Soia sì, soia no. Dopo i recenti anni di promettente sviluppo, questa coltura, prima florida e successivamente quasi scomparsa dalle nostre campagne, rischia di subire una nuova battuta d’arresto. Fra le ragioni le rese non eccezionali del 2017 complice il caldo eccessivo, e il costo di produzione, inferiore sì a quello del mais, ma comunque di un certo rilievo.
Ciò che tuttavia preoccupa davvero è la questione della difesa, che riunisce due fattori concomitanti: il divieto di trattamenti per le superfici registrate come greening e la diffusione della cimice asiatica, con danni pesantissimi nelle zone infestate.
Per capire come si stanno orientando i produttori, abbiamo messo a confronto due realtà che potremmo definire standard con due casi particolari, in cui si sono trovate soluzioni alternative per valorizzare maggiormente questa oleaginosa.
Cominciamo dalla provincia di Lodi, dove vive e lavora Giuseppe Elias, agricoltore e allevatore molto attento alle rese e alla diversificazione colturale.
Meglio il set-aside
Da quest’anno, tuttavia, non produrrà più soia. «Dopo averla seminata per alcuni anni, ho deciso di abbandonarla e scegliere il set-aside come terza coltura. Questo a fronte di rese inconsistenti, costi comunque alti e diversi problemi di difesa».
Partiamo dalle rese. I terreni alle porte di Milano, ci dice, non sono vocati. «Perlomeno non per questa soia, perché negli anni Ottanta, lo ricordo bene, si facevano produzioni molto alte, anche superiori alle 4 tonnellate per ettaro. Oggi, invece, complice il suolo acido e limoso, abbiamo un raccolto deludente. A ciò si aggiungono le difficoltà di coltivazione, con prodotto sempre a terra e a rischio marcescenza. Immagino, a questo punto, che le cultivar sul mercato non siano adatte ai nostri terreni, ma pensate per massimizzare la produzione in paesi come gli Stati Uniti o l’Argentina».
In tema di bilancio economico, Elias ricorda le ingenti spese per la lotta alle infestanti: «Almeno il 50% dei costi produttivi è dovuto ai diserbi; subito dopo viene la difesa. Peraltro difficile, dal momento che le avversità della soia sono devastanti e comportano la distruzione quasi totale della coltura. Ragnetto rosso e cimice asiatica, dove colpiscono, fanno danni enormi».
Che poi da quest’anno, per le regole del greening, non sia più possibile effettuare trattamenti, ovviamente, peggiora le cose. «La decisione di non coltivarla, per quanto mi riguarda, è dovuta ad altre valutazioni, ma il fatto che non si possa più difendere non fa che rafforzare questa scelta. Meglio, a questo punto, seminare grano tenero e lasciare una parte in set-aside».
L’elegia del secondo raccolto
Dalla Lombardia voliamo in Friuli Venezia Giulia, terra in cui la colza ha una solida tradizione. Anche a casa di Gianni Braidotti, agricoltore di Cividale del Friuli, che ne coltiva una trentina di ettari, quasi tutta di secondo raccolto. «Non avendo terreni irrigui – ci spiega – fare soia di primo raccolto è un azzardo, perché con il caldo lo sviluppo si arresta e lascia spazio alla crescita delle infestanti. È vero che alla prima pioggia la soia ricaccia, ma ormai il danno è fatto e tocca intervenire con diserbi in post emergenza, il cui costo azzera i guadagni».
Discorso diverso per il secondo raccolto, continua l’agricoltore: «Seminiamo dopo la colza, facendo minima lavorazione in un solo passaggio. Montiamo un ripuntatore di nostra produzione sul sollevatore frontale e una seminatrice combinata su quello posteriore. In questo modo riusciamo a ridurre fortemente i costi e a rendere remunerativa la coltivazione, nonostante prezzi non esaltanti e una resa che, dalle nostre parti, ben difficilmente supera i 30 q/ha». In secondo raccolto, spiega Braidotti, una leggera pioggia è sufficiente allo sviluppo della pianta e la pressione delle infestanti è minore, per cui si ottiene una resa quasi pari al primo raccolto, ma con una spesa molto inferiore.
