La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella riunione del 18 ottobre, ha analizzato il disegno di legge d’iniziativa governativa (clicca qui per accedere al testo) che stabilisce norme per valorizzare le piccole produzioni agroalimentari locali che vanno sotto l’acronimo di PPL.
Il disegno di legge, che vede come primo firmatario il presidente della Commissione agricoltura al Senato Gianpaolo Vallardi,
è mirato ad introdurre procedure semplificate, al fine di consentire ai piccoli produttori agricoli e ittici di commercializzare direttamente, in ambito locale, piccoli quantitativi dei loro prodotti. La proposta di normativa intropduce procedure per identificare gli imprenditori agricoli che possono operare la vendita diretta, i quantitativi e le tipologie di produzione consentite, nonché i requisiti strutturali, il marchio di identificazione ed il percorso formativo codificato.
Conflitto di competenze
Il documento che riporta l’intesa raggiunta dalla Conferenza è estremamente critico sia in ordine generale che sul singolo articolato e invita il Governo a rivedere l’intero provvedimento anche sotto il profilo della legittimità costituzionale in quanto attribuirebbe allo Stato una potestà legislativa di esclusiva competenza regionale.
Il Disegno di legge, infatti, tocca alcuni aspetti di carattere sanitario, materia di legislazione concorrente, in cui lo Stato può legiferare solo per determinare i principi fondamentali, unitamente ad altri prettamente agricoli e commerciali e quindi non rientranti tra le competenze legislative dello Stato. A meno che non si voglia intendere che l’istituzione del marchio PPL peraltro non supportato da alcun sistema di certificazione, sia sufficiente a far rientrare la legge all’interno della categoria “opere dell’ingegno” al pari delle indicazioni geografiche o “tutela della concorrenza”.
Norme già attuate da alcune Regioni
La Conferenza Stato regioni ritiene che lo schema di legge è da ritenere inutile in quanto tratta materie di competenza regionale che alcune regioni hanno già ampiamento regolamentato.
E’ il caso delle Regioni, Veneto e Friuli Venezia Giulia, che già da anni hanno avviato iniziative similari. Il Friuli Venezia Giulia, in particolare, consente ai produttori primari di effettuare alcune trasformazioni della propria materia prima, ovvero di esercitare attività postprimarie, senza dover sostenere gli alti costi per la realizzazione di un laboratorio completo, ma seguendo gli appositi Manuali di Buone Pratiche e semplicemente adattando ai requisiti igienico-sanitari un locale della propria abitazione.
Sono previsti controlli molto rigorosi, che prevedono addirittura un prelievo di campione per ogni lotto e l’impossibilità di commercializzare il lotto fino a quando non sarà pervenuto l’esito conforme delle analisi.
Una copia di altri prodotti certificati
La bocciatura del provvedimento viene poi motivata maggiormente facendo presente che nell’ordinamento italiano esistono già strumenti e sistemi di valorizzazione delle produzioni legate al territorio, ben strutturati e collaudati, che tutelano con maggior chiarezza sia le produzioni che gli operatori e i consumatori, quali per esempio le indicazioni geografiche, i prodotti agricoli tradizionali, l’indicazione facoltativa prodotto di montagna. Un recente Regolamento UE, infatti, individua le aziende che possono fregiarsi della denominazione “prodotto di montagna”, che copre parzialmente questo settore, individuando già uno specifico marchio di identificazione.
In definitiva, l’introduzione di un nuovo marchio oltre che costituire un ulteriore aggravio per le aziende, potrebbe creare un ulteriore elemento di confusione per il consumatore specie se la vendita dovesse avvenire tramite esercizi commerciali.
Le semplificazioni sono già esistenti
Il disegno di legge mira ad introdurre notevoli semplificazioni procedurali per le piccole produzioni soprattutto se legate al territorio. Ma Conferenza Stato regioni boccia anche questa finalità in quanto in diverse Regioni, pur non essendoci un marchio e un logo per identificare la tipologia degli impianti in questione, sono, in ogni caso, applicati tutti i criteri di semplificazione previsti per le piccole realtà produttive, analogamente a quanto descritto dall'art. 6 del DDL.
Sono stati tracciati, infatti, processi di semplificazione specifici, in coerenza con le norme comunitarie, quali:
- linee di indirizzo per la semplificazione dell’applicazione del sistema HACCP nelle microimprese del settore;
- linee guida di buone pratiche di igiene e di lavorazione, anche in alpeggio (documento condiviso da diverse Regioni dell’arco alpino ed il Ministero della Salute, che fissa i requisiti base di igiene e buona prassi che devono essere adottati nelle strutture di caseificazione in alpeggio.
Gli altri punti critici
Per quanto concerne, inoltre, l'attività di formazione si evidenzia che ogni Regione ha la propria forma organizzativa ed il proprio sistema di deleghe, pertanto appare pleonastico delegare l'attività formativa alle Regioni o alle Province autonome.
Non è poi chiaro se la normativa si rivolge esclusivamente alle aziende che effettuano la somministrazione e/o la vendita diretta dei propri prodotti al consumatore finale, o se invece è possibile la commercializzazione di tali prodotti tramite intermediari (esercizi commerciali).
Non risulta chiaro e se tutte le operazioni necessarie all’ottenimento del prodotto finito quindi, oltre alla produzione primaria, anche lavorazione, trasformazione, confezionamento ecc., devono essere effettuate dall’azienda o se alcune fasi possono essere realizzate da soggetti terzi.
Inoltre occorre chiarire alcuni aspetti sul funzionamento dell’intero sistema, in pratica se trattasi di una vera e propria richiesta presentata dalle aziende alle Regioni che devono quindi svolgere, su ogni domanda, una attività istruttoria circa il rispetto dei requisiti prima di concedere l’uso del marchio, o di un sistema semplificato di autodichiarazioni con controllo a posteriori come ad esempio nel recente caso dell’indicazione facoltativa di qualità “prodotto di montagna”. Infine occorre chiarire se questa normativa “interagisce”, in qualche modo, con quella ormai ventennale relativa ai prodotti agroalimentari tradizionali, PAT, per i quali è già peraltro prevista la possibilità di richiedere deroghe sotto il profilo igienico sanitario.