L’impronta idrica di quello che mangiamo

Un nuovo indicatore ambientale per i prodotti agroalimentari

E’ stata recentemente approvata la norma ISO (ISO 14046 Water footprint – requirements and guidelines) per la definizione dell’impronta idrica (Water Footprint) (vedi box). Questo nuovo indicatore di sostenibilità ambientale permette di quantificare il consumo di acqua dolce associato, direttamente o indirettamente, alla produzione di un prodotto e confrontare e individuare le soluzioni più sostenibili.

A livello globale, il consumo medio giornaliero pro capite è pari a 3.800 litri di acqua dolce per individuo suddiviso tra consumo domestico diretto (3,8%) e il cosiddetto consumo “invisibile” legato ai beni acquistati sul mercato (96,2%). Tra i consumi invisibili il settore agroalimentare è preponderante (91,5%) rispetto a quello industriale (4,7%). Alla luce di ciò e considerando anche la diminuzione delle disponibilità globali di acqua dolce, il settore agricolo dovrà sicuramente ridurre i consumi di acqua.

In questo contesto lo sviluppo di un indicatore specifico come il WF rappresenta un passo importante perché permette di valutare, con solide basi scientifiche e con una metodologia standardizzata:

(i)    differenti tecniche colturali (es. minima lavorazione, semina su sodo) e soluzioni agronomiche (es. coltivazione in asciutta per il riso);

(ii)   l’utilizzo di metodi di irrigazione più efficienti (es. micro-irrigazione o aspersione);

(iii)  l’impiego di colture più resistenti agli stress idrici.

L’impatto dei principali prodotti

In figura 1 è riportato il water footprint di alcuni tra i più importanti prodotti agroalimentari, pur trattandosi di valori medi è interessante notare come l’impronta idrica di ortaggi, frutta e prodotti di origine vegetale sia sensibilmente inferiore a quello della carne e dei prodotti di origine animale. I prodotti di origine vegetale (es. pasta, pane) pur presentando valori più elevati rispetto a ortaggi e frutta hanno un’impronta idrica sensibilmente inferiore alla carne.

Per quanto riguarda quest’ultima i valori sono considerevoli, nel dettaglio poi il WF cresce passando dalla carne avicola (3.900 m3/t) a quella suina (5.000 m3/t) fino alla carne bovina (15.500 m3/t).

È facile immaginare quale potrebbe essere l’impatto sull’uso della risorsa idrica del cambiamento delle abitudini alimentari della popolazione di paesi come India e Cina in cui si stanno abbandonando diete basate principalmente su vegetali per alimentazioni più ricche di carne. A tal proposito basta ricordare che, mediamente, una kilocaloria di origine animale ha un WF di circa 2,5 litri, cinque volte superiore a quella di 1 kcal di origine vegetale.

In Italia l’impronta idrica per la granella di frumento tenero, mais e riso è, rispettivamente, pari a 1.390, 1.220 e 1.680 m3/t; la ripartizione tra le diverse quote che concorrono alla definizione del WF è riportata in figura 2.

È interessante notare come l’acqua “verde”, che rappresenta sostanzialmente l’acqua proveniente dalle piogge che è evapotraspirata dalla coltura, è, come previsto, predominante per tutti e tre i cereali presi in considerazione; l’acqua “blu”, trascurabile per il frumento e modesta per il mais, è invece non rilevante per il riso. Infine, l’acqua “grigia” ha un’incidenza simile, soprattutto se considerata in termini assoluti, per tutti i tre cereali considerati.

A titolo di esempio per quanto riguarda l’applicazione dell’indicatore di Impronta Idrica, si riportano i risultati relativi alla produzione del frumento tenero in Emilia-Romagna. Il primo passo dell’analisi prevede la realizzazione dell’inventario relativo ai volumi d’acqua dolce per le componenti di acqua blu, verde e grigia che devono essere poi ripartite in base alla resa in granella (6,0 t/ha).

Per il frumento tenero, le condizioni climatiche e la semina autunnale fanno sì che la componente di acqua “blu”, ovvero quella dovuta all’irrigazione, sia piuttosto limitata, in media pari a 106 m3/t. Tale componente viene calcolata considerando unicamente i volumi d’irrigazione. Per quanto riguarda, invece, la componente “verde”, ovvero quella dovuta all’evapotraspirazione delle colture di acqua di origine meteorica, la stima è realizzata attraverso modelli climatici considerando l’intero ciclo colturale, in questo caso, per il frumento si ottiene un valore pari a 321 m3/t. La stima dell’acqua grigia è invece effettuata sulla base delle informazioni relative alle potenziali sostanze inquinanti rilasciate nell’ambiente (sostanzialmente principi attivi utilizzati per la difesa dalle infestanti e nitrato lisciviato in falda a seguito della fertilizzazione azotata).

Nel dettaglio, con un’applicazione media di 170 kg/ha di urea, il volume di acqua dolce necessario riportare la concentrazione dei nitrati in falda alla soglia massima consentita (50 mg/l) comporta una componente “grigia” del WF di 166 m3/t di frumento. La somma delle tre componenti è quindi pari a 593 m3/t. Rispetto al valore medio nazionale il WF ottenuto è più limitato principalmente a causa della maggior resa media dell’Emilia-Romagna e dei minori consumi idrici per l’irrigazione.

La metodologia del ciclo di vita

Le produzioni agroalimentari sono responsabili di molteplici impatti ambientali e la loro valutazione sta diventando sempre più spesso un utile strumento di analisi. Questa tipologia di analisi viene effettuata sempre più frequentemente attraverso la metodologia del ciclo di vita (o Life Cycle Assessment - LCA) che consente di quantificare gli impatti ambientali di un prodotto o servizio analizzando tutte le componenti della filiera in studio, includendo produzione e smaltimento.

Accanto all’analisi degli impatti ambientali che vengono più comunemente associati al settore agricolo (riscaldamento globale, eutrofizzazione delle acque, acidificazione del suolo, ecc.), un indicatore di più recente interesse è appunto quello dell’Impronta idrica che consente di realizzare valutazioni sulla sostenibilità delle produzioni agroalimentari focalizzando specificatamente l’attenzione sull’impatto sulla risorsa idrica.

Il WF rappresenta un indicatore estremamente importante per la realizzazione delle etichette ambientali che descrivono l’impatto ambientale di un prodotto sull’ambiente; tra di esse si annovera anche il più noto Carbon Footprint (Impronta di carbonio). Tali etichette, sia di Carbon Footprint sia di Water Footprint si parli, assumeranno sempre maggiore importanza per i prodotti agrolimentari. Tali valutazioni presentano, infatti, una duplice utilità: a livello commerciale, come strumento di comunicazione rivolto ai consumatori e/o operatori di filiera (associazioni di produttori, industrie di trasformazione, gdo, ecc.); a livello aziendale, per valutare i punti critici lungo la filiera produttiva e le possibili strategie di miglioramento del profilo ambientale del prodotto in esame.

 

1Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali. Produzione, Territorio, Agroenergia - Università di Milano - Via G. Celoria 2, Milano.

2Department of Water Engineering & Management. Faculty of Engineering Technology. University of Twente - P.O. Box 217, 7500 AE Enschede, The Netherlands.

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L’impronta idrica di quello che mangiamo - Ultima modifica: 2015-04-13T10:00:30+02:00 da Sandra Osti

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