Il riso italiano andrà in Cina. Una novità paradossale se si pensa che da anni il nostro Paese cerca di difendersi dalla massice importazioni di riso dai Paesi extra-Ue invocando (invano) le clausole di salvaguardia.
L'accordo sull'esportazione di riso italiano nel Paese del Dragone è stato sottoscritto lo scorso 8 aprile a Pechino fra il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, rappresentato dall'ambasciatore italiano in Cina, Luca Ferrari, e l'Amministrazione generale delle Dogane della Repubblica popolare cinese, che consente l'esportazione in Cina di riso da risotto. L’Italia è il principale produttore europeo di riso e nel 2019 ha aumentato del 4% le esportazioni per un valore di quasi 550 milioni.
Ministra Bellanova: «Un lungo negoziato»
L'intesa arriva dopo un negoziato andato avanti per anni e che ha coinvolto il Servizio fitosanitario nazionale e le rappresentanze dei risicoltori e delle imprese italiane che lavorano il prodotto. «E' un accordo rilevante a cui tenevamo in modo particolare - ha sottolineato la ministra, Teresa Bellanova - che stabilisce i requisiti fitosanitari da soddisfare per esportare riso da risotto italiano in Cina e consente, di fatto, l'apertura di questo importantissimo mercato per un prodotto di punta della nostra agricoltura. Come si ricorderà, avevo previsto di recarmi a Pechino per sottoscrivere personalmente l'intesa».
«Di fronte alle restrizioni alle visite all'estero indotte dal Coronavirus, di concerto con la Farnesina - ha proseguito Bellanova - ho deciso di autorizzare l'Ambasciatore Luca Ferrari a firmarlo in mia rappresentanza con il ministero delle Dogane cinese, rafforzando in tal modo le relazioni bilaterali tra Italia e Cina in ambito agricolo. Il riso italiano è apprezzato in tutto il mondo: ottenere questo riconoscimento anche dalla Cina lancia un messaggio di fiducia e incoraggiamento ai tanti risicoltori e alle imprese italiane impegnati a garantire le forniture di cibo sano e di alta qualità».
Oltre 200 varietà di riso in Italia
Con le oltre 200 varietà iscritte al registro nazionale, ognuna con le proprie peculiarità, l'Italia rappresenta il leader del settore nell'Unione Europea, assicurando oltre il 50% della produzione di riso europeo. Il riso italiano si distingue da quello coltivato nel resto del mondo grazie a varietà tipiche e apprezzatissime come il Carnaroli, l'Arborio, il Vialone Nano, il S. Andrea e il Baldo.
Produzioni di eccellenza, valorizzate grazie ai marchi Dop e Igp che riconoscono le specificità dei territori di origine, come la Baraggia biellese e vercellese, o le aree geografiche tipiche del Carnaroli pavese, il Vialone Nano veronese, il riso del Delta del Po. Con l'accordo siglato oggi, le qualità del riso italiano da risotto vengono ulteriormente riconosciute e potranno, sempre più, esser apprezzate anche dai cittadini cinesi, i maggiori consumatori al mondo di questo alimento. Secondo la Fao, la Repubblica popolare cinese è il primo produttore mondiale di riso, seguito dall'India.
Accordo importante per i risicoltori
«Si tratta di una buona notizia anche per i nostri risicoltori - ha commentato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti - che continuano a subire le importazioni agevolate, in particolare dal Myanmar per la qualità Japonica». Confagricoltura evidenzia inoltre come l’accordo possa rafforzare anche lo scambio tra due culture differenti, ma che collocano entrambe il riso tra gli ingredienti basilari delle rispettive cucine. «Una volta superata l’emergenza Coronavirus – ha detto il presidente di Confagricoltura – potremo mettere a frutto il lavoro svolto con le autorità cinesi per aprire un ulteriore dialogo con un altro mercato importante, quale l’India».
«Con il via libero all’export di riso in Cina – ha spiegato Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti Piemonte - si aprono nuove opportunità di mercato per la nostra regione che è la prima in Europa per produzione con 8 milioni di quintali, circa 1900 aziende per un totale di 117 mila ettari –. Certo la stagnazione degli scambi commerciali riguarda molte produzioni agroalimentari a causa delle difficoltà nei trasporti tra Paesi, degli ostacoli e dei rallentamenti posti alle frontiere ma anche dalle misure di sicurezza applicate in molti Paesi come la chiusura forzata di bar e ristoranti che ha pesato su produzioni di pregio come il vino. Gli effetti della pandemia hanno fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dalla produzione agricola - concludono Moncalvo e Rivarossa - per l’alimentazione, l’ambiente e la salute dei cittadini».