Il nuovo Parmigiano

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Innovazione di processo, innovazione di prodotto: il consorzio di tutela spinge perché il formaggio dop sia sempre più rispondente alle nuove richieste del consumatore. Dalla relazione che Marco Nocetti, responsabile del servizio tecnico del consorzio, ha tenuto a un recente convegno a Gonzaga (Mn)

«A fronte di un mercato che è da una parte maturo e dall’altra libero dal sistema delle quote latte e quindi aperto ad una sempre maggiore concorrenza, oggi dobbiamo sempre più impegnarci a comunicare al consumatore di Parmigiano Reggiano la reale distintività del prodotto. Se la dop è un fondamentale e potentissimo strumento, appare sempre più evidente che vanno sviluppati tutti gli strumenti di innovazione del processo che abbiamo a disposizione». Sono parole di Marco Nocetti, veterinario, responsabile del Servizio tecnico del Consorzio del Parmigiano Reggiano, intervenuto il 22 gennaio al convegno “Qualità del prodotto e dei processi produttivi nella filiera del Parmigiano Reggiano. Nuove sensibilità del consumatore e possibili risposte da parte dei produttori”, organizzato alla fiera Bovimac di Gonzaga (Mn) dal Consorzio del Parmigiano Reggiano e dall’Informatore Zootecnico. Sempre più spesso oggi, ha spiegato Nocetti, «il consumatore cerca e chiede informazioni non solo sul prodotto in sé, ma anche e soprattutto sul processo con cui il prodotto viene fatto. Vale a dire, il consumatore si chiede se il formaggio è stato prodotto con modalità che corrispondono a caratteristiche di tipo “etico”, se sulla bovina sono stati utilizzati o meno farmaci, se gli animali sono stati nutriti con alimenti Ogm o Ogm-free. Tutto questo, è ovvio, non lo può dedurre autonomamente dalle caratteristiche organolettiche del prodotto, per cui vuole invece informazioni affidabili da “comprare” insieme al prodotto».

Di montagna

Non è un caso dunque che abbia avuto successo l’iniziativa portata avanti da Esselunga, che nel 2015 ha proposto in due dei suoi punti vendita un migliaio di forme di Parmigiano Reggiano «certificato» di montagna, nell’ambito del progetto lanciato dal Consorzio Parmigiano Reggiano “Progetto qualità - prodotto di montagna”.

L’esperimento di Esselunga ha motivato la stessa catena distributiva a ripetere l’operazione nel 2016 in 30 punti vendita, dove verranno distribuite 5mila forme. Ha commentato Nocetti: «In questo caso, il consumatore che vorrà acquistare il prodotto di montagna disponibile sui banchi del supermercato sarà anche disposto a pagare qualche centesimo in più rispetto al Bollettino».

Distintività e comunicazione

L’innovazione dunque, secondo Nocetti, sta proprio qui, nel proporre al consumatore quella distintività che si aspetta e nella comunicazione di quello che essa significa.

Considerato in questa chiave di lettura, il principio dell’innovazione implica la necessità di far emergere quella distintività del prodotto che spesso già esiste e che ha bisogno soltanto di essere comunicata e spiegata. Oltre all’esempio del Parmigiano di montagna, Nocetti ha citato anche quello delle diverse razze bovine.

Di Bianca, di Rossa, di Bruna

La Bianca Modenese, ha ricordato il tecnico, «è stata recuperata e valorizzata nell’ambito di un progetto per la tutela della biodiversità animale promosso dalla provincia di Modena insieme con il movimento Slow food e l’Associazione provinciale allevatori. Il progetto prevede la produzione di Parmigiano Reggiano con solo latte di Bianca. A conferire il valore aggiunto, la distintività appunto, che consiste anzitutto nell’ottimo rapporto fra tenore di grasso e di proteine e nell’alta qualità della caseina di questo latte».

Altro esempio ancora è rappresentato dalle Vacche Rosse di razza Reggiana. Il recupero di questi animali è conseguente alla cresciuta attenzione qualitativa verso il latte. Ha spiegato Nocetti: «Nel patrimonio genetico di questa razza riscontriamo una maggiore frequenza della variante B della K, che si traducono in rese maggiori, migliori proprietà reologiche, maggiore spurgo di siero, maggiore età di stagionatura del formaggio e conseguente migliore digeribilità dei suoi componenti proteici e lipidici». Al consumatore va sempre meglio spiegato che di una forma di Parmigiano Reggiani da Vacche Rosse sono anche garantiti, tra le altre cose, il mangime certificato ogm-free, i controlli funzionali in allevamento, la somministrazione di erba fresca durante tutto il periodo di produzione e un controllo supplementare della qualità che permette di conferire l’idoneità solo alle forme migliori, alle quali verrà applicato, dopo 24 mesi, il marchio identificativo “Razza Reggiana - Vacche Rosse”.

