L'import selvaggio dei prodotti di ortofrutta proveniente dai Paesi terzi danneggia un comparto che vale 12 miliardi, di cui la metà è in mani alle cooperative. Si tratta di scambi commerciali non paritetici che non avvengono con le stesse regole, né alle stesse condizioni.
A denunciarlo è Davide Vernocchi, coordinatore del settore ortofrutticolo dell'Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, forte delle sue 1030 cooperative associate che producono la metà di un comparto tra i più forti del made in Italy.
«Mentre l'ingresso dei prodotti in Europa è sempre autorizzato - spiega Vernocchi - i paesi terzi chiedono agli europei di stilare appositi protocolli, ossia di dimostrare di possedere un sistema in grado di garantire che un determinato batterio o patogeno non possa essere presente su un prodotto che intendiamo esportare; si tratta di un approccio alquanto restrittivo che rende indispensabile, per aprire nuovi mercati di sbocco al nostro export, attendere anni di lavoro per la stesura di protocolli fitosanitari molto laboriosi».
Secondo Vernocchi, la politica nazionale e comunitaria deve mettere a punto strumenti adeguati che contrastino le logiche di prezzo al ribasso portate avanti da alcuni paesi produttori come quelli del Nord-Africa, ma anche del sud est asiatico, del sud America e anche della Turchia.
Continuare a subire l'import selvaggio dei paesi Extra Ue può arrecare gravi danni al nostro sistema: 1 ettaro di frutteto espiantato in Italia significa 500-600 ore lavorative perse in un anno in una sola azienda agricola, senza considerare l'impatto negativo che coinvolge tutta la filiera''. Tutto questo senza contare la sostenibilità socio-ambientale, che va di pari passo con quella economica.