Da alcuni anni in Puglia la produzione dell’uva da tavola accusa crescenti problemi tecnici e commerciali. Le difficoltà tecniche sono dovute alla coltivazione su terreni ormai stanchi, dove l’uva da tavola è presente da decenni. Quelle di mercato si presentano implacabili ogni anno e spesso, soprattutto per i produttori non ben strutturati sotto il profilo commerciale, si trasformano in autentiche crisi.
Queste continue preoccupazioni stanno spingendo diversi viticoltori a diversificare la loro attività. Ebbene, l’actinidia è una pianta ideale da mettere a dimora in terreni stanchi, da tempo coltivati a uva da tavola, perché non ospita gli stessi nematodi e non soffre delle stesse malattie della vite. Inoltre gode di una filiera ben strutturata, che costituisce per i produttori un grande vantaggio sotto il profilo commerciale.
Molti vantaggi dalla conversione del vigneto in actinidieto
È quanto afferma Domenico Annicchiarico, agronomo di Floema Consulting, sulla scorta dell’esperienza diretta, come produttore di uva da tavola e tecnico di campo. Esperienza che comunicherà ad altri viticoltori intenzionati a diversificare la produzione di uva da tavola in tre giornate (24-25-26 settembre), a Grottaglie (Ta), spiegando come convertire la struttura del vigneto (risparmiando) e gestire l’adattamento delle piante.
«Convertendo il vigneto allevato a tendone ad actinidieto il produttore avrà diversi vantaggi: riuscirà a riutilizzarne la struttura, risparmiando 30-35mila €; potrà utilizzare lo stesso parco macchine, non avrà bisogno di trattori o attrezzature differenti; essendo abituato a operazioni colturali come la discesa dei grappoli, il diradamento, la defogliazione e così via, è già pronto per la coltivazione del kiwi, che richiede operazioni simili; non avrà necessità di coprire la struttura con teli plastici, gli basterà una buona rete antigrandine e risparmierà; infine, poiché l’actinidia richiede meno giornate di lavoro di un tendone, dovrà ricorrere a meno manodopera».
In Puglia un ritorno più scientifico e moderno
Fra gli anni 80 e 90 del secolo scorso la Puglia già tentò la coltivazione dell’actinidia come coltura nuova, ma dopo gli entusiasmi iniziali, essa cedette il passo all’allora sempre più prorompente uva da tavola.
«Errori tecnici, come la non conoscenza dei reali fabbisogni idrici, limiti oggettivi, come la scarsa disponibilità irrigua e, soprattutto, l’alto costo dell’acqua, problemi commerciali, esaurirono abbastanza in fretta quel nuovo slancio frutticolo. Ora invece si può tornare alla coltivazione del kiwi su basi diverse.
Si è capito che il fabbisogno idrico medio dell’uva da tavola è pari a 5.500-6.500 m³/ha, mentre quello del kiwi è di 6.500-7.500 m³/ha. Si adotta una tecnica colturale e irrigua diversa: lungo il filare si realizza una baulatura, che alza l’apparato radicale rispetto a possibili ristagni idrici, e su essa si posa l’ala gocciolante, gestita in maniera che l’apparato radicale stia sempre umido ma mai bagnato e non si rovini. Così è possibile coltivare l’actinidia con un fabbisogno idrico vicino a quello dell’uva da tavola.
Adesso si fa ricorso a nuovi portainnesti, capaci di resistere a una salinità maggiore del terreno e anche a minori quantitativi di acqua. Infine, mentre allora esisteva solo il kiwi verde, da alcuni anni cresce l’interesse del mercato per il kiwi giallo e il kiwi rosso, che piacciono per la minore acidità e il maggiore contenuto in antociani».
Il kiwi poggia su una filiera strutturata
Il kiwi, conclude Annicchiarico, «a differenza di altri prodotti frutticoli, poggia su una filiera strutturata, capace, secondo la Conferenza dell’International Kiwifruit Organization (IKO) tenutasi nel 2019 a Torino, di produrre il 15% del Pil ortofrutticolo italiano.
esempio nove cooperative del Centro-Nord Italia sono unite in filiera con Jingold spa: esse curano produzione, calibratura, confezionamento e immagazzinamento dei kiwi verdi, gialli e rossi, Jingold la commercializzazione. Anche della gestione commerciale del kiwi discuteremo negli incontri dei prossimi giorni».