Una situazione senza precedenti. Il Nord è quasi a secco. In sofferenza la maggior parte delle colture. Assicurarsi non basta più. Le strategie per rilanciare l’agricoltura

L’emergenza idrica estiva è ormai una costate, ma quest’anno abbiamo proprio toccato il fondo. Tanto che adesso, anche se dovesse piovere (e temporali e grandinate locali non sono mancati), le precipitazioni dovrebbero essere costanti e cospicue per diverse settimane per permettere al livello dei fiumi e dei laghi di tornare alla “normalità”.

Urgenti nuove infrastrutture

Meuccio Berselli

«Lo stato idroclimatico attuale non consente ottimismi nel breve ma neppure nel medio-lungo periodo. E se vogliamo trovare un punto di equilibrio, tenendo conto della disponibilità attuale di risorsa idrica, occorre che ognuno faccia la propria parte e che si dimostri collaborativo con senso etico nella gestione quotidiana dell’acqua – afferma Meuccio Berselli, segretario nazionale dell’Autorità di bacino distrettuale del Fiume Po –. Detto questo il comparto agricolo, nello specifico, potrebbe soffrire ulteriormente a causa delle riduzione del prelievo ed è per questo che dobbiamo promuovere l’infrastrutturazione del Paese e in particolare del distretto del Po con invasi e laghetti, oggi non disponibili, e azioni sostenibili ma immediate per l’adattamento al mutamento del clima».

Già diverse regioni (Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte) hanno dichiarato lo stato di crisi regionale, il passo successivo, se la situazione non accenna a cambiare, c’è la richiesta del piano di crisi nazionale.

Articolo pubblicato sulla rubrica Primo piano di Terra e Vita

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Serve una “cabina di regia”

«Giorno dopo giorno si allarga il dramma per campagne arse dalla siccità in un momento fondamentale del processo colturale. Per questo, chiediamo al Governo di accelerare la decisione su una scelta che, permanendo le attuali condizioni climatiche, appare ineludibile: la creazione di una cabina di regia per la gestione delle risorse idriche sotto il coordinamento della Protezione Civile».

Francesco Vincenzi

A ribadirlo è Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi), mentre le ruspe continuano a essere le protagoniste della lotta contro il tempo (anche meteorologico), ingaggiata dai Consorzi di bonifica e irrigazione per salvare i raccolti.

È così a Boretto, nel reggiano, dove ogni giorno mezzi meccanici del Consorzio di bonifica dell’Emilia Centrale sono all’opera per evitare l’insabbiamento delle pompe idrovore, nonostante il fiume Po sia ai minimi storici.

Si tratta di un’opera continua, che aggrava i bilanci dell’ente, che ha già registrano spese non preventivate per 150mila euro, che rischiano di ricadere su consorziati già penalizzati nel reddito agricolo.

La sostanza organica

La quantità di pioggia caduta nel tempo non è cambiata più di tanto (anche se le oscillazioni possono essere importanti) ma sono cambiate le modalità, l’intensità e i periodi di precipitazione. La strategia di base è quindi quella di intercettare l’acqua quando cade, invasandola e utilizzandola nei momenti strategici per l’irrigazione.

Naturalmente questo può non essere sufficiente e quindi può risultare necessaria una riconversione delle colture, quanto meno parziale, o comunque cercare di far sì che queste si vengano a trovare nelle condizioni migliori.

Carlo Triarico

«Sicuramente l’agricoltura biologica e biodinamica – afferma il vicepresidente di FederBio Carlo Triarico – che, grazie anche alle rotazioni, consentono al terreno di accumulare una buona quantità sostanza organica possono rappresentare una risposta importante ai problemi della siccità. L’humus infatti tende ad assorbire acqua e a rilasciarla gradualmente a favore delle piante».

Articolo pubblicato sulla rubrica Primo piano di Terra e Vita

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L’assicurazione non basta più

Purtroppo lo strumento assicurativo tradizionale non è più in grado di far fronte da solo alle perdite di produzioni agricole da eventi “catastrofali” (che si presentano con bassa frequenza ma hanno effetti molto gravi), come la siccità, soprattutto perchè il mercato assicurativo sta riducendo le capacità assuntive per la copertura di questi rischi.

Diventa quindi sempre più importante attuare strategie di gestione del rischio che siano in grado di integrare più strumenti per la difesa attiva e passiva che vanno dalle tecnologie innovative per limitare il consumo di acqua in irrigazione, polizze assicurative tradizionali, coperture parametriche e fondi di mutualità.

Purtroppo la crisi derivante dalla siccità non è solo italiana ma riguarda molti altri Paesi che fanno parte della Ue.

