Seme certificato per l’aiuto accoppiato

Sarà obbligatorio per grano duro, soia e riso ma solo dal 2024. è una delle indicazioni del Piano strategico italiano per la nuova Pac appena revisionato e pronto per l'invio a Bruxelles. Tutte le scelte del Tavolo di partenariato

Prendono forma tutti i tasselli mancanti del puzzle della nuova Pac 2023-2027. L’invio a Bruxelles della nuova versione del Piano strategico nazionale (Psp), revisionata in modo da rispondere alle osservazioni espresse dalla Commissione Ue a fine marzo, ha formalmente aspettato l’ultima riunione del Tavolo di partenariato del 28 settembre.

Già una settimana prima di questa scadenza una consistente sintesi del Piano è stata però pubblicata sul sito della Rete rurale nazionale (https://www.reterurale.it).

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La difesa delle scelte nazionali

Le decisioni sono dunque già prese: l’orientamento prevalente è stato quello di difendere le scelte nazionali per quanto riguarda il primo pilastro. Scelte che sono il frutto di una grossa azione di mediazione tra le esigenze delle diverse Regioni italiane. Gli aggiustamenti più significativi rispetto alla prima versione del Psp, elaborato a fine 2021, riguardano argomenti fortemente dibattuti come quello relativo all’ecoschema 4, con la volontà di salvaguardare il ruolo del mais da trinciato nei “sistemi foraggeri estensivi con avvicendamento” di cui abbiamo dato ampio riscontro nel numero 28 di questa rivista.

Filiere condizionate

Un altro tema caldo riguarda l’obbligo di utilizzare semente certificata come condizionalità rafforzata per accedere all’aiuto accoppiato di frumento duro, soia e riso; mentre per pomodoro da industria, barbabietola da zucchero, girasole e colza, al fine di favorire la cooperazione lungo la filiera, si incentivano le produzioni per cui esistono contratti di fornitura stipulati con un’industria di trasformazione (che spesso, in maniera indiretta, prevedono anch’essi il ricorso a semente certificata).

Un obbligo di certificazione che è uno dei nervi scoperti più sensibili per l’agricoltura italiana, tanto che la proposta di vincolare l’aiuto accoppiato al seme certificato, presente anche nella prima versione del piano, era già stata contestato dalle organizzazioni professionali agricole e anche dall’Ente Nazionale Risi, attraverso contributi tecnici che non sono stati però recepiti dal Tavolo di partenariato.

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Le associazioni agricole, pur ritenendo la certificazione e la collegata possibilità di una tracciabilità from seed to fork elementi che possono caratterizzare la qualità del made in Italy alimentare, ritengono tuttavia ingiustificata l’applicazione generalizzata di un vincolo che può mettere in difficoltà in particolare il comparto della soia e del frumento duro.

Coltura, quest’ultima, in cui l’utilizzo della semente certificata, nonostante sia già uno dei vincoli previsti dal contratto di filiera nazionale, non supera il 50% delle superfici coltivate, permanendo tuttora una forte consuetudine per le risemine aziendali.

Evitare rendite perenni

La scelta del Piano strategico italiano corrisponde però ad una precisa sollecitazione proveniente dall’Esecutivo comunitario verso una qualificazione delle filiere destinatarie del sostegno. L’aiuto accoppiato non deve essere secondo Bruxelles una rendita perenne e va perciò giustificato ancorandolo a obiettivi specifici. Per questo il Psp nazionale specifica che gli interventi accoppiati per le superfici, nel contrastare le difficoltà di questi specifici settori, mirano ad orientare verso una migliore organizzazione aziendale e di filiera.

Ci sarà del tempo per adeguare le filiere cerealicole interessate a questo nuovo vincolo (e per continuare a discutere della sua applicazione). L’intreccio tra lo spostamento in avanti della nuova programmazione Pac e la concessione di ulteriori deroghe comunitarie sposta infatti la sua attuazione a non prima del 2024.

L’anno zero per l’agricoltura estensiva

Un vero “anno zero” per l’agricoltura estensiva italiana, perché coinciderà anche con l’applicazione della Bcaa7 (Buone condizioni agronomiche e ambientali), ovvero all’obbligo della rotazione come condizionalità rafforzata per accedere al pagamento di base. Una delle questioni che continua a tenere banco al Tavolo di partenariato è infatti quella della tempistica per la sua adozione.

