Dopo il danno, la beffa. Molti frutticoltori emiliano-romagnoli che nel 2019 hanno subito pesanti danni ai raccolti a causa della cimice asiatica, si sono visti negare i risarcimenti. Questo perché, pur con una perdita di metà o anche di più della produzione di frutta per colpa dell'insetto, il resto delle colture non è stato danneggiato. Il che ha mantenuto la produzione media aziendale a un livello superiore a quello previsto per rientrare nei criteri che fanno scattare gli indennizzi.
A denunciare la situazione sono Cia e Confagricoltura di Ferrara, che si appellano alla Regione Emilia-Romagna perché venga modificata la norma. In particolare, le associazioni di categoria fanno riferimento al "criterio che impone di calcolare il calo della produzione lorda vendibile, stabilito dalla Regione al 30%, sull'intera produzione aziendale e non esclusivamente sul frutteto. Una rigidità che non considera il danno colturale", spiegano il presidente di Cia Ferrara Stefano Calderoni, e quello di Confagricoltura Gianluca Vertuani.
Sistema che non riesce a quantificare il danno reale
Proprio per questo, rimarcano le associazioni di categoria, "molte aziende sono rimaste escluse dai risarcimenti. Produttori che magari hanno avuto danni sui frutteti causati dalla cimice asiatica anche oltre il 50-60%", mentre le altre colture in azienda "sono andate bene e hanno fatto aumentare la produzione lorda totale, sulla quale viene calcolato il danno del 30%". Secondo Cia e Confagricoltura è problematico anche il metodo di calcolo dei risarcimenti, basato sulla storicità delle rese. In sostanza si guardano i dati produttivi dei tre anni precedenti, un dato però falsato, "perché non tiene conto delle calamità che hanno pregiudicato la produzione media".
Invece, insistono Calderoni e Vertuani, "abbiamo bisogno di veder riconosciuto il danno reale e purtroppo in questo senso lo strumento del fondo di calamità ha dei limiti, sia per la cimice sia per le gelate e gli altri gravi problemi fitosanitari che colpiscono i frutteti. Spesso a livello politico si fa fatica a comprendere che i mancati risarcimenti hanno un peso economico pesantissimo, perché portano all'eradicazione dei frutteti e alla perdita costante di posti di lavoro in un territorio a vocazione agricola come il nostro".
Standard value possibile soluzione
Secondo le associazioni di categoria, dunque, "la prima cosa da fare è cambiare i parametri di riferimento per stabilire i danni e utilizzare lo standard value come indice per calcolare la calamità. Così ci si baserebbe sulle medie produttive a livello regionale, che tengono conto delle particolarità del territorio e della sua storicità reale".
Sui risarcimenti serve "un forte riequilibrio dei criteri – continuano Cia e Confagricoltura – per non escludere le aziende che hanno subito danni reali. Quindi sarebbe necessario un aggiornamento della legge o una nuova legge pensata con uno spirito che consideri la calamità anche a livello di comparto, come quello delle pere, risarcendola dunque anche su base colturale e non solo sul danno complessivo subito delle aziende. Perché è vero che magari un danno da cimice o da gelata non sempre compromette la sopravvivenza dell'azienda, ma il settore non cresce e rischiano di scomparire intere colture frutticole", avvertono le associazioni di categoria.