Negli ultimi anni, l’industria chimica ha sfornato numerosi materiali plastici innovativi che potremmo definire “intelligenti”, essendo in grado di filtrare la radiazione solare in modo selettivo, per massimizzare le prestazioni delle colture, ridurre l’input energetico delle serre, coadiuvare il controllo di malerbe, funghi, acari e insetti patogeni, facilitare il riciclo integrale alla fine dell’utilizzo da parte dell’azienda agricola.
Il punto è stato fatto in occasione del convegno “Plastiche intelligenti in una filiera agricola di qualità” organizzato dal Gruppo 24 Ore, in collaborazione con Assocomaplast (Associazione nazionale dei costruttori di macchine e stampi per materie plastiche) in concomitanza con Plast 2012, la più grande fiera settoriale in Europa.
Diffusività della luce
Silke Hemming, dell’università olandese di Wageningen, da anni studia gli effetti della luce diffusa su rese e qualità di ortaggi e fiori coltivati in serra.
Le ricerche degli ultimi anni hanno stabilito in modo inequivocabile che si possono ottenere rese ed effetti qualitativi superiori sotto coperture a luce diffusa, rispetto a quelle a luce diretta.
Nelle condizioni di irraggiamento solare dell’Olanda, in cui circa due terzi della luce è già diffusa, a causa del cielo spesso coperto, si sono verificate, in molte sperimentazioni, maggiori rese in ortaggi da frutto, sia in termini di kg/m2, che di numero di frutti/pianta, dal 6,5% al 9,7%, risultati eclatanti per un sistema serricolo estremamente tecnologico, come quello olandese, dove anche uno 0,5% in più di produzione conta molto nel guidare le scelte degli agricoltori.
Numerosi sono i motivi per cui la luce diffusa fa aumentare la fotosintesi delle colture, soprattutto quelle a sviluppo verticale (cetriolo, pomodoro, peperone, etc.) e quindi rese e qualità: vi è una migliore distribuzione orizzontale della luce al di sopra delle teste delle piante, che quindi subiscono una minore saturazione e stress in condizioni di elevato irraggiamento; aumenta la quantità di radiazione a disposizione degli strati intermedi e basali della chioma; la pianta ha una crescita più generativa e viene accelerata la maturazione dei frutti, i quali accumulano anche più sostanza secca.
I migliori risultati si sono ottenuti con percentuali di diffusività (haze in inglese) tra il 40 e il 70%, purché il materiale di copertura non riduca la trasmissività totale oltre il 3-5%. In altri termini, la diffusività compensa con benefici molto maggiori anche una leggera perdita di trasmissività totale fino a circa il 5%.
Anche Esteban Baeza, brillante ricercatore spagnolo, molto atteso al convegno, ha confermato queste osservazioni nel clima mediterraneo di Almeria. Le ricerche sono iniziate dopo quelle olandesi, ma le conclusioni vanno già nella stessa direzione.
Sembra anzi che, più si scende verso Sud, dove il rapporto naturale tra luce diffusa e diretta addirittura si rovescia rispetto al Nord Europa (2/3 della radiazione solare è diretta), più aumentano i benefici della diffusività, e in modo ancor più clamoroso.
In una prova di cetriolo tra marzo e giugno ad Almeria, ad esempio, la coltura con 45% di luce diffusa ha prodotto ca. 13 kg/m2 contro poco più di 8 kg/m2 in luce diretta! Un motivo più che valido per approfondire queste prove.
I materiali di copertura a luce diffusa hanno la proprietà di deviare i raggi solari in tutte le direzioni, quindi aumentano sia la resa fotosintetica delle “foglie d’ombra” (basali), sia la resa media della chioma.
Tutto ciò è possibile, tuttavia, se la diffusività non riduce la trasmissività totale della copertura. La percentuale di diffusività viene misurata in % di haze, che potrebbe essere tradotto “torbidità”. Le prestazioni migliori si sono osservate fino ad oggi su materiali con trasmissività totale di ca. l’80-85% e % di haze tra il 30 e il 70%.
In clima mediterraneo i film diffusivi possono avere un altro importante vantaggio: possono ritardare, o addirittura rendere superfluo, l’imbiancamento del tetto o l’uso di reti ombreggianti in estate, in quanto si riduce il rischio di scottature delle foglie apicali, senza per questo ridurre il PAR (Radiazione Fotosinteticamente Attiva), che sappiamo non essere mai eccessivo per le piante, purché si possa ricondurre la temperatura ambientale nel range ottimale per la fotosintesi, ovvero ca. 15-25 °C.
