Per capire la convenienza o meno dei contratti di coltivazione del grano duro dal punto di vista commerciale, bisogna porsi un paio di domande. Anche se apparentemente le risposte potrebbero sembrare scontate. La prima: stanno cambiando i fondamentali alla base della mia scelta? La seconda: se non li avessi siglati, come sarebbe andata per la mia azienda?
La risposta non può che partire da una sintetica analisi dei “fondamentali” e di come sia andato il mercato del grano duro negli ultimi anni a livello di produzioni, qualità e prezzi.
Ma prima di inoltrarci, è bene ricordare che il grano duro si coltiva in aree non irrigue e quindi rese/ha e qualità sono in gran parte nelle mani di madre natura, con l’uomo a decidere gli ettari (strettamente) necessari a soddisfare una domanda molto rigida, ma in evoluzione “qualitativa”, preservando al contempo un minimo livello di scorte, necessarie a evitare che qualche imprevisto climatico o epidemiologico/sanitario faccia saltare il banco.
Uno sguardo ai mercati
Negli ultimi anni si sono registrate produzioni mondiali dell’ordine dei 34-40 milioni di tonnellate, per il 40% concentrate in Europa, Usa e Canada, e consumi da decenni staticamente allineati alle produzioni ma per il 55-60% concentrati nell’area del Mediterraneo: Europa, Nord Africa e Turchia. A livello “qualità” della granella, la variabilità negli anni è stata decisamente elevata e nonostante il progresso tecnologico nel settore della macinazione, più di una volta in Italia si è rischiato di non tenere fede ai valori dichiarati (con orgoglio), in etichetta.
Arrivando ai prezzi, è evidente che l’imprevedibilità di produzioni e delle specifiche merceologiche delle messi ha portato, nel bene e nel male, a momenti di tensione e assoluta volatilità delle quotazioni, soprattutto in aree dove l’uso dei contratti di coltivazione è ancora raro, come in Nord America (fig. 1).
Tutto ciò considerato bisogna riconoscere che lo strumento dei contratti di filiera triennali ha dato al nostro mercato stabilità e continuità di produzioni in regime di minore volatilità dei prezzi. Osservando le quotazioni del Fino centro sull’Ager nell’arco temporale luglio 2016 – giugno 2019, notiamo che in media si sono mosse come nel resto del mondo, ma senza le “montagne russe” viste sulle piazze Usa. Se in America i prezzi di un “tipo Fino” generico sono andati dai 196 ai 303 $/t Fob Laghi e in Francia dai 182 ai 250 €/t Fob porto Mediterraneo. In Italia si sono collocati tra i 204 e i 242 €/t reso Ager Bologna.
Tanti bonus per i contratti
Oltre all’andamento dei prezzi, a sostegno dell’utilità dei contrati di coltivazione ci sono da spezzare molte altre lance. Ad esempio il calcolare e vedere riconosciuto, in pre semina, il costo di coltivazione e di conservazione/stoccaggio. Il definire un “prezzo minimo garantito” comprensivo di un equo margine. La clausola di adeguamento del prezzo minimo per le quote consegnate allorché la quotazione media di quel mese fosse più elevata. La ripartizione delle consegne in un arco di 3-9 mesi. E, non da ultimo, il riconoscimento dell’eccellenza qualitativa se i parametri riscontrati fossero oltre i minimi pattuiti.
L’ormai diffusa regola di produttori e utilizzatori di programmare “ex ante” i volumi mensili da consegnare a prezzi pattuiti da contratto, si è rivelata avere effetti stabilizzanti sui nostri mercati e di ammortizzatore nei periodi di tensione e volatilità mondiale.
Tornando un attimo alla tabella dei prezzi, è evidente che anche i produttori Italiani hanno sperimentato nel triennio 2016-2019 una certa volatilità, ma è altrettanto vero che non l’hanno subita più di tanto, con il grande pregio di aver evitato di vivere, anche e soprattutto per i volumi non coperti dal contratto di coltivazione, periodi di vendita “sotto costo”. Il fattore chiave di questa minore reattività dei nostri mercati interni è ancora il prezzo minimo garantito che, oltre a tutelare i produttori, risolve “de facto” il valore di conferimento delle quote mensili, assicurando fluidità di fornitura e posticipando, alla fine delle consegne, il calcolo puntuale dei premi qualità e dei differenziali con il reale andamento dei prezzi medi mensili sulla Borsa merci di riferimento.
