Il mercato zootecnico offre oggi una vasta gamma di additivi che, a detta dei produttori, sono in grado di migliorare le performance produttive degli animali.
Alcuni di questi prodotti, tuttavia, sono più sensibili a cambi in temperatura, pH e altri fattori ambientali che possono determinare una perdita o una riduzione dell’efficacia del principio attivo.
La tecnologia di micro-incapsulazione è una procedura tramite cui una sostanza, sia essa liquida, gassosa o solida, viene protetta da una sottile capsula. Questa tecnologia può essere utilizzata al fine di proteggere gli additivi a uso zootecnico dall’azione deteriorante dell’ambiente esterno, grazie alla protezione conferita dalla capsula. Inoltre, la stessa protezione è in grado, se propriamente sviluppata, di rilasciare il principio attivo in un punto specifico durante la digestione.
La micro-incapsulazione è attualmente utilizzata su larga scala per quanto riguarda gli additivi zootecnici, tra cui i più conosciuti nell’alimentazione dei ruminanti sono amminoacidi, olii essenziali, vitamine e minerali. Per le categorie di prodotti annoverati, le tipologie di materiali utilizzati al fine di formare la capsula includono generalmente zuccheri, gomme, proteine e lipidi (Gibbs et al., 1999).
Negli ultimi anni, molti nuovi incapsulati sono stati lanciati sul mercato; tuttavia, questi prodotti - e il procedimento per crearli – presentano sensibili differenze sia dal punto di vista dell’approccio tecnologico utilizzato sia delle performance attese degli animali a cui sono destinati.
L’utilizzo di un incapsulato di elevata qualità presenta due notevoli vantaggi: permette da un lato di aumentare la flessibilità nella formulazione delle diete; dall’altro, di diminuire il costo per litro di latte o kg di carne prodotti. Purtroppo, non tutti gli incapsulati sono sviluppati con la stessa tecnologia e attenzione. Al fine di sfruttare al massimo i nutrienti utilizzati nella dieta, quindi, bisogna saper riconoscere le differenze tra le diverse tecnologie di incapsulazione, al fine di poter discernere, tra le diverse proposte, quella che consentirà un maggiore ritorno sull’investimento (Roi).
L’incapsulazione lipidica
L’incapsulazione in lipidi si è dimostrata una delle strategie più efficaci per proteggere i nutrienti dalla degradazione dovuta ai processi di trasformazione o lavorazione, allo stoccaggio e alla digestione ruminale, rendendo di conseguenza il principio attivo disponibile per la digestione più a valle nel canale digerente.
Il termine incapsulazione lipidica è generico ed esistono differenze sostanziali in relazione a:
- la struttura chimica del nutriente incapsulato e il tasso di inclusione nel prodotto finito;
- il sistema di rivestimento utilizzato;
- il processo tecnologico impiegato per la produzione dell’incapsulazione lipidica.
Esistono infatti due tecnologie principali di incapsulazione lipidica definite “incapsulazione in matrice” e “vera incapsulazione”. La prima procedura consiste nel disperdere il nutriente attivo in una matrice di acidi grassi (figura 1), mentre la seconda consiste in una serie di strati di materiale lipidico che si stratificano attorno a un cuore di principio attivo (figura 2).
Al fine di essere efficace, un prodotto incapsulato deve essere in grado di garantire tre aspetti: resistenza, protezione ruminale, qualità verificabile.
Resistenza
La capacità di un incapsulato di mantenere la sua struttura integra durante i processi di manipolazione, trasformazione o lavorazione e stoccaggio viene definita come resistenza del prodotto.
Rottura, abrasione, incrinatura della capsula protettiva o variazione della granulometria del prodotto sono tutte cause di una potenziale riduzione del quantitativo effettivo di nutriente somministrato all’animale.
Inoltre, una causa tanto sottostimata quanto frequente che influenza l’integrità della capsula protettiva è la variazione di temperatura. Per esempio, il congelamento del prodotto seguito da un processo di scongelamento può determinare una contrazione e conseguente espansione della capsula. Se quest’ultima non è sufficientemente elastica, possono crearsi fratture tramite cui l’acqua può penetrare all’interno del prodotto, sia durante la fase di stoccaggio sia nel rumine, provocando una perdita di protezione del principio attivo (figura 3).
D’altro lato, tutte le forme di incapsulazione in lipidi non possono garantire un’adeguata protezione nei confronti delle temperature e pressioni associate generalmente ai processi di pellettatura.
La temperatura utilizzata al fine di gelatinizzare l’amido contenuto nei mangimi e per rendere il pellet più duro e resistente è tranquillamente in grado di sciogliere la capsula o matrice lipidica. Allo stesso modo, la pressione applicata può incrinare o rompere completamente gli incapsulati, riducendo ulteriormente la protezione del principio attivo.
Protezione ruminale
La tecnologia di incapsulazione utilizzata per proteggere il principio attivo dalla degradazione a opera dei batteri ruminali, al fine di garantirne il passaggio a livello intestinale, è definita come protezione ruminale.
Il tasso di degradazione, e quindi la quantità di nutriente che passa a livello intestinale, può essere determinato utilizzando sia metodiche analitiche in liquido ruminale (figura 4) sia in acqua (figura 5).
Come si può notare, entrambe le metodiche sono efficaci nell’evidenziare le differenze tra un prodotto protetto a livello ruminale e uno non protetto, anche se il test in acqua risulta più veloce e intuitivo.
Qualità verificabile
La chiave per sviluppare un incapsulato efficace è creare un prodotto che non solo sia resistente alla degradazione ruminale, ma che sia in grado di rilasciare il principio attivo a livello intestinale in modo che questo possa essere assorbito dall’animale. La combinazione della disponibilità ruminale e della protezione intestinale viene definita come biodisponibilità di un prodotto rumino-protetto; concetto, questo, che esprime la vera qualità di un incapsulato.
Se per alcuni nutrienti, quali ad esempio metionina e lisina, esistono metodiche riconosciute per la misurazione della biodisponibilità (Graulet B. et al., 2005), per altri prodotti, quali ad esempio la colina, non ne esistono e bisogna quindi rifarsi a quelli che sono i risultati ottenuti in vivo sugli animali per determinare la vera efficacia di un prodotto.
Conclusioni
Grazie alla capacità di determinare risultati affidabili e consistenti nel tempo, i prodotti incapsulati stanno diventando un’alternativa sempre più popolare ed economicamente redditizia alle tradizionali materie prime.
Tuttavia, per valutare correttamente un incapsulato, e al fine di evitare inutili sprechi economici, è opportuno tenere a mente alcune domande da fare al proprio fornitore:
- il prodotto è abbastanza resistente da mantenere la sua capacità di proteggere il principio attivo anche in presenza di forti sbalzi di temperatura o conseguentemente ai normali processi di manipolazione, lavorazione e stoccaggio?
- il prodotto fornisce un’adeguata protezione a livello ruminale per un periodo di tempo sufficiente ad assicurarne il passaggio a livello intestinale (generalmente 5/6 ore)?
- il prodotto è stato testato in vivo al fine di poterne valutare la biodisponibilità sia attraverso metodiche riconosciute che valutazione delle performance animali?
Al fine di poter assicurare determinate garanzie, il fornitore dev’essere in grado di fornire materiale documentato e pubblicato su riviste scientifiche che comprovino le promesse dichiarate relativamente ai propri prodotti.
La bibliografia è disponibile presso l’autore.
(1) Technical service manager Emea, Balchem Italia.
(2) Global product manager, Balchem Corporation.
L’articolo completo di figure e grafico è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 16/2016