Materiali auto-pulenti
Sempre Baeza ha accennato anche a ricerche in corso, da parte di produttori di coperture per serre, su materiali plastici “auto-pulenti”, ovvero che sfruttano il cosiddetto “effetto loto”, detto anche super-hydrophobia, in quanto questa pianta possiede foglie con una micro-struttura che le rende perfettamente idrofobiche.
Trattando con nano-particelle le plastiche di copertura si può imitare questo effetto, che consente alle piogge di rimuovere in modo semplice e naturale la polvere che si accumula continuamente sulle serre, soprattutto in ambienti mediterranei molto secchi e polverosi.
Si tratta di un fenomeno tanto importante e grave, quanto assolutamente trascurato da tecnici e agricoltori. In Olanda, paese sicuramente poco polveroso e dove piove abbondantemente più o meno tutto l’anno, non lavare il tetto della serra per un mese equivale a una perdita di radiazione misurata, quindi di fotosintesi e produzione, dal 5 al 10%, infatti quasi tutti i serricoltori possiedono macchine automatiche per il lavaggio continuo del tetto.
In ambiente mediterraneo, invece, dove tra l’altro sono molto diffusi i “cicli invernali” (che iniziano in estate e finiscono in primavera) e dove, quindi, è di prioritaria importanza la massima trasmissività della radiazione solare nei mesi più bui (dicembre-febbraio), ci si accapiglia spesso ai convegni su differenze di 1-2% di trasmissività tra un materiale di copertura e un altro, mentre si dimentica tranquillamente che un mese senza lavare il tetto, ad Almeria o a Vittoria, fa perdere dal 15 al 25% di produzione. Ben vengano quindi le ricerche sulla superidrofobia!
Altri relatori al convegno, tra cui l’israeliano Itzhak Esquira, presidente del Cipa (Comitato internazionale plastiche in agricoltura), hanno auspicato la messa a punto di materiali plastici con sempre maggiore trasmissività alla radiazione visibile, sia diretta che diffusa, grazie a diversi accorgimenti: riduzione della riflessione della luce incidente; trattamenti anti-polvere e anti-condensa, che pure riducono, e di molto, la trasmissività; additivi per conservare il più possibile inalterate nel tempo le proprietà ottiche. L’obiettivo di alcune ricerche in Israele, ad esempio, è quello di portare nel breve-medio periodo la durata delle plastiche per serre a ca. 7 anni.
Fotoselettività
Altro grande tema del convegno è stata la fotoselettività delle plastiche agricole. Il futuro della serricoltura, infatti, sarà sempre più dominato dai film plastici fotoselettivi, o cosiddetti “colorati”.
Oltre a quello di Esquira, i partecipanti al convegno hanno molto apprezzato gli interventi di Pasquale Mormile del Cnr di Napoli e di Giovanni Minuto del Cersaa di Albenga, i quali hanno approfondito soprattutto il tema del controllo sia della crescita delle colture, che dello sviluppo di patogeni ed erbe infestanti in serra tramite film colorati.
Questi ultimi possono modificare, infatti, molti aspetti del comportamento vegetale: elongazione dei tessuti, ovvero compattezza delle piante; stimolazione o blocco della produzione di germogli laterali; modificazione della superficie e dello spessore delle foglie; tropismi, intensità e qualità della fioritura; colorazione dei fiori di piante ad uso ornamentale.
Molto interessante è anche l’uso della fotoselettività come mezzo di lotta a patogeni e parassiti di alcune colture orticole: riduzione della sporulazione di alcune crittogame, soprattutto della Botrite; alterazione della visione, orientamento, attività trofica e tasso di riproduzione di insetti vettori di virus, soprattutto della mosca bianca e dei tripidi, veri e propri flagelli di tutti i sericoltori mediterranei.
Gli insetti si orientano con la luce ultravioletta (UV), quindi Esquira ha presentato i dati di alcune eclatanti applicazioni combinate di teli di copertura UV-block, ovvero che filtrano i raggi UV, assieme a reti anti-insetto e teli di pacciamatura pure fotoselettivi, in un ambiente ad altissima pressione delle popolazioni di aleurodidi e tripidi, come quelle israeliane, dove si è riusciti a controllare efficacemente mosca bianca e tripidi, ma anche a ridurre fino al 90% l’uso di pesticidi per il loro controllo.
