendo una sorta di scadenza al marchio. Se una Dop o una Igp non commercializzano per sette anni consecutivi, gli Stati membri potranno chiedere ai consorzi una motivazione e se non la riterranno valida potranno revocare la certificazione. In Italia le “Ig fantasma” sono soprattutto nel settore dell’olio evo, mentre è un problema poco diffuso tra i formaggi».
Passiamo alla maggiore protezione delle Ig. Era importante intervenire sul web.
«Molto importante. Tant’è che abbiamo reso la norma obbligatoria. Quando il Consiglio l’ha compresa bene se ne è innamorato».
Di cosa si tratta in concreto?
«Se uno Stato membro scopre un dominio internet pirata, ad esempio “www.parmesan.com” di cui non si conoscono i gestori e di cui il consorzio non sa nulla, che vende imitazioni di una Dop, l’ufficio che gestisce i domini a livello europeo lo blocca, cioè lo oscura all’interno dei 27 Paesi dell’Unione. Chiaramente fuori dall’Ue non è possibile intervenire».
E poi c’è la norma sulle menzioni generiche per scongiurare altri casi “Prosek”.
«Sì, o come l’aceto balsamico sloveno. Un’altra cosa che contribuisce a rendere il sistema più forte».
A proposito di Prosek, la Commissione deve ancora pronunciarsi su questo caso anche perché c’è stata l’opposizione dell’Italia. Dato che il nuovo Regolamento vieta l’utilizzo delle menzioni tradizionali che evocano Ig di un altro Stato membro, la Commissione cosa risponderà alla Croazia?
«A mio avviso non potrà dare il via libera al Prosek. Perché autorizzerebbe questa denominazione solo perché la questione era stata posta prima che il Regolamento entrasse in vigore. È materia per avvocati, ma ormai c’è una legge quindi va rispettata».
Una delle palle al piede di cui il mondo produttivo, sia agricolo sia dell’industria agroalimentare spesso si lamenta, è la burocrazia. Tra le parole chiave di questo Regolamento c’è anche la “semplificazione”. In concreto cosa cambierà rispetto a oggi?
«Tanto per fare un esempio, l’ultima modifica al disciplinare dell’aceto balsamico ha avuto un iter di otto anni. Da oggi la Commissione dovrà rispondere entro sei mesi, prorogabili una sola volta per altri cinque, quindi al massimo entro 11 mesi».
Una vera rivoluzione. Ma come si riuscirà a fare in così poco tempo quello che oggi richiede anni? Forse servirà più personale?
«Finora non c’era un limite temporale e quindi la Commissione se la prendeva comoda, ora c’è una legge che fissa dei tempi, quindi dovranno organizzarsi per rispettarli».
Novità riguardano anche le etichette. Con il nuovo Regolamento riporteranno i nomi dei produttori. Quindi quando compreremo un pezzo di formaggio Dop potremo conoscere anche il nome del caseificio?
«Esatto. Oggi solo i vini hanno l’indicazione del nome del produttore in etichetta. Ma se compriamo Prosciutto di Parma o Parmigiano Reggiano non sappiamo chi li produce, a meno che qualcuno non lo inserisca volontariamente. Ora diventerà obbligatorio».
Perché è così importante sapere il nome del produttore? La garanzia di qualità dovrebbe essere il marchio Dop o Igp.
«È importante perché nei fatti alcuni produttori lavorano meglio di altri e stavamo assistendo a un fenomeno di uscita dai consorzi dei produttori che si sentivano migliori e quindi schiacciati verso il basso dalla Dop. Di fatto la Dop è un minimo comun denominatore, una garanzia minima di qualità, ma poi c’è chi fa meglio di altri».
E invece quando una Ig viene usata come ingrediente di un prodotto alimentare?
«Abbiamo potenziato e uniformato le regole a livello europeo. Ad esempio, se un produttore di pasta deciderà di utilizzare il Parmigiano Reggiano Dop nella ricetta dei suoi tortellini, dovrà rispettare una serie di parametri: la quantità non dovrà essere inferiore a un minimo stabilito, non potrà impiegare altri formaggi grattugiati non Dop e dovrà notificare ai consorzi di tutela l’utilizzo dell’ingrediente».
Nel nuovo Regolamento c’è qualche altra novità che riguarda da vicino la parte agricola?
«Sicuramente l’estensione delle deroghe per i mangimi, che interessa soprattutto gli allevatori e quindi la filiera lattiero-casearia. Se per ragioni climatiche o di mercato diventerà impossibile approvvigionarsi delle quantità di un certo prodotto previste dai disciplinari, sarà più semplice ottenere una deroga».
Sostenibilità. Parola troppo spesso usata solo a scopo di marketing. E la zootecnia è sempre nell’occhio del ciclone, soprattutto per la parte ambientale. Cosa c’è di concreto nel nuovo Regolamento?
«Anche qui ci sono novità importanti. Non siamo riusciti a far passare l’obbligatorietà del rapporto di sostenibilità per i consorzi, ma di fatto, anche se volontario, tutti saranno motivati a farlo. Il rapporto sarà inserito nel registro unico delle Ig, quindi ognuno potrà andare a consultarlo».
Che cosa non c’è in questo nuovo Regolamento che invece avrebbe voluto ci fosse?
«L’indicazione obbligatoria in etichetta della provenienza della materia prima per le Igp. Però non c’è stato verso, soprattutto per la contrarietà della Germania. Resta la facoltà di ogni produttore di inserirla. Non è un aspetto secondario questo, perché moltissimi consumatori quando acquistano un prodotto Igp pensano sia locale».
Le nuove regole gioveranno più alla parte agricola o industriale delle filiere Ig?
«Di certo se fossimo riusciti a inserire l’indicazione obbligatoria della provenienza delle materie prime per i prodotti Igp, agricoltori e allevatori italiani avrebbero avuto un riscontro evidente sul prezzo riconosciuto. Un valore ma anche un costo che risalendo la filiera sarebbe arrivato fino allo scaffale. Attenzione, perché se il prezzo finale sale troppo i consumatori potrebbero decidere di fare scelte d’acquisto diverse».
A proposito di consumi, la congiuntura economica non favorisce i prodotti Dop e Igp, che hanno un valore ma anche un prezzo superiore alla media.
«Questo riguarda un po’ tutti i prodotti, non solo le Ig. Per ora stiamo sopperendo al calo dei consumi interni con l’export che macina record su record».
Le nuove regole favoriranno la sottoscrizione di accordi commerciali con i Paesi extra Ue?
«Ormai non c’è accordo commerciale che non preveda le Ig. Gli ultimi sui quali abbiamo lavorato, Giappone, Vietnam, Australia e Nuova Zelanda, contengono un rafforzamento delle tutele per le nostre Ig. Poi ci sono Paesi dove è più complicato, soprattutto se ci sono molti italiani, come gli Stati Uniti, perché lì l’italian sounding ha un valore economico importante».
Cosa possiamo inventarci per contrastare le imitazioni delle nostre eccellenze?
«Dobbiamo riuscire a far diventare nostri alleati i produttori di tipicità dei Paesi dove l’italian sounding è più forte, tipo gli Usa. Penso ad esempio ai vitivinicoltori della Napa Valley, che sono tutti interessati a difendere i nomi dei loro prodotti. Anche la Cina ha moltissimi prodotti tipici, così come l’America Latina. Poi il grosso del lavoro deve farlo la politica».
Qual è il suo formaggio Dop preferito?
«Il Gorgonzola dolce. Ma mi piace anche il piccante».