All’estremo Nordest, il costo principale è rappresentato dal seme, mentre si tende a non fare trattamenti diserbanti né, se possibile, insetticidi. «Da noi non sono ancora arrivati né il ragnetto rosso, che fa danni verso il mare, né la cimice, al momento ferma a una ventina di chilometri, nella periferia di Udine. Se dovessero colonizzarci, sarebbe un problema, perché non val la pena fare trattamenti, con queste rese». In questo caso, a ostacolare la difesa non è tanto il greening – per il quale Braidotti usa alcuni campi a medica presi in affitto – quanto la questione economica.
Come alternativa, Braidotti punta sul girasole e, parzialmente, sul mais. La sua Sau, ci spiega, è divisa sostanzialmente in tre: «Sui terreni più magri e in rotazione mettiamo il girasole, sui migliori e più freschi il mais e sulla rimanente superficie colza, seguita dalla soia. La rotazione tipica è girasole con raccolta a fine agosto, seguito da colza+soia e, se il terreno lo consente, mais al terzo anno».
Il girasole ha diversi vantaggi, secondo l’agricoltore. «In primo luogo cresce dappertutto, secondariamente ha costi produttivi molto bassi. Per concimare, bastano un paio di quintali di complesso alla semina e uno e mezzo di urea a spaglio in primavera. Anche il seme non comporta una grossa spesa, visto che si distribuisce a 25 cm di distanza».
Riassumendo, in quest’azienda la soia rappresenta una soluzione interessante, ma in supporto ad altre colture. «Un po’ la farò sempre, per il buon prezzo e perché rappresenta un ottimo secondo raccolto, ma difficilmente diventerà, per me, un primo raccolto di peso».
Più reddito con la soia da seme
È invece una coltura di peso – e molto – per Luca Massignani, agricoltore e contoterzista di San Donà di Piave (Ve), che ne coltiva circa 300 ettari. «Quest’anno manterrò la superficie, mentre aumenterò le bietole e il grano e diminuirò il mais, che dà un sacco di problemi con tossine e prezzo».
Il valore della soia, continua, è invece adeguato ai costi: «Al momento (la scorsa settimana, ndr) siamo sui 37 euro, ma è stato anche più alto. E in ogni caso non richiede grandi spese, se non si hanno problemi con i parassiti».
Problemi che, continua Massignani, potrebbero tuttavia manifestarsi presto. «Il vero pericolo è la cimice asiatica, che è già presente a pochi chilometri da noi, nella zona di Treviso. Tanto è vero che più di un agricoltore ci ha chiamati per i trattamenti. I quali, tuttavia, costano parecchio e risolvono poco, da quanto abbiamo visto». Sembra destare invece meno preoccupazioni il ragno rosso, che si contiene con maggior facilità.
Per migliorare la redditività della soia, Massignani ha dedicato metà della superficie alla produzione di seme, una destinazione che pur richiedendo maggiori attenzioni è in grado di regalare fino a tre euro in più al quintale. «Inoltre alcune case sementiere, come Syngenta, pagano un premio aggiuntivo se si è disposti a fare stoccaggio e mantenimento del seme fino al momento del ritiro», precisa l’agricoltore, che lavora anche con Pioneer.
Fare soia da seme, aggiunge, non comporta costi aggiuntivi. Soprattutto se, come nel suo caso, si dispone delle macchine adatte alla raccolta. «Un requisito fondamentale è usare mietitrebbie assiali, che fortunatamente noi abbiamo. Per il resto non sono richiesti trattamenti aggiuntivi o altro. Naturalmente, la soia prima di essere ritirata è sottoposta a controlli molto accurati e se non soddisfa le specifiche per qualità, umidità e via dicendo, non è accettata. A quel punto si vende come soia normale, al prezzo di mercato».
La domanda di seme di soia vive un buon momento: grazie all’incremento della superficie a soia, l’industria sementiera ha bisogno di più dosi. «Nel nostro caso, in pochi anni abbiamo aumentato le coltivazioni del 50%, passando da 100 a 150 ettari. Pur non essendoci la certezza assoluta del ritiro, è comunque una soluzione interessante per guadagnare qualche euro in più», conclude Massignani.