Non vi è alcun dubbio, quindi, che l’uso di plastiche foto-selettive potrà dare un contributo enorme, soprattutto nei paesi mediterranei come l’Italia, all’applicazione di una vera difesa integrata delle colture orticole e floricole protette.
Impressionanti, a questo proposito, i dati dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) riportati da Mormile: oltre 3 milioni di persone ogni anno nel mondo vengono intossicate da pesticidi e ben 220.000 decessi l’anno possono essere ricondotti a un uso indiscriminato di pesticidi. Dati veramente drammatici, che dovrebbero stimolare incessantemente tecnici e agricoltori a ricercare tecniche di difesa delle colture sempre più basate su strumenti biologici, agronomici o fisici, come appunto le plastiche foto-selettive.
Mormile ha parlato anche della fotoselettività dei teli di pacciamatura alle radiazioni nel visibile, con effetti positivi sia sul riscaldamento del suolo, quindi sulla precocità di entrata in produzione, sia sul controllo delle erbe infestanti, che sul risparmio idrico. Teli di colore marrone, ad esempio, rispetto ai classici teli neri di pacciamatura, hanno determinato in colture di melone una distribuzione più omogenea del calore negli strati superficiali, migliori rese, maggiore pezzatura e °Brix.
Minuto ha pure riportato come al Cersaa teli colorati, soprattutto di rosso chiaro, abbiano ridotto l’attività dei tripidi, quindi minori infezioni del virus TSWV in pomodoro; meno attacchi di afidi nello zucchino; addirittura 40% in meno di attacchi di Botrite su lattuga cresciuta sotto teli rossi o blu-azzurri, rispetto a teli neutri.
Effetto Termico
Andrea Ferraresi, uno dei maggiori esperti italiani di plastiche agricole, invece, ha evidenziato come il principale criterio di scelta dei teli plastici di copertura, fino a oggi, abbia riguardato soprattutto il loro effetto termico, sia tradizionale che speciale, ovvero la loro capacità sia di aumentare la temperatura a disposizione delle colture (“effetto serra”), quando questa è troppo bassa, sia di contenere il surriscaldamento dell’aria, quando può pregiudicare la crescita e la riproduzione delle colture.
Nella sua relazione ha ripercorso l’evoluzione tecnologica delle plastiche per agricoltura negli ultimi decenni, dagli albori fino ai film multistrato in PE a 5 strati, compresa la poliammide (PA).
Le plastiche a effetto termico “tradizionale” hanno la capacità soprattutto di ridurre le emissioni notturne delle radiazioni infrarosse (IR) lunghe (effetto barriera alla radiazione termica). Ciò può essere ottenuto in vari modi: con polimeri polari, quali EVA (etilen vinil acetato), EBA (etilene butilacrilato) o PVC (poli vinil cloruro); con l’aggiunta di cariche minerali, quali i silicati; con polimeri fluorurati, quali l’EFTE (tetrafluoroetilene); oppure con la più recente poliammide (PA).
Film multistrato con PA hanno mostrato “effetto serra” maggiore di teli tradizionali, buone proprietà ottiche e meccaniche, proprietà anti-condensa e anti-polvere, a tutto beneficio di una maggiore trasmissività alla luce solare.
Negli ultimi anni, soprattutto per l’impiego nei climi mediterranei, si stanno diffondendo anche i film a effetto termico “speciale”, che possono ridurre il surriscaldamento della serra in estate: tramite coloranti (rosso, blu, verde, etc.), oppure pigmenti d’interferenza dispersi nel polimero plastico (miche), micro bolle di gas o microsfere cave di vetro, grazie all’effetto “diffusivo” che inducono.
Ferraresi, tra l’altro, ha ricordato anche la leadership italiana nel mercato europeo delle plastiche per agricoltura, con una quota del 22%, seguita dalla Spagna col 20%.
Una nota a parte meritano i film per la copertura del terreno durante le operazioni di solarizzazione o geo-disinfezione tramite fumiganti, ovvero i cosiddetti film barriera o V.I.F. (Virtually impermeable film), i quali hanno sia lo scopo di potenziare l’effetto del trattamento, sia di ridurne le dosi.
Il gruppo di ricerca di Mormile ha anche messo a punto una strumentazione di misura specifica per misurare e monitorare l’effetto “solarizzante” dei teli di pacciamatura.
L’autore è del Ceres S.r.l. – Società
di consulenza in agricoltura