Grano duro, scommettere paga?
Quindi, se il mercato ha bisogno (e ne ha molto), di certezze a livello di disponibilità di prodotto, qualità “ad hoc”, continuità e fluidità di consegna e di quadratura della “finanza aziendale”, allora lunga vita ai contratti di coltivazione.
È evidente che un produttore, restando libero e in regime di elevata volatilità dei prezzi, come alla riapertura di giugno 2020 delle Borse merci, potrebbe ipotizzare di cogliere il “picco” di campagna e consolidare un risultato economico migliore rispetto al contratto di coltivazione, ma guardando con ragionevolezza a quanto accaduto in annate di massima crisi come il 2007/08 e parafrasando una celebre canzone di Gianni Morandi, “uno su mille (forse) ce la fa”.
Qui Bologna: «Costi certi e garanzia di ritiro»
Costi certi e conferimento garantito. Questi i principali vantaggi dell’adesione a una filiera secondo Giampiero Cremonesi, agricoltore di Caorso (Pc) che da diversi anni cede il suo grano duro al consorzio Terrepadane. «In gran parte – precisa – il prodotto finisce a Barilla, ma per quel che mi riguarda, l’accordo ce l’ho con il consorzio».
Accordo che, in gran parte, ricalca quelli cui gli agricoltori sono ormai abituati e che hanno imparato ad apprezzare: certezza di conferimento, premio sul prezzo di mercato (la piazza di riferimento è Bologna). «Non dimentichiamo le spese prefissate. Per esempio, quella per lo stoccaggio. Aderendo alla filiera un cerealicoltore sa in anticipo quali saranno i costi fissi». L’unica incertezza, insomma, resta la resa. «Oltre al prezzo di mercato: quello ovviamente non è stabilito a priori, ma fluttua in base a domanda e offerta». Ed è, come sappiamo, molto allettante in queste settimane.
A convincere Cremonesi – e i tanti che come lui si affidano a questo tipo di contratti – è anche la natura del disciplinare sottoscritto, come spiega lui stesso: «Le imposizioni sono poche. Si deve fare il trattamento, occorre lavorare in un certo modo. Sono, a ben vedere, indicazioni di buon senso. Diciamo che mettono sulla carta le buone pratiche agricole che ogni produttore dovrebbe applicare».
Chiudiamo con un accenno alle rese. Che come accaduto per molti produttori nella parte più occidentale della Pianura padana, non sono eccezionali.
«Alla fine non ci possiamo lamentare, viste le premesse. Abbiamo fatto meno prodotto della media – circa 55 quintali per ettaro contro i 70 standard – però non siamo andati nemmeno così male, stante l’annata. Avevamo una ventina di ettari di duro, il resto era a grano tenero. Penso che anche il prossimo anno manterremo queste proporzioni».
Qui Foggia: «Il contratto è sempre più conveniente»
«I prezzi del grano duro sul mercato libero sono in rialzo rispetto a un anno fa e alla scorsa primavera. Però il contratto di filiera è sempre più conveniente. Non è un rialzo temporaneo del prezzo libero del grano duro che può mettere in discussione la partecipazione all’accordo di filiera – avverte Rino Mercuri, 50 ha coltivati a grano duro a Foggia in filiera “Grano Armando”–. Premesso che il prezzo attuale, 30,50 €/q per il grano duro fino con 13% di proteine e 79 di peso specifico, come quota la Borsa merci di Foggia, è già diminuito di 3 €/q rispetto al 1° luglio, il contratto di filiera conviene perché garantisce il prezzo di mercato più la premialità, pari a circa 2 €/q.
«Anche se il prezzo libero salisse a 37 €/q il contratto garantirebbe la stessa somma, la massima prevista, più la premialità – sottolinea Mercuri –. Il prezzo libero sarebbe più favorevole solo se sfondasse il tetto dei 40 €/q. Negli 11 anni di vita dell’accordo di filiera “Grano Armando” solo un anno, e per non più di 10 giorni, il prezzo libero è stato più conveniente. Fortunati coloro che hanno venduto tutto in quei giorni, ma un imprenditore agricolo serio non può investire sperando nella buona sorte».
«Il contratto di filiera – conclude l’imprenditore agricolo pugliese – è vantaggioso anche perché educa l’agricoltore a seguire un rigoroso disciplinare di produzione e ad adottare una tecnica colturale capace di portare ad alte rese ed elevata qualità».