Il biochar è stato da poco ammesso nella lista degli ammendanti utilizzabili in agricoltura (Gazzetta ufficiale, serie generale 186 del 12-08-2015), grazie al lavoro svolto dall’Associazione Italiana Biochar (Ichar) che ha presentato l’istanza. Si tratta di un ammendante che è tuttavia ancora poco conosciuto e poco diffuso.
Il biochar o carbone vegetale (foto 1) è il risultato della decomposizione termochimica in assenza di ossigeno di biomasse vegetali; in breve, il residuo solido della pirolisi di materiali organici di origine vegetale. Analogamente a quanto avveniva alle antiche carbonaie, con la pirolisi la biomassa si trasforma in un gas combustibile (syngas) e catrami lasciando carbone vegetale, una matrice fondamentalmente composta da carbonio (dal 40 al 80%), le cui caratteristiche fisico-chimiche dipendono dalla natura della biomassa utilizzata e dal tipo di processo pirolitico.
L’interesse dell’utilizzo del biochar in agricoltura nasceva circa 10 anni fa quando furono riscoperte antiche tradizioni contadine che usavano il carbone e la cenere per aumentare la fertilità dei suoli. Nel 2006 queste tradizioni sono state valorizzate e riscoperte, quando si vide che biochar aggiunto al suolo, non solo aveva potenziali effetti positivi sulla fertilità, ma aumenta il contenuto del carbonio organico in modo stabile e duraturo.
Questa prerogativa l’ha fatto diventare uno strumento molto efficace per la mitigazione dell’aumento delle emissioni antropogeniche di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, ormai universalmente riconosciute come causa del cambiamento climatico in atto. Il carbonio della CO2 atmosferica, temporaneamente accumulata negli organi delle piante attraverso il processo fotosintetico, viene trasformata in biochar, che grazie alla sua recalcitranza alla degradazione quando aggiunto al suolo rimane quasi interamente inalterato per centinaia/migliaia di anni. In questa visione, l’agricoltura che utilizzasse biochar, magari impiegando i residui e le biomasse di scarto, potrebbe contribuire a mitigare le emissioni di CO2 atmosferica candidandosi ad accedere al mercato dei crediti di carbonio al pari del settore forestale
Avendo ormai accertato l’efficacia del biochar come strumento per il sequestro di carbonio nel suolo, la ricerca scientifica internazionale si è dedicata allo studio del potere ammendante del biochar per comprenderne meglio gli effetti sul suolo e sulle colture. Il biochar aumenta il pH del suolo, la capacità di scambio cationico e la quantità di fosforo assimilabile per le piante, mentre riduce la lisciviazione dei nitrati e dell’ammonio, aumenta la quantità di acqua disponibile per le piante e la densità apparente. Contribuisce infine a incrementare la produttività delle colture agrarie (foto 2).
Questi benefici, ovviamente, sono molto dipendenti dal tipo di suolo, dalla coltura, dal clima e dalla tecnica agricola usata, oltre che dal tipo di biochar utilizzato. Esistono infatti molti tipi di biochar con differenti caratteristiche in relazione al tipo di biomassa vegetale utilizzata, al tipo e alla temperature di pirolisi.
Valorizzazione delle biomasse
Ma usare biochar in agricoltura è una pratica economicamente sostenibile? Un agricoltore potrebbe installare un piccolo pirolizzatore per produrre energia, utilizzando le proprie biomasse o residui dell’attività agricola e ottenere un biochar da utilizzare come ammendante agricolo. Da qui nasce il concetto della sostenibilità del biochar: produzione di energia rinnovabile, aumento del sequestro di carbonio nel suolo, valorizzazione di biomasse che altrimenti non verrebbero utilizzate, aumento delle rese agricole e aumento della fertilità dei suoli (fig. 1).
Partendo da queste considerazioni nel 2009 è stata fondata l’Associazione Italiana biochar (Ichar, www.ichar.org), un’associazione senza scopo di lucro, formata da ricercatori, aziende, amministratori pubblici, associazioni e privati cittadini, con lo scopo di sostenere e diffondere il biochar come ammendante agricolo. Nel 2012 Ichar, ha presentato l’istanza al Mipaaf e oggi l’uso del biochar è ammesso nell’agricoltura italiana. La normativa italiana è una pietra miliare anche a livello europeo, infatti solamente in Italia è ammesso al 100% in agricoltura (foto 3).
La mancanza di una direttiva europea specifica sul biochar ha fatto sì che molte nazioni europee lo abbiamo riconosciuto secondo la propria legislazione; ad esempio in Francia è ammesso solo nell’agricoltura biologica. A livello globale il biochar è normalmente utilizzato come ammendante in agricoltura, in particolare negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e in Australia e da poche settimane è anche riconosciuto come ammendante in Canada. Si possono usare dosi di 10-30 t/ha, generalmente in presemina, interrate nei primi 20 cm di profondità con una lavorazione superficiale del suolo.
Mercato in via di formazione
Al momento attuale in Italia, non esiste ancora un vero e proprio mercato del biochar. I produttori italiani si stanno organizzando per mettere sul mercato prodotti che rispondano alla recente normativa. Manca ancora un prezzo di riferimento nel mercato, destinato come sempre a stabilirsi nell’incontro fra domanda e offerta. Ma si può già ragionare del valore reale di questo ammendante, valore che risiede nei suoi effetti positivi sull’ambiente globale in un’ottica che va oltre la sostenibilità comunemente intesa.
Gli agricoltori italiani ben presto si troveranno nella posizione di scegliere se acquistare o meno il biochar come ammendante devono essere consapevoli che:
- non esiste un solo tipo di biochar, ma che il prodotto è diverso a seconda di quale biomassa si usa e del processo utilizzato per ottenerlo;
- la normativa stabilisce limiti ad eventuali inquinanti presenti all’interno del biochar; sarà cura di chi venderà o produrrà in proprio il biochar produrre le certificazioni delle analisi.
lchar ha attentamente analizzato la letteratura scientifica finora prodotta sull’argomento, e può ragionevolmente affermare che l’incremento di produzione agricola derivante dall’uso del biochar è stimabile mediamente intorno al 10%, percentuale che può essere anche molto più alta per specifiche situazioni e colture.
Un ettaro di grano duro in Italia produce in media 4 t/ha di granella che al prezzo medio di 280-300 €/t, rappresenta per l’agricoltore un possibile ritorno finanziario al lordo dei costi di produzione pari a 1120-1200 €/ha.
Un incremento del 10% nella produzione di granella potrebbe far aumentare il lordo vendibile di circa 112 €/ha. Ma è verosimile che tale incremento produttivo possa mantenersi nel medio-lungo periodo, senza ulteriori aggiunte di ammendante. È proprio questa indeterminatezza a rendere difficile l’individuazione di un giusto prezzo del biochar.
Una recente analisi condotta da Ibi (International Biochar Initiative) ha mostrato che il prezzo di mercato del biochar, in uno scenario internazionale, varia da 90 a 5.000 Us$/t. Questa amplissima forbice trova ragione non solo nel diverso grado di sviluppo delle economie in cui il biochar trova applicazione, ma anche nei diversi tipi di colture per le quali il biochar può produrre incrementi di reddito diversificati sostituendosi ad esempio o integrando costosi substrati e terricci di coltivazione. Si pensi ad esempio al settore orto-floro vivaistico.
Gli autori sono di Ibimet-Cnr e Ichar