A tale riguardo la Spagna ha già deciso di intervenire a sostegno delle aziende agricole con un fondo di 400 milioni di euro.

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Terra è Vita, in collaborazione con l’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, ha realizzato un bollettino a cadenza bisettimanale che raccoglie le più importanti informazioni per monitorare lo stato della crisi idrica. 
Link: https://bit.ly/3OJc7OI

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1«Per il razionamento servono criteri scientifici»

Enrico Bortolin

«La situazione è eccezionale, ma non più di tanto – afferma Enrico Bortolin, agricoltore di Costa di Rovigo (Ro) –. È vero che dall’inizio dell’anno sono caduti solo 100 mm di acqua e che per produrre 1 kg di grano ne servono 1.000 litri, ma è vero anche che stiamo scontando 30 anni di blocco della ricerca genetica volta alla selezione di colture più efficienti nei confronti dell’acqua».

Bortolin ci fa notare che in alcune limitate zone della pedemontana del Veneto si irriga ancora per scorrimento, «Una pratica che segna un’efficienza del 30%, una cosa attualmente impensabile».

«Anche i finanziamenti previsti per un’agricoltura classificata come 4.0 oggi sono distribuiti in maniera non troppo razionale – continua Bortolin –. Vengono infatti ancora finanziati al 40% impianti di irrigazione che hanno costi energetici 3 volte e mezzo più elevati rispetto a pivot e manichette e favoriscono un consumo idrico molto più elevato».

Bortolin si reputa fortunato per il fatto di attingere acqua dall’Adige che ancora riceve acqua dal Trentino, mentre chi utilizza l’acqua del Po sta scontando grossi problemi.

«L’acqua dovrebbe essere razionata con criteri assolutamente scientifici – ci fa presente –. Servirebbe una visione più lungimirante legata al territorio che ci permetta di imbastire azioni oculate».

Ormai è l’ora di fare alcune scelte, magari anche dolorose. «Fare soia di secondo raccolto, che richiede 350 l/mq per arrivare a maturazione, in questo momento è impensabile. Salvo poi lamentarsi per la mancata produzione e andare a chiedere i contributi, quelli sì a pioggia, se ci saranno».

Qualcosa deve cambiare ma non è semplice, specie per i frutteti, che difficilmente possono essere soppiantati. «Ritengo che in una situazione come l’attuale si debba spingere più sulle colture autunno-vernine che non su quelle estive, se non c’è l’acqua! Io per quest’anno ho evitato di fare la soia in secondo raccolto perché oltre a mancare l’acqua l’energia costa il 240% in più rispetto allo scorso anno».

Un altro aspetto su cui si deve puntare è il miglioramento genetico del quale si parla sempre meno.

«Non dovevamo farci prendere alla sprovvista – conclude Bortolin – perché la situazione attuale è solo l’epilogo di un andamento già delineato. Le stesse Assicurazioni sapevano che avrebbero dovuto aumentare i premi in vista di problemi che avrebbero attanagliato l’agricoltura. Se lo sapevano i centri “economici” perché i decisori politici erano all’oscuro di tutto? Purtroppo ancora una volta è mancata una visione d’insieme e una pianificazione che non avrebbe probabilmente risolto tutti i problemi ma che sicuramente non ci avrebbe fatto trovare del tutto impreparati ad affrontare l’attuale situazione».

Finirà come sempre negli ultimi decenni con qualche decreto che distribuirà soldi (insufficienti) e non si investirà in conoscenza necessaria a prendere decisioni strategiche anche molto dolorose.

«Io ho fatto in tempo a studiare negli anni 70 su un libro di economia dove si spiegava la formazione del prezzo come punto d’incontro tra domanda e offerta – conclude Bortolin –. Come esempio veniva riportato il valore zero dell’aria e dell’acqua che essendo disponibili in quantità illimitata non avevano valore. Le esigenze sono cambiate, le conoscenze anche, ma credo che non abbiamo fatto molto come Paese per dare il giusto valore a un bene prezioso come l’acqua».

