Agosto è tempo di semina o trapianto delle prime brassicacee. Altre semine e trapianti seguiranno, scalarmente, nei mesi successivi. In Puglia, regione prima in Italia per superficie dedicata alle brassicacee, la biodiversità all’interno di tale famiglia di ortaggi è particolarmente ricca, come ha dimostrato il progetto di ricerca BiodiverSO dell’Università di Bari, che ha recuperato e valorizzato numerose varietà locali, proponibili anche per le nuove semine e i nuovi trapianti.
Cavolfiore: Cima di Cola
«Numerose sono le varietà locali di cavolfiore in Italia, che è stato, nei secoli, uno dei più importanti centri di diversificazione di tale specie. Tra le antiche varietà con infiorescenza verde è particolarmente rinomata in Puglia la Cima di Cola, il cui colore è più precisamente verde limone – informa Pietro Santamaria, docente di Orticoltura presso il Disaat dell’Università di Bari e responsabile del progetto BiodiverSO –.
Questa varietà è stata inclusa nell’allegato 8 del Psr Puglia 2007-2013 riguardante le risorse genetiche autoctone regionali a rischio di estinzione. La parte edule della Cima di Cola è più spugnosa delle varietà di cavolfiore presenti sul mercato ed emana un forte odore durante la cottura.
A giugno 2015 la Cima di Cola è stata inserita nell’elenco nazionale dei Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) grazie al progetto BiodiverSO. Ora viene conservata anche in situ».
Cavolo broccolo: Cima nera di Putignano
Le varietà locali di cavolo broccolo sono presenti in Puglia sicuramente a partire dalla fine del 1700, informa Santamaria. «Tra gli ortaggi acquistati sul mercato di Trani nel 1753, secondo quanto appreso consultando un testo nella locale biblioteca diocesana, era incluso il cavolo broccolo.
Poiché le varietà migliorate geneticamente si sono diffuse solo dopo la seconda metà del secolo scorso, certamente si trattava di varietà locali. Fra queste, Bianco (1990) riporta il Locale di Putignano, accertato sinonimo della varietà locale Cema gnòr, che in italiano significa Cima nera. Questa varietà era inclusa nell’allegato 8 del Psr Puglia 2007-2013 tra le risorse genetiche autoctone regionali a rischio di estinzione.
A Putignano (Ba) e nei comuni limitrofi vengono utilizzati due tipi di Cima nera: uno più precoce e l’altro, più tardivo, chiamato Cima nera di marzo (mese durante il quale generalmente avviene la raccolta) o Cima nera di S. Giuseppe, perché anticamente l’ultima raccolta di questa Cima nera coincideva con il giorno di S. Giuseppe (19 marzo). A Putignano trovano una tipica utilizzazione in un piatto semplice ma prelibato: le orecchiette con cime nere e pangrattato tostato, con alici e aglio e olio come unici condimenti».
Cavolo broccolo: Mùgnulu
Albino Mannarini (1914) cita il Mùgnulu nel libro Orticoltura Salentina, indicando varietà differenti per periodo di maturazione. «È il progenitore del cavolo broccolo – afferma Santamaria –. Ha pregiate proprietà salutistiche; infatti, studi recenti confermano un elevato contenuto di glucosinolati (GLS) indolici, metaboliti che svolgono un importante ruolo nella prevenzione dei tumori. Il fiore è bianco.
Le piante possono raggiungere altezze di 120-150 cm e diametro di 80-100 cm. Il prodotto edule è rappresentato dalle infiorescenze o “cime”: la più grossa è quella situata all’apice dello stelo principale, le secondarie si formano all’ascella delle foglie e sono più piccole. Nell’orto, alla coltura del cavolo viene dedicata sempre poca superficie, da un filare di 20 piante a 2 are; infatti, quasi sempre viene coltivata per l’autoconsumo.
Il forte attaccamento territoriale a questo ortaggio viene confermato dai diversi appellativi con cui viene indicato nei comuni salentini: mùgnulu (Galatina), spuntature leccesi (Lecce), còvulu povareddhu o pezzenti (Alessano), càulu paesanu (Diso), còvulu scattunaru o brocculeddhi (Tricase), pezzenteddhi (Martano). Il progetto BiodiverSO sta garantendo la sua conservazione in situ. Per la facilità di incrocio con altre specie, sono state individuate anche piante con fiore giallo».
Cavolo broccolo: Mugnolicchio
Il nome locale di Mugnolicchio indentifica con precisione una delle forme antiche di broccoletto diffuse in Puglia e coltivate nella Murgia barese solo da orticoltori che ne conservano il seme tramandandoselo da generazioni.
