La cimice asiatica (Halyomorpha halys) è ormai diventata una presenza fissa nelle nostre campagne.
Dal lontano 2012, anno della prima segnalazione ufficiale della sua presenza in Italia, questo esotico dannoso ha rapidamente invaso gran parte della Pianura Padana. Nel tempo, è diventata la specie chiave della difesa delle principali colture frutticole.
L’impatto della cimice asiatica, tuttavia, non è stato solo agricolo ma anche economico e sociale. I danni provocati dalle punture di questo insetto nel 2019 sono stati così elevati da mettere in ginocchio l’intera filiera frutticola. E anche l’aspetto sociale non è da sottovalutare con i cittadini che si sono trovare le case invase dalla sgradevole presenza di enormi quantità di adulti svernanti.
La domanda principale è: le popolazioni di cimice sono in calo oppure no? Le risposte per ora sono interlocutorie. In campo, con gran dispiacere degli agricoltori, di cimici se ne vedono ancora tante. Ma è anche vero che le segnalazioni di quelle gigantesche aggregazioni di cimici nelle abitazioni sono drasticamente calate.
Cosa non ha funzionato
Per contenere la diffusione della cimice asiatica e limitare i danni che provoca, in questi anni sono state tentate tutte le strategie chimiche possibili. Purtroppo, tutti gli insetticidi attivi ed impiegabili hanno esclusivamente una attività di contatto e una scarsa persistenza. Questo aspetto rende inutili i trattamenti “preventivi”, ovvero quelli realizzati prima della comparsa dell’insetto nel frutteto, e poco efficaci quelli realizzati in presenza dell’infestazione.
Visti i problemi della difesa chimica si è tentata la lotta biologica classica, basata sull’introduzione di Trissolcus japonicus, conosciuta anche come “vespa samurai”. Questo imenottero proviene dalla stessa area asiatica da cui proviene H. halys e rappresenta l’antagonista naturale più efficace nella parassitizzazione delle sue ovature. Purtroppo, la lotta biologica ha tempi lunghi ed è estremamente difficile, oggi, misurarne gli effetti.
Articolo pubblicato sulla rubrica L’occhio del Fitopatologo di Terra e Vita
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Le strategie vincenti
In attesa dell’auspicato riequilibrio ambientale, a oggi la gestione delle infestazioni della cimice asiatica si è per così dire normalizzata.
Gli agricoltori stanno provando a convivere con questo sgradito ospite attraverso la strategia, ormai consolidata, di reti multifunzionali anti-insetto. L’importanza delle reti è riconosciuta da tutti: le diverse tipologie disponibili, sia monofila sia quelle realizzate modificando le strutture antigrandine, si sono dimostrate molto efficaci nel tenere all’esterno le popolazioni della cimice asiatica portando ad una riduzione dei danni.
Valida anche l'installazione di sistemi di cattura esterni al frutteto in abbinamento alla normale difesa fitosanitaria.
La disponibilità di feromoni di aggregazione in grado di attrarre un gran numero di cimici di entrambi i sessi e di diversi stadi di sviluppo ha incoraggiato l’impiego su larga scala di tecniche di “cattura massale” e di “attract & kill”. Il principio alla base di entrambe le tecniche è lo stesso: si cerca di raggruppare le cimici in uno spazio definito per eliminarle o catturandole con trappole o su superfici collose oppure uccidendole mediante l’utilizzo di un insetticida distribuito in modo puntiforme.
Monitoraggio fondamentale
Esistono interessanti esperienze di monitoraggio territoriale come, ad esempio, il sistema “cimice.net” ma, a causa dell’elevata capacità di movimento degli adulti e dell’estrema polifagia dell’insetto, le informazioni fornite dai sistemi territoriali non sono sufficienti per prevedere gli attacchi della cimice. La preferenza di H. halys sulle diverse colture dipende da molteplici fattori agroecologici che possono variare in maniera considerevole anche tra aziende situate nella stessa area geografica. Per questo motivo ogni indicazione territoriale va abbinata ad un monitoraggio puntuale eseguito a livello aziendale.