Al riguardo Terra e Vita ha già ribadito sullo scorso numero della rivista la risposta corretta a questo quesito attraverso l’intervento di Angelo Frascarelli, coordinatore del Comitato tecnico scientifico di Edagricole e presidente di Ismea: l’anno zero per il vincolo di rotazione sarà il 2024, quindi il 2023 non deve essere preso in considerazione. Nel 2024 si potrà dunque, volendo, riseminare la stessa coltura dell’anno precedente.

Un avvio a marce ridotte che testimonia l’occhio di riguardo con cui sono considerati dal Piano strategico nazionale i comparti produttivi ammessi al sostegno accoppiato, a cui complessivamente è destinato il 15% della dotazione dei pagamenti diretti. Strettamente integrati e coerenti con gli impegni della condizionalità rafforzata sono poi gli interventi dei 5 ecoschemi nazionali (25% delle risorse degli aiuti diretti).

Alle critiche e ai chiarimenti richiesti dall’Esecutivo europeo su questo capitolo del piano strategico nazionale, ritenuti da Bruxelles insufficienti per innescare la transizione ecologica del settore agricolo, alimentare e forestale, il nostro Paese risponde ricordando che «gli impegni proposti nei 5 ecoschemi sono impostati con l’obiettivo di ampliare quanto più possibile la platea di agricoltori capace di adottare impegni ambientali volontari oltre la condizionalità, avvicinandoli progressivamente a pratiche agricole e allevatoriali più sostenibili».

Verso un derby integrato-bio

Il grosso delle scelte nazionali per la transizione ecologica sarà quindi determinato dalle politiche regionali legate al secondo pilastro, che per l’Italia continua ad essere sostenuto da una dotazione complessiva Feasr di 6.749 milioni di euro. La nuova architettura della seconda gamba della Pac, il cui principale documento di programmazione non sarà più il Psr (Programma di sviluppo rurale), ma direttamente il Psp (Piano strategico nazionale della Pac) integrato dai vari complementi regionali per lo sviluppo rurale, viene considerato nel complesso positivamente dagli stakeholder che hanno condiviso l’esperienza del Tavolo di partenariato.

«Direi che è la nuova forma di programmazione – commenta una fonte bene informata – e nell’interpretazione del Psp coniuga bene il coordinamento nazionale e la differenziazione regionale. Un passo in avanti notevole per lo sviluppo rurale, anche se prevale, a mio avviso, il forte sbilanciamento verso l’ambiente e la sostenibilità».

Un orientamento che rischia di risolversi in un acceso derby tra biologico (intervento SRA29) e produzione integrata (intervento SRA01). Le associazioni del bio continuano infatti a rilevare le incongruenze nei complementi di sviluppo rurale di nove Regioni che non attribuiscono al bio la quota di risorse derivante dai 360 milioni di euro appositamente trasferiti dal 1° al 2° pilastro facendo scendere il “monte premi” complessivo a disposizione di questo metodo produttivo al di sotto dei 2 miliardi di euro dichiarati dal Psp.

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Sviluppo rurale, la prima Regione

Emilia-Romagna in regola con gli impegni sul fronte della transizione ecologica. L’Assessore Alessio Mammi è stato infatti il primo a presentare, lo scorso 6 settembre, il Complemento regionale allo Sviluppo rurale. Le scelte riguardo ai 913,2 milioni di euro che l’Emilia-Romagna ha a disposizione per lo sviluppo rurale nel periodo 2021-2027 (132 milioni in più rispetto alla programmazione precedente) premieranno soprattutto l’agricoltura biologica, gli investimenti per la competitività delle imprese, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, i sostegni alle aziende con sede in zone montane o soggette a vincoli.

In sintonia con la strategia Farm to Fork che prevede di avere il 25% di Sau continentale coltivata in biologico entro il 2030, l’Emilia-Romagna ha deciso di stanziare ben 188 milioni di euro su questo settore. Si tratta della voce di spesa principale. Se si sommano tutti i fondi stanziati per la sostenibilità ambientale si raggiunge la cifra di 404 milioni di euro, quasi la metà della disponibilità totale (44,25%), mentre l’Ue chiedeva di destinare a queste misure almeno il 35% delle risorse.                                                       S.Mart.

Leggi anche: 

La sintesi del Psp

La nuova Pac è già in campo

Ecoschema 4, l’Italia salva il mais da trinciato

Seme certificato per l’aiuto accoppiato - Ultima modifica: 2022-09-29T01:52:15+02:00 da Lorenzo Tosi

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