Cresce in maniera sensibile la popolazione mondiale, cala la produzione di derrate agricole. Ma la difesa delle colture non riesce comunque a uscire dalla discriminazione del politically uncorrect. A maggior ragione per un prodotto voluttuario come il vino.
L’elenco delle avversità della vite con decorso potenzialmente distruttivo è però sempre più lungo. Agli ormai classici peronospora, oidio e botrite, nemici mai disposti a sconti, si aggiungono ogni anno nuove emergenze: giallumi, mal dell’esca, escoriosi, cocciniglia, black rot (solo per citare le più recenti).
La gestione fitosanitaria della vite può essere certamente razionalizzata, ma non semplificata. Mentre il piano d’azione nazionale sugli usi sostenibili degli agrofarmaci non riesce a uscire dalle secche dell’attuale stallo istituzionale, la sostenibilità sta diventando comunque la foglia di fico per coprire il “pudore” della necessità di un’efficace difesa chimica. Con la diffusione di numerosi piani “fai da te”.
Così ci sono rinomate aree vitivinicole che stanno passando in pochi mesi dai trattamenti aerei effettuati tramite elicottero, alla condivisione forzata di disciplinari che impongono l’eliminazione dei prodotti con classe ecotossicologica Xn, T e T+, con l’obiettivo condiviso e condivisibile di una riduzione del 20% degli interventi. Un’impostazione strategica che può essere una scommessa vincente dal punto di vista commerciale, ma anche un azzardo dal punto di vista della produzione.
Mentre infatti cala l’arsenale dei prodotti fitoiatrici utilizzabili nei vigneti, sia per queste iniziative private che per l’impatto della perenne evoluzione della disciplina fitosanitaria europea (con l’attesa definizione della frase di rischio “endocrine disruption” che potrebbe mettere fuori causa intere famiglie di agrofarmaci, come i ditiocarbammati e i fosforganici), il quadro fitosanitario viene ulteriormente complicato dagli effetti del global warming.
L’intensificazione e lo spostamento delle precipitazioni sono infatti sempre più spesso la causa di attacchi fungini che non risparmiano i grappoli.
E, passando agli insetti, l’album dei parassiti della vite, finora limitato a tignole, cicaline (tra cui i temibili vettori di flavescenza dorata e legno nero) e fillossera, si sta arricchendo negli ultimi anni di numerose new entry (Drosophila suzukii su tutte) e di clamorosi ritorni (come quello di acari e cocciniglie). Con il rischio sempre più pressante che la sostenibilità ecologica possa mal conciliarsi con quella economica.