«Partiamo con qualche giorno di anticipo e con parecchi ettari messi a coltura in meno (-8,5%) rispetto al 2021, ma anche con qualche preoccupazione in più. Ci affideremo alla nostra capacità di resilienza per garantire la qualità che contraddistingue i nostri prodotti da quelli del resto del mondo». È con queste preoccupate parole che il presidente Marco Serafini e il direttore generale Giovanni De Angelis dell’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali (Anicav) annunciano l’avvio della campagna 2022 di trasformazione del pomodoro da industria.
Per Anicav uno scenario molto preoccupante
Quello in cui le aziende di trasformazione stanno cominciando a operare è uno scenario particolare e difficile, «nel quale – dichiara Serafini – si combinano la precoce maturazione dei frutti, conseguente alle alte temperature delle scorse settimane, tanto che ormai tutti gli stabilimenti produttivi hanno avviato la trasformazione, e le tante incognite che caratterizzano un contesto economico quanto mai incerto, di cui bisogna tenere conto già in questo inizio di campagna. I problemi sono tanti, in ordine sparso: la siccità, in particolare nel bacino Nord, la difficoltà nel reperire manodopera stagionale sia nei campi sia nell’industria, l’esponenziale aumento dei costi delle materie prime, degli imballaggi primari e secondari e soprattutto delle risorse energetiche e il crescente rischio di pericolose speculazioni, mettono in grande difficoltà uno dei comparti più rappresentativi e importanti dell’industria alimentare italiana».
Da Anicav molta attenzione per la qualità
Per questa campagna di trasformazione, in Italia sono stati messi a coltura 65.180 ettari - con una riduzione dell’8,5% rispetto all’anno record 2021 – di cui 37.024 nel Bacino Nord (-4,1% rispetto alla scorsa campagna) e 28.156 nel Bacino Centro Sud (- 13,6% sul 2021). Sulla base di questi dati e considerando quanto fatto in media negli anni scorsi, si può prevedere una produzione tra 5,2 e 5,4 milioni di tonnellate.
«Naturalmente, – sottolinea De Angelis – si tratta di stime. Il volume delle produzioni dipenderà sia dalle rese agricole sia da quelle industriali, anche in ragione della qualità della materia prima conferita sulla quale l’attenzione dell’industria resta alta poiché deve garantire un prodotto finito che rispetti gli elevati standard dei nostri derivati: la qualità rappresenta, infatti, da sempre un dovere e un punto di forza per le nostre aziende».
Costi di produzione troppo alti
I rincari, però, che hanno raggiunto livelli senza precedenti non solo in termini di quantità ma soprattutto per la generalità degli elementi di costo interessati, hanno fatto lievitare enormemente i costi di produzione, evidenzia il presidente dell'Anicav. «Il comparto sarà messo a dura prova, ma restiamo fiduciosi confidando nelle capacità di resilienza dei nostri imprenditori che cercheranno, almeno in parte, di attutire le conseguenze di tali aumenti incidendo sui propri margini».
La campagna di trasformazione, aggiunge il direttore generale dell'Anicav, parte fra tante incognite (siccità, condizioni climatiche, difficoltà nel reperimento della manodopera) e in un complesso quadro macroeconomico. «Ci preoccupa, ancor più, l’atteggiamento speculativo di una parte del mondo agricolo, già palesato in questo avvio di campagna, che rischia seriamente di mettere in discussione la sopravvivenza della filiera, in particolare nel bacino centro-meridionale. È il caso di ricordare che l’industria, dopo mesi di trattative, ha riconosciuto un prezzo di riferimento del pomodoro al Nord e, ancor di più, al Centro-Sud che non ha precedenti nella storia della contrattazione del pomodoro da industria e che rimane il più alto pagato al mondo».
IL COMPARTO IN NUMERI
La filiera del pomodoro da industria rappresenta la più importante filiera italiana dell’ortofrutta trasformata e, con un fatturato, nel 2021, di 3,7 miliardi di euro, di cui circa 2 miliardi derivanti dall’export, riveste un ruolo strategico e di traino dell’economia nazionale impiegando circa 10.000 lavoratori fissi e oltre 25.000 lavoratori stagionali, cui si aggiunge la manodopera impegnata nell’indotto.
L’Italia, specializzata nella produzione di derivati destinati al consumatore finale, è il secondo Paese trasformatore a livello globale dopo gli Stati Uniti e rappresenta il 15,6% della produzione mondiale e il 53% del trasformato europeo.