La fertilizzazione azotata è indispensabile per l'ottenimento di risultati produttivi ottimali e per la tutela della fertilità del suolo.
L'approccio a questa pratica agronomica è cambiato nel tempo. In passato l'obiettivo unico era quello di fornire gli elementi nutritivi necessari a sostenere e massimizzare la risposta produttiva della coltura. Oggi c'è una maggiore attenzione all'ambiente che, congiuntamente all'incremento del costo delle materie prime, obbliga a un uso più razionale delle risorse. Un'indiscriminata riduzione della fertilizzazione può, però, determinare inaccettabili riduzioni della produzione e della qualità dei prodotti. Ecco che è diventato primario l'obiettivo di massimizzare l'efficienza agronomica del fertilizzante, in modo da limitarne la dispersione in aria, acqua e suolo e al contempo evitare di sprecare denaro.
Per aumentare l'efficienza della fertilizzazione è essenziale definire con la maggiore precisione possibile i fabbisogni nutrizionali della coltura. Questo approccio, che necessita della redazione di un piano di concimazione, include la definizione della quantità ottimale di elemento da somministrare, dell'epoca e delle modalità di distribuzione, dell'eventuale frazionamento, del tipo di concime da utilizzare.
Superare l'empirismo
A livello aziendale persiste un certo empirismo nella definizione della dose ottimale di concime. I criteri adottati sono spesso pratici e approssimativi e, quindi, congiuntamente all'elevata variabilità spaziale e temporale dovuta alle condizioni disomogenee di suolo e alla variabilità e non alla predittività dell'andamento climatico, determinano efficienze d'uso del fertilizzante piuttosto basse.
Tuttavia l'empirismo può essere superato e le conoscenze scientifiche ci vengono in aiuto per modulare gli apporti sia in funzione della quantità di azoto naturalmente messa a disposizione dall'ambiente (principalmente attraverso i processi di mineralizzazione della sostanza organica del suolo) sia in funzione dell'effettivo accrescimento della coltura.
È attualmente disponibile una pluralità di metodi che mettono in campo strategie a diverso livello di complessità e applicabilità.
La determinazione della dose di elemento nutritivo da distribuire con la concimazione si basa sul metodo del bilancio, che costituisce il punto di partenza per tutte le strategie possibili.
L'applicazione più elementare di tale metodo prende in considerazione unicamente gli asporti della coltura e trascura il livello di fertilità medio del suolo, la disomogeneità delle caratteristiche del suolo all'interno dell'azienda e la variabilità climatica interannuale, concentrandosi sul solo dato medio di asporto. Tale applicazione, sebbene abbia l'indubbio vantaggio della semplicità e sia in grado di esprimere dei valori di riferimento, mostra un'eccessiva rigidità, che può essere superata, oltre che con l'aggiunta di informazioni relative alla fertilità del suolo, attraverso il monitoraggio dell'andamento di parametri colturali durante il ciclo di crescita, grazie all'uso di indicatori colturali.ù
Indicatori colturali
Il principio secondo cui “la pianta stessa rappresenti il miglior indicatore della disponibilità degli elementi nutritivi nel corso del periodo di crescita” (Tremblay, 2004; Olfs et al., 2005) apre la strada all'uso degli indicatori colturali.
Tale principio è in verità lo stesso che ha sempre guidato la pratica agricola (gli agricoltori hanno sempre guardato le loro colture, giudicando il loro stato nutrizionale a partire dal loro aspetto), ma da semplice esercizio empirico è passato ad essere un'attività con basi scientifiche.
Una prima applicazione oggettiva di tale principio è rappresentato dalle carte colorimetriche (che si basano sul confronto del colore della coltura con scale cromatiche di riferimento), in seguito superate da tecniche analitiche più sofisticate che hanno reso possibile anche in tempi rapidi e con grande accuratezza la differenziazione dello stato nutrizionale delle colture.
Ci si può avvalere di indicatori diretti, che sono cioè basati sulla valutazione del contenuto di azoto nei tessuti vegetali, oppure indiretti, che determinano proprietà che sono in stretta relazione con la concentrazione di questo elemento nella pianta (contenuto in clorofilla delle foglie, proprietà ottiche della copertura vegetale, attività di enzimi specifici), in virtù del ruolo che questo elemento svolge nell'ambito di diverse vie metaboliche vegetali.
La concentrazione di azoto totale nella coltura fornisce un'informazione diretta della disponibilità dell'elemento nutritivo fino al momento del campionamento, come risultato dell'interazione di tutti i fattori che la influenzano e il cui ruolo sarebbe molto difficile, se non impossibile, monitorare ed interpretare. Nessun bilancio previsionale può infatti prevedere il complesso degli effetti legati al tasso di mineralizzazione di composti organici, quali sostanza organica nativa, residui colturali, fertilizzanti organici precedentemente applicati, allo stato idrico del suolo, allo sviluppo fenologico della coltura, all'accrescimento dell'apparato radicale, o ai fenomeni di competizione nutrizionale sui siti di assorbimento.
