La bufera sulla ripartizione dei fondi Feasr dello sviluppo rurale non accenna a placarsi. La battaglia finora combattuta sul piano tecnico-istituzionale in Conferenza Stato-Regioni, adesso è diventata una vera e propria questione politica nazionale, con tanto di contestazione sull’operato e sulle scelte fatte dal ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli. Secondo le Regioni del Sud (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, cui si è aggiunta anche l’Umbria), proprio Patuanelli sarebbe «colpevole di dividere il Paese sul tema dell’agricoltura e ancora di più su quello dello sviluppo rurale».
L’accusa al ministro è stata rivolta nel corso di una conferenza stampa organizzata dai parlamentari di Forza Italia delle regioni meridionali svoltasi a Roma, nella sala Caduti di Nassiriya di Palazzo Madama.
Dito puntato contro le scelte del ministro
Gli assessori all’agricoltura di Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Umbria e Basilicata (in videoconferenza), presenti all’incontro, non le hanno mandate a dire: «Le ultime posizioni del Ministero delle Politiche Agricole non tengono conto della logica e delle indicazioni di matrice europea: così vengono cancellati principi elementari quanto essenziali delle politiche di coesione».
«Contestiamo - hanno aggiunto - le scelte del ministro che, oltre a non lasciare emergere alcun elemento di analisi globale della totalità dei fondi Pac (I e II pilastro) destinati ai territori, non tengono conto di un fattore sostanziale: il Regolamento Ue 2020/2220 (quello che detta le regole per il periodo di transizione 2021-2022, ndr) ha prorogato per il biennio non solo i programmi di sviluppo rurale ma ha lasciato immutato l’attuale regime dei pagamenti del primo pilastro della Pac».
Riforma contraria al principio di solidarietà
Com’è noto, la coalizione delle Regioni del Sud da mesi è impegnata a sostenere le ragioni di un passaggio graduale, che non intacchi le finalità proprie del Fondo europeo per lo sviluppo rurale. Fondo che è destinato – così prevede la normativa europea – a colmare, all’interno di ciascun Paese membro, il divario tra le aree più ricche ed evolute e quelle più povere e marginali.
Dall’altra parte della barricata le 13 regioni del Centro-Nord più le due province autonome di Trento e Bolzano che, invece, sostengono la necessità di cambiare i criteri di ripartizione sulla base di quanto concordato in Conferenza Stato-Regioni nel 2014, anno in cui vennero prese le decisioni relative alla programmazione dello sviluppo rurale. Tra i criteri di ripartizione sostenuti dal Centro-Nord quello della Plv che, a parere delle regioni meridionali, non sarebbe idoneo a indicare il livello di sottosviluppo delle aree più povere e marginali del Paese.
Criteri di ripartizione da prorogare fino al 2022
Nessuno poteva immaginare che una pandemia avrebbe bloccato l’adozione della riforma della Pac e che a Bruxelles si sarebbe deciso di sospendere tutto per due anni, lasciando immutata la situazione. «Il rinvio deciso per il biennio 2021-2022 – hanno fatto osservare gli assessori regionali della coalizione del Sud – riguarda sia il primo che il secondo pilastro. E visto che i criteri applicati al primo pilastro non sono cambiati, non si comprende perché le modifiche dei criteri di ripartizione dovrebbero avvenire solo sul secondo pilastro che è destinato a sostenere la convergenza e quindi il riequilibrio dello sviluppo tra i diversi territori».
La posizione espressa dalle Regioni che da sole rappresentano il 60% delle aree italiane interessate dal Psr, nelle ultime settimane, ha trovato conforto anche nelle comunicazioni della Commissione europea, rafforzate anche da una posizione del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha messo in guardia rispetto a possibili sforamenti nel bilancio dello Stato.
Per sostenere le loro ragioni, gli assessori agricoli del Sud hanno fatto anche un paragone calcistico: «Siamo di fronte a una partita nella quale si devono giocare i tempi supplementari, e non si possono cambiare ora le regole del gioco. Tuttavia, abbiamo più volte affermato di essere disponibili a rimettere in discussione i criteri di ripartizione dei fondi comunitari a partire dal 2023 – hanno ricordato – ma tutto ciò nel rispetto di due condizioni: che la trattativa riguardi anche il primo pilastro, lo stesso che attualmente penalizza le aziende meridionali, e che venga rispettata la normativa comunitaria in tema di sviluppo rurale».
E aggiungono: «Non accettiamo colpi di mano tesi a cancellare la fase transitoria del biennio 2021-2022 che condurrebbero a una forte penalizzazione per le regioni svantaggiate. Queste, paradossalmente, sarebbero private proprio dei fondi destinati a garantire il riequilibrio strutturale, a tutto vantaggio di zone già di per sé meglio attrezzate»
Insomma, la partita è ormai ai supplementari e l’esito appare ancora incerto. E non è detto che la gara preveda anche i calci di rigore.