«Quando d’agosto si dorme non è un’annata da riso».
Lo diceva a inizio settembre Edoardo Andrea Negri, imprenditore agricolo di Gambarana, Pavia.
Da un capo all’altro della pianura lombardo-piemontese, terra di riso da oltre 600 anni, il quadro si ripete monotono: danni e cali di produzione a macchia d’olio, almeno a sentire il polso dei risicoltori che, con un ritardo dai 15 giorni a un mese, sono finalmente entrati con le mietitrebbie nelle risaie.
Forti cali produttivi
Il sole di settembre ha salvato i raccolti, ma in diversi areali ci sono cali drastici, fino al 20-25%, come stima Fabrizio Rizzotti, risicoltore di Vespolate (No), che precisa come «le varietà che più hanno patito gli effetti del maltempo sono state quelle da interno e in particolare, per quanto ho visto nei miei campi, il Carnaroli». Le osservazioni giungono dopo un taglio di oltre il 60% della sua superficie a risaia.
Colpa di un sole estivo mai così latitante, di un clima freddo che ha fatto cadere la colonnina di mercurio sino a 15 gradi notturni in agosto (ma anche meno; 10-12 in baraggia vercellese e biellese), e colpa delle precipitazioni ripetute che, nei mesi di luglio e agosto, sono state superiori anche del 20% rispetto all’anno precedenti, con diversi giorni di pioggia in più (+8 quelli registrati alla stazione di Stroppiana, in provincia di Vercelli).
Fioriture in ritardo
Con quali conseguenze? Innanzitutto un ritardo marcato di accestimenti e fioriture, che si sono protratte ben oltre il 20 agosto (solitamente avvengono tra il 20 luglio e il 5-10 agosto). Agli aborti fiorali si è poi aggiunta la cosiddetta “sterilità atipica”, particolarmente nelle aree della Baraggia vercellese e prevalentemente sul riso Sant’Andrea.
E ciò ha ulteriormente ridotto la produzione.
Anche le risaie di Angelo Ballasina sono a Granozzo, nel cuore della piana che divide le tre ‘capitali’ del riso, Novara, Vercelli e Pavia.
Ballasina ha iniziato a tagliare a fine settembre ed è al 50% del lavoro di mietitura. «Ho cominciato a raccogliere verso il 20 di settembre – afferma – a iniziare con le tipologie superfino e, in particolare, Arborio, Carnaroli e Roma. E si è notato subito che la produzione è più scarsa rispetto allo scorso anno: 32 quintali ad ettaro contro i 40 dello scorso anno». Anche in questo caso il calo è dunque marcato, intorno al 25%. «Ma la qualità – continua Ballasina – è tra il discreto e il buono, sia sui superfini che sui tondi-indica. Abbiamo riscontrato buone rese sui tondi, più basse sulle tipologie superfino e sugli indica».
Dal punto di vista delle malattie «siamo stati fortunati perché non ne abbiamo registrate. Ora ci aspetta un’ultima quindicina di giorni per completare il lavoro».
Altrove è andata peggio, con una presenza di Brusone più marcata rispetto al 2013; gli attacchi di maggior evidenza si sono verificati in alcuni areali della Sardegna.
Un dato interessante, sulla base delle prime analisi dell’Ente Risi, viene invece dalle stime sulle superfici coltivate nel 2013-2014.
Superfici in crescita
I dati indicano che la “risaia Italia”, sorprendentemente, dovrebbe crescere di circa 3.500 ettari rispetto alla precedente campagna e dopo la costante flessione degli ultimi anni.
A trarne maggior vantaggio è l’ettarato destinato a risi medi e lunghi delle varietà japonica, con un incremento di ben 22.400 ha. Di contro, il noto problema dei dazi agevolati per i risi dei Pma (Cambogia in primis) hanno causato la flessione delle tipologie indica di ben 15.500 ha.
Su questo punto il braccio di ferro con l’Europa (che pure ha iniziato a esaminare la richiesta di clausola di salvaguardia a metà settembre) è ancora in essere, ma con esito quantomai incerto.
Consistente anche il calo dei tondi, con 3mila ettari in meno.