Stesso discorso vale per il Parmigiano Reggiano cosiddetto “di sola Bruna”, una razza che deve la sua buona attitudine casearia del lattealla ridotta presenza di allele A della k-caseina nel suo patrimonio genetico.

Gli antibiotici

Un ruolo decisivo nella questione della distintività del prodotto e della corretta comunicazione del processo produttivo è rivestito dall’uso dei farmaci e in particolare degli antibiotici. Come ha riferito Nocetti, «l’antibiotico-resistenza, sia a livello animale che umano, è in aumento e l’utilizzo non prudente o non razionale dell’antibiotico in zootecnia è considerato una delle cause di selezione di batteri antibioticoresistenti. Come sostiene l’Animal production and health division della Fao, è evidente come il fulcro del problema non sia il divieto dell’impiego di antibiotici in zootecnia, bensì l’adozione dell’approccio basato sul “buon uso” o “uso consapevole” di queste sostanze come base fondante del mantenimento della loro efficacia».

Sulla base delle linee guida IP/11/1359 del 17 novembre 2011 della Commissione europea, diversi Paesi hanno approntato Piani strategici nazionali «contro la crescente minaccia dell’antibiotico-resistenza».

E in Italia? «Per comprendere a che punto siamo nel nostro Paese - ha detto il tecnico -, abbiamo a disposizione i dati dell’Esvac (European surveillance of veterinary antimicrobial consumption). Ma ancora non sono completi i dati puntuali di tipo qualitativo e quantitativo relativi all’impiego dei farmaci nelle filiere zootecniche nazionali. Anche per questo rimane complesso valutare gli effetti delle azioni volte a ridurre o a ottimizzare l’impiego degli antibiotici. Questo arriverà a ridurre la competitività delle nostre filiere rispetto a quelle dei Paesi che dispongono di più accurati sistemi di valutazione delle quantità di farmaci utilizzati e che stanno mettendo a punto autocertificazioni di filiera basate sul basso impiego di molecole antibiotiche».

La mancanza di informazioni è controproducente per la tranquillità del consumatore. Non solo, ma ancora più negativa è la diffusione di informazioni erronee, cosa che rende ancora più urgente la corretta informazione e comunicazione sui processi di produzione. A dimostrarlo, una foto postata su internet e proveniente dalla Svezia, che mostra quattro formaggi, tra cui anche il Parmigiano Reggiano, a fianco dei quali erano distribuite diverse siringhe. La quantità delle siringhe voleva dimostrare il livello più o meno elevato di antibiotici somministrati alle bovine atte a produrre quei formaggi. E a fianco del Parmigiano Reggiano, sopra alla bandiera italiana, ce n’era il numero maggiore rispetto a tutti gli altri. Il commento invitava gli utenti a consumare formaggio svedese perché considerato più controllato.

La conclusione da trarre, ha affermato Nocetti, «è che la migliore innovazione è costituita da due azioni: documentare come e quanti antibiotici vengono utilizzati nelle stalle italiane e intervenire comunque per ridurne progressivamente l’utilizzo».

Il benessere animale

Nell’ultimo numero del Journal of dairy science, in un articolo che indaga come i consumatori percepiscano “l’azienda da latte ideale”, è stato riportato il risultato di un’indagine online, da cui emerge che la prima caratteristica di una stalla ideale sia identificata nell’«animal welfare». Ma questa è solo una delle tante indagini volte a dimostrare come il benessere sia ormai una caratteristica prioritaria per i consumatori di questo o quel prodotto di origine animale. In un recente studio condotto dall’American humane association, ad esempio, nove intervistati su dieci si sono detti molto preoccupati per il benessere degli animali d’allevamento.

Oltre i tre quarti degli intervistati (il 75,5%) dichiara che sarebbe disposto a pagare di più per uova, carne e prodotti lattiero-caseari da animali allevati secondo le norme di benessere animale.

Ancora, in uno studio 2014 condotto dal Center for food integrity, più del 49% degli intervistati ha dichiarato forte preoccupazione per il trattamento degli animali da allevamento.

«Oggi molti produttori chiedono ai propri fornitori certificazioni sul benessere animale - ha puntualizzato Nocetti -. Negli Stati Uniti l’industria del latte, attraverso la National milk producers federation (Nmpf) col supporto del Dairy management (Dmi), ha dato vita al programma Farmers assuring responsible management™, che ha come obiettivo quello di rassicurare i consumatori sul fatto che gli allevatori si prendono cura dei propri animali in modo umano ed etico. E quali azioni mettono in campo per farlo? Ad esempio, promuovono le migliori pratiche di management e conducono valutazioni in stalla su larga scala (dall’anno scorso sono state effettuate 30.500 valutazioni)».