Oltre alla concentrazione di azoto totale, gli indicatori più diffusi e studiati sinora sono la concentrazione dei nitrati nella linfa e nei tessuti, il contenuto in clorofilla delle foglie e le proprietà ottiche della copertura vegetale che, a loro volta derivano in gran parte dal contenuto in clorofilla.
Le procedure analitiche sono spesso complesse e onerose, per cui grande interesse ha sempre suscitato la possibilità di disporre di metodologie precise e accurate, ma al contempo rapide e poco costose (vedi tabella 1).
Pro e contro
In tabella 2 vengono elencati caratteristiche, vantaggi e svantaggi dell'adozione dei principali indicatori dello stato di nutrizione azotata delle colture.
L'applicazione della concentrazione di azoto nella pianta si basa sul confronto con valori critici o con range di sufficienza definiti per numerosissime specie e varietà, in funzione di precisi stadi fenologici e di specifici tessuti vegetali campionati. Tuttavia, la forte variabilità nell'accumulo di sostanza secca in funzione delle caratteristiche pedologiche e dell'andamento climatico rende difficile l'impiego di standard di riferimento anche se appositamente definiti per precise varietà.
Tali limiti sono superati se il concetto di concentrazione critica, vale a dire la concentrazione minima dell'elemento che in ogni momento del ciclo permette di ottenere il massimo tasso di crescita, viene messo in relazione alla quantità totale di biomassa accumulata. Si calcola così un nuovo indice diagnostico (il Nitrogen Nutrition Index - NNI) che descrive il rapporto tra la concentrazione effettiva e la concentrazione critica per ogni specifico livello di biomassa prodotta. Valori di NNI maggiori di 1 indicano colture in buone condizioni nutrizionali mentre valori minori di 1 indicano carenza di azoto. Tale indice è molto attendibile, ma ha per ora scarsa applicabilità pratica in normali condizioni aziendali, in quanto necessita di frequenti campionamenti e determinazioni analitiche.
La concentrazione del solo ione nitrico nella linfa e nei tessuti vegetali ha una stretta correlazione con la disponibilità di azoto minerale nel suolo. Tuttavia, tale concentrazione non riflette il solo stato nutrizionale, ma è fortemente influenzata dal tipo di tessuto considerato, dal livello di umidità e dall'intensità della radiazione. Al fine di eliminare questo tipo di variabilità è stato proposto l'impiego di una valutazione dei risultati in termini relativi con uso di parcelle spia e calcolo di indici di sufficienza. Parallelamente si è cercato di sviluppare procedure semplificate e di rapida esecuzione, per superare i limiti di applicabilità pratica del metodo. Sono state proposte e testate applicazioni basate su reazioni colorimetriche (come ad esempio Merckoquant test strips, Nitrate Schnelltest, colorimetro HACH) o sull'impiego di strumenti portatili come misuratori di ioni (Cardy - Horiba) e riflettometri (Nitrachek).
Il contenuto di clorofilla in molte specie è strettamente correlato con la concentrazione di azoto totale ed è un indicatore sensibile di condizioni di stress della pianta. È possibile determinarlo indirettamente grazie ad alcuni sistemi portatili, relativamente economici, rapidi e di facile utilizzo, il cui impiego è ad oggi abbastanza diffuso, come lo Spad e l'N-Tester. Anche le letture assolute di questi dispositivi sono altamente influenzate dalla variabilità interannuale, dalla cultivar impiegata e da numerosi altri fattori (foto 1). Pertanto è sempre più accreditato l'uso di approcci relativi che usano il confronto con i valori misurati su parcelle di riferimento in condizioni nutrizionali non limitanti. I valori relativi che derivano da tale confronto individuano eventuali carenze nutrizionali e possono indirizzare l'intervento di fertilizzazione.
Le tecniche di valutazione delle proprietà ottiche dei tessuti a livello di copertura vegetale (in particolare della riflettanza) sono riconosciute essere superiori all'analisi delle singole piante perché consentono il monitoraggio rapido di un'intera comunità di piante per unità di superficie. Si tratta delle tecniche con le maggiori potenzialità di applicabilità nella normale gestione agronomica, in grado di consentire l'adozione di strategie di agricoltura di precisione (foto 2).
Di Chiara Bertora(1), Anna Maria Stellacci(2), Carlo Grignani(1)
(1) Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del territorio, Università di Torino
(2) Dipartimento di Scienze AgroAmbientali e Territoriali,
Università di Bari