Il calo a livello nazionale delle superfici impegnate e della produzione, l’arretramento netto degli ettari investiti al Nord e la crescente diffusione al Centro-Sud e l’orientamento nei nuovi impianti soprattutto verso le varietà a polpa gialla rispetto a quelle verdi sono le tendenze osservate negli ultimi anni per la coltura del kiwi in Italia, importante specie frutticola della quale il nostro Paese è il secondo produttore al mondo con una produzione commercializzabile nel 2021 pari a 220.616 t di kiwi verde e 81.546 t di kiwi giallo.
La gestione colturale al Sud
Il miglioramento delle tecniche colturali e la disponibilità di cultivar di kiwi giallo e kiwi rosso a basso fabbisogno in freddo e richieste dai mercati stanno permettendo la diffusione della coltivazione del kiwi anche nel Sud Italia. «Tuttavia – come sottolinea Domenico Annicchiarico, agronomo di Floema Consulting – mentre nelle regioni del Centro Italia esiste già una lunga esperienza nella gestione agronomica, questa sicuramente manca nelle regioni meridionali».
«La gestione agronomica del kiwi nel Sud Italia non può prescindere dal rispetto di precise esigenze pedoclimatiche – spiega –. Il kiwi predilige suoli limoso-argillosi profondi e ben drenati, dotati di adeguato livello di umidità e buona ritenzione dei nutrienti e ricchi di sostanza organica. Richiede acqua irrigua con bassa conducibilità elettrica e disponibilità idrica da marzo a ottobre-novembre, dal germogliamento alla raccolta. Soffre le zone particolarmente ventose, le gelate tardive, gli sbilanci idrici (eccesso o scarsità di acqua), i ristagni idrici, i suoli compatti e poveri di sostanza organica».
Convertire un impianto a tendone
Negli ambienti meridionali il kiwi può consentire un’ottima diversificazione colturale, soprattutto in terreni stanchi dove nematodi specifici, causa di danni alle viti per uva da tavola, non possono crearli alle piante di kiwi.
«L’impianto può essere realizzato anche convertendo nella maniera più opportuna un tendone di uva da tavola in actinidieto – aggiunge l’agronomo –. Occorre però tenere presente che dal punto di vista agronomico la vite e l’actinidia sono specie diverse e che differenti sono l’apparato radicale, le esigenze nutrizionali e i problemi fitosanitari. Per realizzare l’actinidieto è possibile piantare o il selvatico a radice nuda, che poi verrà innestato, oppure piante già innestate a radice nuda o, meglio, in vaso. L’actinidia è una specie dioica, per cui nella sua coltivazione è necessaria la presenza di piante femminili e piante maschili: un buon rapporto numerico è di una pianta maschile ogni 5-6 piante femminili, distribuite in maniera omogenea. La fase di allevamento dura due anni. Al terzo anno si ha già una piccola produzione, questa poi aumenta, fino a raggiungere i massimi livelli quando la pianta ha circa 8-10 anni».
Baulature necessarie
Nella realizzazione di un impianto di kiwi, ha consigliato Annicchiarico, è opportuno sistemare il suolo con leggere baulature sulle file che ospiteranno le piante.
«La baula, dalla conformazione variabile in base alla natura del terreno e soprattutto alla sua capacità drenante, ma in genere larga 50-60 cm e alta 30-40 cm, permette la riduzione dei ristagni idrici e dell’asfissia radicale, migliora gli scambi gassosi e termici fra radici e atmosfera, ottimizza gli apporti idrici e nutrizionali – fa notare Annichiarico –. Il sesto di impianto varia, in funzione delle diverse cultivar e forme di allevamento, da 4,50-5,50 m tra le file a 2,00-2,50 m sulla fila, con densità di 1.000-1.200 piante/ha».
Elevato fabbisogno idrico
Il kiwi ha un elevato fabbisogno irriguo dal germogliamento alla raccolta, pari a circa 4.000-5.000 m³/ha/anno. «L’irrigazione del kiwi richiede un volume specifico di adacquamento di 15-25 m³/ha/ora, un turno medio variabile a seconda del terreno, un volume stagionale di adacquamento altamente variabile in base alla tessitura del terreno e all’andamento pluviometrico della stagione estiva – precisa l’agronomo –. L’impianto irriguo consigliabile è a microportata di irrigazione con due ali gocciolanti per filare, affinché l’apparato radicale di ogni pianta possa essere bagnato in ogni sua parte e quindi svilupparsi omogeneamente, e con passo variabile a seconda della tipologia di terreno. È altresì opportuno automatizzare l’impianto irriguo con un sistema di monitoraggio dell’umidità del suolo».
Kiwi sotto rete antigrandine
Inoltre, Annicchiarico suggerisce di coprire l’actinidieto con una rete antigrandine posta all’altezza di 4 m dal suolo e di 2 m dal punto di impalco, poiché la pianta di kiwi è vigorosa e ha bisogno di spazio per i tralci che vanno verso l’alto.
«Al Sud è consigliabile una rete antigrandine nera che, garantendo un ombreggiamento del 20-25%, difende la pianta dall’eccessivo calore e l’aiuta a crescere meglio. È altresì opportuno schermare il perimetro dell’impianto con una rete frangivento per proteggere meglio la vegetazione. L’esecuzione attenta delle operazioni colturali, che variano a seconda della varietà coltivata, sarà buon viatico per conseguire ottimi risultati produttivi. Ricordo la potatura invernale e la successiva legatura dei tralci selezionati, il diradamento dei germogli, il possibile diradamento dei fiori, l’eventuale impollinazione artificiale e il diradamento dei frutti da metà maggio a metà giugno».
«E infine una corretta difesa fitosanitaria da funghi al colletto e alle radici, cancri rameali nel legno di giovani e vecchie piante, botrite su fiori e frutti, evidenziabile anche in magazzino in assenza di un’attenta difesa preventiva, batteriosi (Psa), eriofidi, ragnetto, cimice asiatica, nonché la prevenzione della moria del kiwi. L’esito di una buona tecnica colturale è, alla raccolta, da settembre a novembre, una resa media di 35-40 t/ha di kiwi di ottima qualità».