Parecchi anni fa, interrogato sulla riforma del ministero della Giustizia, Mino Martinazzoli rispose che gli sarebbe bastato velocizzare il passaggio delle lettere da un ufficio all’altro. Una battuta che oggi sembra profetica.
Il Parlamento europeo ha licenziato la Pac. Non c’è dubbio che siamo in ritardo, ma come sappiamo il Coronavirus fa slittare ogni cosa, e la Pac ci ha ormai allenato ai rinvii. Del resto trovare l’accordo tra 27 Stati, che non vogliono perdere la loro sovranità, tra gruppi politici e parlamentari, tra spinte e controspinte di organizzazioni ambientaliste e agricole, non è assolutamente facile.
Editoriale del numero 33 di Terra e Vita
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Tutti concordano che la Pac deve assumere sempre più i contorni di un motore che sospinge lo sviluppo verso la sostenibilità. Tutti sanno che nei prossimi mesi e anni occorrerà impegnarsi a innovare e sviluppare un’agricoltura che veicoli parole d’ordine nuove perché i cambiamenti climatici e la “ribellione della natura” per quei sistemi inquinanti, in ritardo di innovazione, interrogano non solo il comparto agricolo ma tutta la società.
Non è utile alla causa della sostenibilità evocare confronti con gli altri settori produttivi, forse più colpevoli del nostro per il buco dell’ozono e i cambiamenti climatici. Noi dobbiamo compiere passi importanti per applicare le buone pratiche agricole e nuovi modelli di allevamento. La sfida che ogni Pac pone, superata la necessità di produrre per alimentare, è sviluppare qualità nel massimo impegno ecologista possibile. Un’agricoltura capace di attenuare, con la propria strategicità, anche gli effetti negativi di una società consumistica. Un’agricoltura che però deve essere considerata “politica prioritaria” delle e nelle agende di ogni Paese Ue, riconoscendole quel ruolo trainante dell’Europa assunto fin dalla sua costituzione. Un’impresa non conservativa ma una presenza che valorizza il territorio. Gli imprenditori agricoli europei, e in particolare italiani, hanno sempre accompagnato i processi evolutivi della Pac, applicando regole che hanno determinato anche cambi di rotta repentini particolarmente impegnativi. E oltre alle imprese agricole, un esercito pari a quasi mezzo milione di periti agrari era dentro e al fianco di questi processi.
Per questo condivido la forte iniziativa dell’Italia e in particolare di Paolo De Castro, quando coinvolgendo i partner politici e istituzionali europei li persuade della necessità di sostenere le imprese agricole per orientarle verso nuovi traguardi di una missione dell’agricoltura green. Continuo a ritenere che la priorità di ogni sviluppo, innovazione e “ripartenza” passi da una classe professionale e imprenditoriale preparata. Pertanto il ricambio generazionale non può prescindere dal valorizzare gli Istituti tecnici agrari e le università agrarie anche con risorse europee.
Il nostro Paese dovrà dipanare il nodo delle responsabilità gestionali della nuova Pac, per non ripetere errori e ritardi che hanno visto alcune regioni arrancare e non mettere a disposizioni delle imprese le risorse europee, creando anche un grave danno all’indotto e ai professionisti. Una soluzione, dietro l’angolo, c’è sempre ed è sempre la solita: lavorare insieme. Riformare organismi come l’Agea, costituire un tavolo permanente tra Stato e Regioni chiamando le organizzazioni agricole, gli Ordini e i Collegi a trasferire al territorio. Possiamo affermare con orgoglio che le politiche agricole europee sono generate da esperienze soprattutto italiane.
di Mario Braga,
presidente del Collegio dei periti agrari e dei periti agrari laureati
presidenza@peritiagrari.it
Secondo il mio parere bisogna aiutare i (veri agricoltori)che fanno reddito.
Aiutare le zone svantaggiate-montane che hanno tante difficoltà.
Poi eliminare pensionati ,gente che con solo P.iva prendono fondi è non coltivano nemmeno i terreni.
Bisogno fare controlli mirati da parte degli enti pagatori.
Poi sburocratizzare i pagamenti.