«Nonostante sia a forte rischio di estinzione, questa varietà tradizionale è ancora apprezzata soprattutto ad Altamura e in altre località come Santeramo in Colle. Le piante, che possono raggiungere un’altezza fra 40 e 60 cm e un diametro fra 45 e 55 cm, hanno il fiore bianco e sono caratterizzate da numerose infiorescenze o “cime” che permettono più raccolte, effettuate scalarmente, sulla stessa pianta.
Può essere seminata annualmente e in questo caso si procede con un’unica raccolta primaverile. Alcuni piccoli agricoltori lasciano le piante in campo durante il periodo estivo, ottenendo così la possibilità di una seconda raccolta (meno produttiva) in autunno».
Cavolo broccolo: Turzella
La Turzella (o Torzella) è una varietà tradizionale di cavolo broccolo particolarmente diffusa ed apprezzata in alcune aree del Foggiano, ricorda Santamaria.
«Nell’agro di Torremaggiore e comuni limitrofi, ad esempio, viene coltivata come varietà della tradizione e deriva dal lavoro di generazioni di contadini che hanno selezionato principalmente per la forma e le dimensioni delle foglie, consumate insieme alle cime quando sono giovani e tenere.
Le foglie presentano caratteri particolari come un’ampia superficie e la forma lirata. È per questi caratteri che le “turzelle” diventano allettanti per l’autoconsumo e per i mercatini locali, dove vengono vendute a mazzetti, quando le piante sono ancora giovani. Viene seminata più volte durante l’anno».
Cavolo cappuccio: Verza cuore di bue
Il vernacolo pugliese non distingue tra cavolo cappuccio e verza. «Infatti una varietà locale, introdotta a Martina Franca (Ta) oltre 50 anni fa, viene indicata come “Verza cuore di bue”, ma in realtà è un cavolo cappuccio. Nel libro “La coltivazione degli ortaggi”, Cesare Forti (1929) ha descritto due selezioni di Cavolo cuore di bue (grosso e piccolo); quest’ultimo è più precoce.
È una varietà molto rustica che non ha bisogno di una tecnica colturale molto accurata. La “testa” è verde scuro e supera a volte il peso di 1 kg».
Cavolo riccio
Il cavolo riccio è noto anche come Cavolo da foglia o Cole rizze (in dialetto la “e” è muta). «In generale, del cavolo riccio si utilizzano le foglie più giovani, l’infiorescenza principale accompagnata dalle foglie più tenere e i germogli che si formano all’ascella delle foglie. Il margine fogliare presenta un’elevatissima variabilità: più o meno inciso, lacerato o settato; inoltre, la foglia può assumere una gamma di colori che va dal verde al porpora. È ampiamente diffuso in Puglia nella provincia di Bari e a Fasano.
In passato esisteva l’usanza di mangiare fave e cavoli ricci durante il pranzo natalizio e lo stesso piatto era anche consumato, freddo, come merenda durante il lavoro nei campi. In alcuni paesi, come Putignano (Ba), vengono consumate soltanto le foglie, esclusivamente come condimento (accompagnamento) per la purea di fave.
Questa varietà era inclusa nell’allegato 8 del Psr Puglia 2007-2013 tra le risorse genetiche autoctone regionali a rischio di estinzione. La pianta è perennante e dopo due anni può raggiungere l’altezza di 2 m. BiodiverSO ha portato il Cavolo riccio nell’elenco nazionale dei Pat e ha garantito la sua conservazione in situ ed ex situ».
Cavolo rapa
In tutta la provincia di Bari, il cavolo rapa è conosciuto con il nome di “chepe de murte” (con la “e” muta, “testa di morto”), ma a Putignano viene indicata con il termine “Grucciolo”, varietà locale che si presenta con un aspetto più rustico, un maggior numero di germogli (“i figghiule“) e un sapore decisamente più forte rispetto alle varietà commerciali.
«Nel corso delle ricerche sulle tradizioni e sulle tecniche colturali riguardanti questa specie, è stata acquisita un’informazione molto interessante che apre nuovi scenari per la scoperta della differenziazione di questa e di un’altra varietà locale di Brassicaceae; infatti, i “Gruccioli” che non ingrossano l’epicotile (la parte edule del cavolo rapa) vengono definiti “colghèzzòne”, cioè pianta che produce solo foglie e va scartata per evitare che possa impollinare altre piante.
Questo termine viene utilizzato in generale per indicare le Brassicaceae che si comportano come un “colghèzze“, cioè un cavolo da foglia. Da questo appellativo potrebbe derivare il termine “Cole rizze” (il cavolo a foglia riccia)».
Le foto sono del progetto BiodiverSO