Il programma del Consorzio del Parmigiano Reggiano è quello di «contribuire ad andare avanti anche nel nostro Paese per definire criteri di valutazione sul benessere animale chiari e per implementare lo schema di certificazione».

Il biologico

Strettamente legato al benessere animale è il concetto di produzione biologica. Che ad oggi nell’Ue, è definito, nei suoi requisiti essenziali, dal Regolamento 2092/91 e sgg. Questi requisiti li ha ricordati Nocetti: «L’allevamento deve garantire almeno il 35% della sostanza secca della razione annuale con terra (bio) propria. È prevista un’adeguata fruizione dei pascoli, anche limitatamente ad una sola fase produttiva. È vietata la stabulazione fissa (ma ci sono deroghe a questo). Gli animali devono essere alimentati con alimenti biologici. È vietato l’impiego di organismi geneticamente modificati. Almeno il 60% della materia secca di cui è composta la razione giornaliera deve essere costituito da foraggi freschi, essiccati e insilati. Ancora, l’uso di medicinali allopatici è rigidamente vincolato, è vietato l’uso di medicinali allopatici per trattamenti preventivi ed è vietato l’impiego di sostanze destinate a stimolare la crescita o la produzione nonché l’uso di ormoni o sostanze analoghe destinati a controllare la riproduzione o ad altri scopi. Possono essere somministrati ormoni a singoli animali nell’ambito di trattamenti terapeutici veterinari».

Negli Stati Uniti esiste un programma, il National organic program (Nop), in base al quale non può essere utilizzato alcun antibiotico in azienda. Qualora fosse necessario somministrare antibiotici a uno o più animali, questi, anche dopo un solo trattamento, vengono spostati in un’altra stalla o ceduti. Nel nostro comprensorio una sola azienda zootecnica ha raggiunto questo obiettivo, la Hombre di Modena.

In Svizzera la certificazione “BioSuisse” viene richiesta sempre più spesso dai buyer, in alternativa alla certificazione Ue.

Tema in parte collegato al precedente è quello degli Ogm utilizzati o meno nei mangimi: in base alla normativa vigente, l’indicazione sul cartellino della loro eventuale presenza può essere omessa fino alla soglia limite dello 0,9% per Ogm autorizzati e di 0,5% per i non autorizzati. È ammesso, anche se regolamentato in modo ancora non esplicito, l’utilizzo di claim Ogm free / non Ogm.

Certificazioni kosher e halal

Ma le certificazioni ad oggi possibili in Italia sono anche altre: la sempre maggiore presenza nel nostro Paese e nel mondo di consumatori interessati a questi regimi produttivi ha fatto sì che venissero riconosciute certificazioni ad hoc per la produzione, rispettivamente, kosher e halal.

Dopo due anni di ricerca, l’azienda agricola Bertinelli, di Medesano (Pr), nell’ottobre 2014 ha iniziato la produzione di Parmigiano Reggiano dop certificato kosher da parte di Ok kosher certification e The orthodox union. La prima forma è stata tagliata nella giornata conclusiva di Expo nel padiglione Israele, col patrocino del Consorzio Parmigiano Reggiano. L’azienda prevede di produrre 5mila forme l’anno di Parmigiano Reggiano kosher.

La grande distribuzione utilizza da tempo specifiche procedure per verificare le metodiche di lavorazione e i criteri igienici dei propri fornitori a fronte di principi comuni. Ha ricordato Nocetti: «Brc è nato in Inghilterra, Ifs è progettato dalla grande distribuzione tedesca, francese, italiana. Il marchio è applicabile ad aziende che manipolano e trasformano alimenti. I principali benefici della certificazione Brc/Ifs consistono nell’accesso ai mercati esteri, nelle relazioni solide con i propri fornitori, nella semplificazione della produzione, nel controllo dei processi interni e nella minimizzazione dei rischi, nella dimostrazione di un approccio pro-attivo per la sicurezza e l’igiene alimentare».

Ha concluso Nocetti: «Tutte queste modalità di gestione dei processi produttivi richiedono indubbiamente investimenti gestionali e talvolta anche strutturali: al di là del fatto che spesso portano ad un miglioramento dell’efficienza dei processi stessi, tali investimenti sempre più paiono in grado di dischiudere nuovi mercati e fornire al prodotto un valore aggiunto sufficiente a rendere nel medio termine questi sforzi economicamente vantaggiosi».

 

L’articolo completo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 3/2016

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Il nuovo Parmigiano - Ultima modifica: 2016-02-12T10:00:38+01:00 da Barbara Gamberini

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