Soluzioni per l’uso zootecnico
Concludiamo la panoramica con un allevatore. Mauro Zanone vive e lavora, come il collega Braidotti, a Cividale del Friuli. Tuttavia, mentre il secondo produce per il mercato, Zanone coltiva soia per la sua stalla, che conta una settantina di capi in lattazione, con mungitura robotizzata.
L’uso diretto di questo prodotto nell’alimentazione dei bovini, come noto, richiede l’impiego di varietà particolari, che presentino un contenuto particolarmente basso di fattori antinutrizionali. «L’impiego di soia zootecnica, per esempio Hilario, evita problemi nutrizionali, ma non quello di come inserirla nella razione, dal momento che i fagioli di soia essiccati non sono digeriti e la molitura, oltre a rappresentare un costo, è difficile a causa del contenuto di olio, che provoca imbrattamento del mulino e produzione di una farina poco utilizzabile».
La soluzione adottata da Zanone è semplice quanto efficace: l’ammollo. «Dopo la distribuzione dell’unifeed mettiamo la soia in ammollo per il giorno successivo. °Passate 24 ore i fagioli sono teneri e perfettamente digeribili. Perlomeno, non se ne trova traccia nelle feci». In questo modo Zanone riesce a fornire tutta la proteina attraverso la produzione aziendale: «Abbiniamo circa un chilo e mezzo di soia alla medica e in questo modo abbiamo tutto l’apporto proteico necessario».
È inoltre allo studio una soluzione ancor più funzionale: «Pur essendo assimilabile, la soia talquale presenta comunque un tasso di olio che rischia di deprimere l’ingestione. Inoltre non la possiamo usare nel robot di mungitura, nel quale impieghiamo, come incentivo e premio alla produzione, una miscela di farina di estrazione di soia, crusca e mais. Per risolvere entrambi i problemi stiamo lavorando a uno spremitore che ci permetterà di estrarre l’olio e ottenere il pannello di soia, perfettamente utilizzabile nel robot». L’olio, aggiunge Zanone, sarà invece usato nella razione delle manze oppure ceduto a mangimifici o a chi produce energia elettrica da biomasse. «Stiamo anche valutando la possibilità di usarlo in vecchi trattori che lavorano nella stalla, ma non so se ci riusciremo».
Grazie alle proprie coltivazioni – 35-40 ettari l’anno – Zanone può così fare a meno di acquistare soia sul mercato. Per massimizzarne la redditività, si è inoltre preoccupato di ridurre al minimo le spese di produzione. «Siccome le rese non sono molto alte, cerchiamo di avere il più basso costo possibile. Per esempio, facciamo semina diretta con una Quasar di Tonutti e una Sfoggia per le semine di precisione. Al limite, con una lavorazione che non va oltre i 3 cm e mezzo. Si noti però che i nostri terreni restano coperti tutto l’anno, con un mix di orzo, veccia e ravizzone.
Il procedimento, quindi, prevede la semina delle cover con uno strigliatore, la loro distruzione con la trincia e la semina su sodo della soia o del mais, con una produttività di circa 25 ettari al giorno. In questo modo, chiaramente, le spese scendono al minimo». Ancor più se, come nel caso di Zanone, le colture di copertura forniscono già un apporto nutrizionale. «Usiamo soltanto un po’ di fertilizzante in post-emergenza, mentre – salvo casi particolari – non facciamo concimazione in presemina. In questo modo, anche una resa di 30 o 35 quintali per ettaro diventa interessante. L’impiego aziendale permette di massimizzare la redditività delle coltivazioni, senza contare che so cosa do da mangiare alle mie vacche».
tab. 1 Spese di coltivazione soia (€/ha) | ||||
Semina+trattamenti* | chimica | Irrigazione | Raccolta | Trasporti |
145 | 195 | 32 | 160 | 78 |
*Escluso il costo del seme Dati azienda Elias |
tab. 2 Spese di coltivazione soia (€/ha) | |||
Seme | Diserbo | Trattamenti | Gasolio* |
160 | 150 | 50 | 25 |
*Per minima lavorazione con estirpatura e semina combinata
Dati azienda Massignani |