di Alessandro Maresca


2“Seconda semina” sempre più difficile

Marco Signor

Credo che la massima ambizione per un agricoltore sia poter disporre di una sfera di cristallo che gli dica come andrà l’annata agraria dal punto di vista meteorologico. Così non è, perciò è utile fare memoria delle annate precedenti e non solo quella appena trascorsa, ma almeno cinque o dieci. Molti sventolano che ormai sarà sempre come il 2003, ma neppure i tragici hanno la sfera di cristallo! Detto ciò, proviamo a ipotizzare delle strategie praticabili in contesti generali di minori precipitazioni. L’esperienza maturata negli ultimi anni dagli agricoltori friulani ha portato a ritardare la coltivazione della soia, specialmente nel medio Friuli. In queste aree è diffusissima la semina in successione a un trinciato di frumento o granella di orzo o frumento. Si può intuire che diventa difficile parlare di “seconda semina”; in questi casi siamo, nell’ordine, entro la prima decade di giugno, da metà a fine giugno, entro la prima decade di luglio. Rispetto alla tradizionale semina di inizio maggio, queste semine “ritardate” portano ad avere uno sviluppo delle piante ancora contenuto a inizio-metà agosto (periodo in cui, normalmente, le temperature raggiungono i valori più elevati); c’è infatti minor evapotraspirazione e la coltura tollera meglio lo stress. In genere alla fine di agosto, inizio settembre si rompe la stagione e arrivano delle piogge che consentono di portare a termine il rigonfiamento dei semi e la maturazione della coltura. Anche la trebbiatura sarà ritardata rispetto alla semina di inizio maggio, ma di solito avviene comunque entro la fine di ottobre.

Ovviamente ci sono sempre altri aspetti di cui tener conto. Potremmo infatti trovarci a seminare su terreno asciutto e andare in profondità a cercare l’umido può essere rischioso, proprio per le caratteristiche di germinazione della soia, che deve “raddrizzare” l’ipocotile e portare in superficie i cotiledoni. Avere la possibilità d’irrigare, anche solo 15-20 mm, consentirebbe di mantenere la semina a livello superficiale (circa 2 cm) e attivare i diserbi di pre-emergenza.

Il vantaggio di coltivare la soia è che comunque il rischio è limitato all’acquisto del seme; infatti, è possibile rinunciare all’utilizzo di concimi, stante la capacità di assimilare tutto l’azoto che le è necessario tramite l’attività del rizobio.

Ma strategicamente è valido, per qualsiasi specie, incrementare il contenuto di sostanza organica nel terreno. Attraverso l’agricoltura conservativa, praticata da anni, si è già riscontrata una maggior capacità di ridurre lo stress da carenza idrica.

di Marco Signor


3Annata difficile, ma non tutto è perduto

Ercole Parizzi

Ercole Parizzi è presidente della sezione di prodotto Colture Industriali di Confagricoltura Piacenza e con il figlio Dante conduce l’Agricola Saliceto, una grande azienda di oltre 400 ettari a indirizzo cerealicolo e orticolo industriale nel comune di Alseno (Pc). «Non è una campagna facile, ammesso che ce ne siano mai state» commenta così alla richiesta di una valutazione flash della campagna in corso.

Come sono i campi quest’anno?

Assetati. Sono rientrato in ufficio ora perché si è alzato un vento terribile che non fa che peggiorare la situazione

E i campi di soia, in particolare?

Quest’anno abbiamo aumentato le superfici dedicate alla coltura che conferiamo alla filiera mangimistica locale. L’Agricola Saliceto nel 2021 aveva 40 ettari a soia, quest’anno 60. Abbiamo incrementato le superfici, come un po’ tutti credo, perché già dallo scorso anno le quotazioni erano molto interessanti: era arrivata a 68 euro al quintale. Per questa campagna, vedremo. Da non tralasciare è poi il fatto che si tratta di una coltura meno idroesigente del mais, abbiamo quindi preferito valorizzarla dato che già in inverno c’erano state poche precipitazioni.

Per l’irrigazione come siamo messi?

La soia richiede meno acqua del mais, dicevamo, anche per questo abbiamo aumentato le superfici, però con queste temperature e la siccità è in sofferenza idrica perché se si deve scegliere quali colture non irrigare è chiaro che vengono lasciati indietro girasoli e soia, mentre si cerca sino all’ultimo di garantire acqua al mais. È una strategia di sopravvivenza che stiamo già mettendo in atto. In val d’Arda possiamo contare sulla diga di Mignano, ma quando abbiamo iniziato l’irrigazione, ai primi di giugno, la capacità della diga era già al 70% circa, si prospettava dunque una possibile carenza. In annate come queste occorre una gestione molto oculata.

Quindi la soia è compromessa?

No, per fortuna. Dal punto di vista agronomico sino ad ora è bella. Sarà un problema se la siccità perdurerà.

Un po’ come per il pomodoro da industria, che noi però non coltiviamo, dipenderà tutto dalle prossime settimane. Per tutte le nostre colture, se continua questo andamento, sarà un’annata difficile e, sotto l’aspetto quantitativo, ci attendiamo un forte calo delle rese.

