Ci siamo lasciati alle spalle un inverno davvero anomalo e ci avviciniamo al periodo che tradizionalmente richiama l’irrigazione. La bella stagione sarà veramente tale o vorrà non essere da meno di quella che l’ha preceduta? Non si sbaglia quasi mai a usare i luoghi comuni, ma stavolta non ci si azzecca più nemmeno con la scomparsa delle mezze stagioni. L’inverno è stato asciutto come un’estate fino a gennaio iniziato, poi si è trasformato in un tardo autunno piovoso, con qualche spruzzata di freddo giusto per ricordare dove starebbe di casa. È normale che tutto questo possa sconcertare ed è normale che gli esperti del clima vadano avanti con la ricerca per comprendere e prevedere quanto più possibile.
Però è forte l’idea che, comunque vada, ci troveremo impreparati ad affrontare anomalie imprevedibili ma comunque annunciate.
Le anomalie sono quelle che il clima ci costringe a toccare con mano, fatte di stagioni così piovose da non richiedere altra acqua che non sia quella venuta giù dal cielo, o altre immediatamente a seguire dove quasi tutta l’acqua va trovata da qualche parte per reggere le sorti della campagna. Se aumenta l’imprevedibilità delle produzioni legata al decorso delle stagioni, cresce ancora di più l’incertezza dei redditi aziendali perché si aggiunge quella dei costi che l’agricoltore deve sostenere, fissi o variabili che siano. Senza contare l’incertezza dei mercati. La vita dei campi non necessita di altri problemi in aggiunta a quelli che storicamente si porta dietro o che non riesce del tutto a scrollarsi di dosso. L’aleatorietà, appunto, che come il clima imprevedibile non è d’aiuto nelle scelte.
Eppure nei manuali di agronomia si legge che la variabilità delle produzioni è ridotta fortemente dall’irrigazione che, anche per questo, favorisce la stabilità dei redditi. Quando questi concetti, strettamente agronomici e con modeste connotazioni economiche, venivano espressi e condivisi diversi decenni orsono, il mercato non era ancora del tutto globalizzato e la politica dei prezzi era forse ancora guidata in prevalenza dalla legge della domanda e dell’offerta locale.
Da qualche tempo invece, soprattutto nei Paesi dell’Europa occidentale, si è innescato un atteggiamento non propriamente coerente con gli impegni presi dagli stessi Paesi nell’ambito dell’uso efficiente della risorsa acqua: non si parla quasi più di irrigazione, o meglio, se ne parla poco e più che altro come dettaglio di un universo che riguarda scale spaziali e temporali non più interpretabili attraverso gli strumenti tradizionali con cui le penultime generazioni sono cresciute.
Adesso siamo oltre.
E le basi dell’irrigazione, insieme alle caratteristiche applicative di metodi e varianti, si insegnano sempre più di rado. Questo lascia ampio margine a interpretazioni personali e alla costruzione di un lessico autonomo e quindi non condiviso.
Succede così che i dibattiti tra esperti di irrigazione assomiglino sempre più a rappresentazioni teatrali piuttosto che a momenti di confronto per definire obiettivi comuni, in una babele di incomprensioni fondate su certezze personali. Nel prossimo mese di novembre si svolgerà in Tahilandia il secondo Forum Mondiale sull’Irrigazione, incentrato sul ruolo dell’irrigazione nella produzione sostenibile del cibo. Dei tanti contributi presentati, pochissimi sono arrivati dall’Europa. E questo vuoto evidente è uno spunto di riflessione per capire se da noi l’irrigazione sia ancora avvertita come una necessità oppure, semplicemente, non meriti più alcuna attenzione.
di Graziano Ghinassi
Dipartimento Gesaaf dell’Università di Firenze