Confermato a Roma il quarto caso di Psa (Peste suina africana) in una delle carcasse rinvenute e riconducibili sempre alla Riserva naturale dell'Insugherata a pochi giorni di distanza dal primo caso accertato il 4 maggio scorso dal Centro di Referenza nazionale per le pesti suine dell’Izsum. Il ministero della Salute ha in questo caso autorizzato l'Istituto zooprofilattico del Lazio e della Toscana a svolgere gli esami a Roma, anziché a Perugia.
Il commissario straordinario all'emergenza, Angelo Ferrari, dovrebbe firmare a breve l’ordinanza che darà il via agli abbattimenti dei cinghiali a Roma (vedi qui). Si tratta di un piano di abbattimenti selettivi, che ha come obiettivo quello di ridurre il numero degli esemplari, specialmente nel quadrante di Roma Nord e di contenere la diffusione della Psa.
Come ha precisato Ferrari, si partirà dalla Riserva naturale dell'Insugherata, dov'è stato riscontrato il virus. «Non ci sono alternative – ha detto – all'abbattimento. La situazione sanitaria è veramente a rischio e pensare di eradicare la peste suina da un territorio senza procedere ad un abbattimento selettivo di un certo numero di cinghiali, non risulta possibile».
Una posizione che ha suscitato le critiche di un'associazioni animalista come l'Organizzazione internazionale protezione animali che si è espressa contro lo strumento della caccia per ridurre le dimensioni della popolazione di cinghiali selvatici.
Il Ministero della Salute ha ribadito in una nota la necessità di innalzare al massimo livello di allerta la sorveglianza passiva sul cinghiale su tutto il territorio nazionale e la vigilanza sulle misure di biosicurezza esistenti negli allevamenti suinicoli, in particolare di tipo semibrado, invitando a incrementare l’azione di sensibilizzazione della popolazione, al fine di scongiurare comportamenti che possono rappresentare un rischio di diffusione anche a distanza della malattia sul territorio nazionale.
Per la Cia misure troppo blande a Roma contro la Psa
La Cia ha, intanto, lanciato l'allarme per le misure troppo soft prese per arginare la diffusione della Psa (Peste suina africana) a Roma, rispetto a quelle ben più restrittive adottate in Piemonte e Liguria. «Dopo l’ordinanza regionale, nell’area delimitata dell’Insugherata – ha detto il presidente Cia, Dino Scanavino – sono ancora possibili tutte quelle attività sportive e ludico ricreative che concorrono alla diffusione del virus, di cui l’uomo che ne è immune è vettore, tramite calzature, vestiario, automezzi e attrezzature. Tutte attività che nella zona rossa al Nord sono state subito interdette».
Nell’ordinanza regionale del 7 maggio il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, aveva definito le competenze e tracciato il perimetro della cosiddetta “area infetta”. Gli enti di gestione delle riserve e le forze di polizia hanno il compito di organizzare “la ricerca attiva delle carcasse”. Gli enti che gestiscono i parchi regionali si devono occupare della “sorveglianza attiva delle aree”, mentre il Comune ha il compito di sistemare delle recinzioni intorno ai cassonetti.
Scanavino ha sollecitato anche politiche di contenimento, con una campagna di riduzione del numero dei capi. In assenza di un adeguamento nella Capitale della normativa ministeriale vigente, Cia teme, infatti, una rapida diffusione della Psa che potrebbe rapidamente dilagare in altri parchi laziali e poi arrivare in Maremma, contagiando tutta la popolazione suina e in altre zone d'Itala a grande vocazione suinicola.
A rischio allevamenti di suini in Lazio, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna
Solo nelle due Regioni, Lazio e Toscana, la ricaduta economica stimata ammonta a circa 200 milioni, cui si potrebbe aggiungere anche l’Umbria. A rischio, quindi, secondo Cia, non solo la suinicoltura laziale con i suoi 43mila capi, ma anche quella toscana con 124.256 capi. La diffusione a macchia d'olio della Psa nel Centro Italia metterebbe in pericolo, peraltro, anche la limitrofa filiera suinicola dell'Emilia Romagna, che conta circa 1.200 allevamenti, 1,2 milioni di capi e produzioni pregiate come le Dop di Parma, nonché, di conseguenza, tutta l'industria legata alla trasformazione, ma anche le attività turistiche, ricettive e di ristorazione delle aree interessate dal fenomeno.
Rischio di un blocco dell'export di prosciutti made in Italy
Senza contare il rischio di misure restrittive per l'export nei Paesi Terzi, con danni economici pesantissimi alla filiera di prosciutti e carni made in Italy nel mondo. Cia ricorda che nel caso della diffusione della Psa in Germania, nonostante le restrizioni disposte dalle autorità tedesche, la Cina dispose il blocco all’import di qualsiasi prodotto suinicolo proveniente da Berlino.