Un altro tratto di strada percorso verso la nuova direttiva Ue sulle pratiche commerciali sleali e diritti del consumatore (29/2005 e 83/2011) che elenca complessivamente 12 pratiche ritenute ingannevoli come il marchio di sostenibilità non certificato.
Con 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni il Parlamento europeo ha fatto scattare il semaforo verde il 17 gennaio scorso e manca solo il via libera da parte del Consiglio europeo, per poi essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Occorreranno, tuttavia, probabilmente, almeno due annni per il recepimento degli Stati membri e altri sei mesi prima che diventi operativa.
Non si tratta, in questo caso, di pratiche sleali lungo la filiera agroalimentare che sono contrastate dalla direttiva n. 633 del 2019, ma le nuove regole impatteranno sulle aziende di produzione anche agroalimentare per quanto riguarda l'etichettatura e altre pratiche sleali e, quindi, dovranno essere rispettate per la tutela del consumatore.
I punti deboli delle etichette sulla sostenibilità non tutelano il consumatore
Come specificato nella proposta di direttiva solo il 35% delle etichette di sostenibilità richiede dati specifici per dimostrare la conformità ai requisiti di etichettatura che rendono consapevole l'acquisto da parte del consumatore. Le informazioni sono, infatti, poco chiare.
Non è un caso che il 56% dei consumatori europei indichi di essersi stato penalizzato da asserzioni ecologiche fuorvianti davanti alle pagine pubblicitarie online che contengono informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti.
«Questa normativa — ha dichiarato il membro del Parlamento Europe,o Biljana Borza — cambierà il quotidiano di tutti gli europei! Ci allontaneremo dalla cultura dello scarto, renderemo più trasparente il marketing e combatteremo l'obsolescenza prematura dei beni. Le persone potranno scegliere prodotti più durevoli, riparabili e sostenibili grazie a etichette e pubblicità affidabili. Soprattutto, le aziende non potranno più ingannare le persone dicendo che le bottiglie di plastica sono buone perché l'azienda ha piantato alberi da qualche parte — o dire che qualcosa è sostenibile senza spiegare come. Questa è una grande vittoria per tutti noi».
Marchio di sostenibilità non certificato rappresenta pratica sleale
Una novità riguarda l'obbligo di rendere più chiara l'etichettatura dei prodotti che vengono acquistati dal consumatore. Non saràconsentito l'uso di indicazioni ambientali generiche come "rispettoso dell'ambiente", “rispettoso degli animali”, “verde”, "naturale", "biodegradabile", "a impatto climatico zero" o "eco" se non supportate da prove.
Tra le pratiche commerciali sleali, l’esibizione di un marchio di sostenibilità non garantito dalla certificazione o non stabilito da autorità pubbliche e anche la formulazione di un’asserzione ambientale generica per la quale l’operatore economico non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti l’asserzione.
Verrà introdotto, infatti, anche un divieto delle dichiarazioni sull'impatto sull'ambiente neutro, ridotto o positivo grazie alla partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni.
Nel testo si legge anche che la formulazione di un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico.
In Italia sono gli articoli 21 e 22 del codice di consumo permettono, in ogni caso, di tutelare i consumatori da queste pratiche.