Non si può irrigare tutto, diventerebbe impossibile con 4 o 5 colture in rotazione. L’acqua viene destinata a mais e a pomodoro (se lo si coltiva) tralasciando le altre colture tra cui la soia che vanno, per forza di cose, in sofferenza. Questa si prospettava una buona annata, fino a quando non si è iniziato a pagare il conto di un inverno mite e senza piogge. Per salvare i raccolti saranno determinanti i prossimi giorni. Ci giochiamo tutto in un paio di settimane.

di Elena Gherardi


4La resilienza delle frutticole

Ugo Palara

«Per le specie da frutto non si può ancora parlare di emergenza ma l’allerta è massima – afferma Ugo Palara, direttore tecnico di Agrintesa di Faenza (Ra) –. Rispetto ad altri settori, come quello delle colture estensive, per la frutticoltura la guardia è alta ma non ci sono ancora segnali di crisi conclamata. La ragione è anche da ricercarsi nell’adozione, ormai da anni, di diversi accorgimenti per efficientare l’utilizzo della risorsa idrica messi in campo da Anbi e Cer: il piano di efficientamento della rete idraulica del Paese, il piano dei 10mila laghetti o il Dss IrriFrame per fornire supporto diretto all’agricoltore in campo, concentrando e razionalizzando l’acqua disponibile nelle fasi più critiche delle colture.

La risposta potrebbe però essere diversa tra dieci o venti giorni. Nel momento in cui affrontiamo questo discorso (ultima settimana di giugno) i giochi sono fatti per una buona parte delle specie estive a maturazione e raccolta precoce, che hanno ovviamente più possibilità di sfuggire alla problematica idrica di lungo periodo o comunque di risentirne in maniera marginale. Il discorso potrebbe essere diverso per le specie autunnali: noce, kiwi, pero, melo o anche per le drupacee tardive per le quali l’apporto idrico nei mesi di luglio e agosto è determinante. In questo caso, se dovesse continuare a non piovere, andremmo incontro a diversi problemi: diminuzione della pezzatura dei frutti, peggioramento delle caratteristiche qualitative, calo delle rese (meno frutti per pianta e di dimensioni ridotte) e possibili implicazioni anche sullo stato fisiologico della pianta stessa a cominciare dalla differenziazione a fiore delle gemme per il prossimo anno».

di Sara Vitali


5Normativa acque reflue, Italia a rischio infrazione

«In questo momento di grande tensione sullo stato delle risorse idriche è fondamentale richiamare l’attenzione su aspetti determinanti, ma che rischiano di essere dimenticati appena calerà la pressione mediatica: dal Piano Laghetti per realizzare 10mila bacini medio-piccoli entro il 2030 ai rischi della normativa europea sul Deflusso Ecologico solo rinviata di 2 anni; dalla risalita del cuneo salino, che sta cambiando l’habitat alle foci dei fiumi all’utilizzo delle acque reflue». A dirlo è Francesco Vincenzi, presidente di Anbi, all’indomani del simposio sull’uso dell’acqua depurata in agricoltura.

«Sull’utilizzo delle acque reflue per la produzione di cibo – precisa Massimo Gargano, direttore generale Anbi – va coinvolto l’intero sistema interessato e competente, ma non va certo in questa direzione l’istituzione di un apposito gruppo di lavoro presso il Ministero della Transizione Ecologica, che non prevede però alcuno dei portatori d’interesse. Così come non è possibile destinare solo il 2% del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza al miglioramento dell’infrastrutturazione idrica del Paese. Non ce lo possiamo più permettere; ci vuole coerenza fra affermazioni di principio e scelte concrete».

«A giugno 2023 entrerà in vigore la normativa europea sull’uso delle acque reflue anche in agricoltura e l’Italia è a forte rischio infrazione, perché una significativa parte di depuratori non sono adeguati e attualmente le esperienze virtuose di utilizzo sono ancora poche. Non solo: ai forti carichi di sostanze nutrienti ma inquinanti per l’ambiente, come azoto e fosforo presenti nelle acque depurate, si è aggiunto recentemente l’allarme per le microplastiche, la cui diffusione attraverso l’irrigazione sarebbe una pericolosa per il made in Italy agroalimentare, ma soprattutto per la salute collettiva. Solo un’accertata, condivisa e preventiva soluzione di questi problemi potrà sviluppare l‘uso delle acque reflue in agricoltura e che, secondo alcune stime, potrebbe rappresentare circa un 13% in più di disponibilità idrica; certamente però non vogliamo essere additati come i nuovi untori» conclude il presidente di Anbi.

di Guido Trebbia

Siccità e irrigazione: siamo agli sgoccioli - Ultima modifica: 2022-07-03T17:05:06+02:00 da Alessandro Maresca