La strategia Farm to Fork del Patto verde europeo, noto come Green Deal, prevede una serie di obiettivi, come il dimezzamento dell’uso di prodotti chimici di sintesi per la protezione delle piante, l’incremento fino al 25% della superficie agricola europea coltivata con metodo biologico e il dimezzamento degli sprechi di prodotti alimentari, talvolta derivanti da una gestione non perfetta a partire dal campo e lungo tutta la filiera, fino alle case dei consumatori. Una delle cause di questi sprechi è l’avversione del consumatore, mediata dalla grande distribuzione organizzata, rispetto ai residui di prodotti chimici. Chi li conosce meno in genere li chiama pesticidi. Prodotti che gli agricoltori utilizzano per proteggere le colture da malerbe e parassiti, per evitare perdite in campo e in post raccolta.
Anteprima di Terra e Vita 8/2024
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I tecnici del settore sanno che per registrare un nuovo agrofarmaco sono necessari fino a 300 milioni di euro, e, soprattutto, fino a 13 anni. Tali regole, a legislazione vigente, si applicano sia ai prodotti chimici di sintesi, sia agli agenti di biocontrollo e alle altre sostanze naturali, che in genere hanno una tossicità molto più bassa nei confronti dell’uomo e degli altri organismi viventi. Ci sono Paesi, tra i quali il Brasile, nei quali un prodotto biologico si registra in un anno. Sappiamo bene che le indagini volte alla registrazione di un agrofarmaco servono a tutelare i consumatori e l’ambiente. Tuttavia, per prodotti a più bassa tossicità, si potrebbero predisporre e adottare corsie preferenziali (fast track) nelle quali quantità e tipologia di analisi potrebbero essere semplificati, con riduzione dei tempi e soprattutto dei costi di registrazione. A più riprese rappresentanti del mondo agricolo hanno detto che gli agricoltori sarebbero disponibili a limitare l’uso di prodotti chimici di sintesi in presenza di alternative altrettanto efficaci, cosa spesso ma non sempre possibile, pertanto l’agevolazione della registrazione di nuovi formulati a più basso impatto ambientale potrebbe compensare almeno in parte l’eliminazione dal commercio di numerosi principi attivi di sintesi, potenziando l’agricoltura biologica e preservando le derrate sia in campo, sia in post raccolta, contribuendo alla riduzione di perdite e sprechi.
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La ricerca sulle alternative ai prodotti chimici di sintesi è particolarmente attiva, sia a livello nazionale sia internazionale, e i ricercatori italiani contribuiscono a portare all’attenzione della comunità risultati di grande interesse scientifico e applicativo. Ciò avviene nonostante le difficoltà e le lungaggini burocratiche, in un settore come quello del biologico che ha bisogno di sperimentazioni basate sulle ultime acquisizioni scientifiche. Mentre in Italia è possibile che progetti sul biologico presentati a inizio 2021, già valutati e con una prima graduatoria di finanziabilità a giugno 2022, attendano un decreto di finanziamento a ben tre anni dalla proposta progettuale. Tanta ricerca ben custodita nei cassetti di qualche ministero, con numerosi proponenti in attesa di poter mettere a frutto idee progettuali spesso ben valutate, ma ancora in attesa di essere scongelate. Il nostro sistema Paese può contribuire in maniera importante alla transizione ecologica, che valorizzi il lavoro degli agricoltori, grazie al quale ci nutriamo almeno tre volte al giorno.
Gianfranco Romanazzi
docente di Patologia vegetale all’Università politecnica delle Marche