Ogni volta che mi occupo di un’infestante originaria del Nord America mi rendo conto di assistere all’ennesimo atto del confronto-scontro biologico, oltre che culturale, seguito alla scoperta del nuovo continente. E il colore ricorrente di queste specie mi spinge a paragonarle a “indiani” che prendono d’assalto la diligenza agricola europea, proprio come le “ombre rosse” dell’omonimo film di John Ford.
Rosse come la linfa delle bacche della Phytolacca americana. Rosse come i piccoli fiori dell’Ambrosia artemisiifolia e degli occhi allergici invasi dal suo polline. Rosse come i fiori dell’Apios americana dei campi di mais piemontesi. Ma tante altre ombre rosse stanno invadendo le coltivazioni italiane, alcune con discrezione (vedi Sicyos angulata) altre con sfrontatezza, come Solanum carolinense nelle coltivazioni venete o come Erigeron canadensis comune ormai in tutto lo Stivale con le sue popolazioni resistenti. E, come in una commedia all’americana, dopo la dissolvenza, appaiono le silhouette di due amaranti: Amaranthus tuberculatus ed A. palmeri, che, per una sorta di ricongiungimento familiare con gli altri amaranti nordamericani già presenti dalle nostre parti, aumentano le preoccupazioni dei maiscoltori e degli orticoltori della costa veneta-emiliana.
Fino all’ultimo caso: risale solo a pochi mesi la segnalazione nel Mantovano, da parte del tecnico Gianni Beltrami, di un’infestante ”sconosciuta”, apparsa improvvisamente, che ho classificato come l’ultima “ombra rossa (che più rossa non si può) apparsa in Italia: Euphorbia davidii che ha letteralmente assalito e soffocato le piante di soia in un appezzamento di circa 3 ettari alla periferia di Roverbella (foto 1).
Come riconoscerla
E. davidii è specie annuale, priva perciò di strutture perennanti (rizomi, tuberi, bulbi ecc), appartenente alla famiglia Euphorbiaceae. La plantula appena nata è caratterizzata da due foglie cotiledonari di forma spatolata (foto 2). La pianta adulta, di colore rossastro durante la maturazione dei semi (foto 3), raggiunge i 50-60 cm di altezza, sufficiente per sovrastare le piante di soia. Il fusto è ramificato, se reciso emette una linfa bianca e tossica. Le foglie sono opposte, pelose, di forma variabile tra l’ovale, il romboidale e l’ellissoidale e con il margine più o meno seghettato o dentato (foto 4). I fiori sono molto piccoli e incolori, riuniti in una infiorescenza detta ciazio formata da un solo fiore fertile femminile “insidiato” da diversi fiori maschili ridotti ognuno ad un solo stame. Il frutto è una capsula glabra arrossata verso la maturazione (foto 5), pressoché sferica e formata da tre spicchi contenenti ciascuno un seme rugoso scuro (foto 6) che ha alla base un aggregato di sostanze grasse e proteiche (caruncola).
Origine e diffusione
L’origine della specie viene individuata nel Nord America ma alcuni estendono la sua area di nascita al Messico e al Guatemala e altri ipotizzano l’origine argentina dove solo nel 1984 la specie è stata segnalata con il suo nome attuale ma che prima di quella data era erroneamente confusa (anche in Europa) con una specie molto simile: E. dentata.
Con il nome errato espatriò prima nell’America del sud e poi, negli anni sessanta dello scorso secolo, in Europa e in Australia. Relativamente alla sua residenza europea, è attualmente segnalata in 46 località di 10 Paesi. Gli ambienti principali dove è presente sono per lo più stazioni ferroviarie o le massicciate o le aree ruderali; solo una parte delle segnalazioni riguarda appezzamenti di modeste dimensioni coltivati prevalentemente con soia ma anche con mais, colture orticole e vigneti.
In Italia la presenza di E. davidii è stata riportata sul numero di giugno 2011 dell’Informatore Botanico Italiano (Barberis G., Nepi C., Peccenini S. & Peruzzi L.) che riferisce di un numero esiguo di piante presenti in aree ferroviarie o comunque in zone incolte della Valle Padana (Piemonte: Arona, Santhia, Chivasso; Veneto: Rosolina; Friuli Venezia Giulia: San Vito di Fagagna; Emilia-Romagna: Bologna, San Pietro in Casale).
Fino ad oggi nessuna segnalazione era però pervenuta riguardo alla specie come infestante.
Potenziale di diffusione
La diffusione di E. davidii è affidata esclusivamente ai semi che, essendo sprovvisti di strutture adeguate (ali, uncini, ecc.), sono difficilmente trasportabili da fattori ambientali sulle lunghe distanze; d’altro canto la loro tossicità esclude anche il loro trasporto per via “aerea” da parte di uccelli o di altri animali. La via più veloce di diffusione in luoghi distanti perciò è presumibile che avvenga per opera dell’uomo, con il trasporto di sementi inquinate (foto 7) o per altro mezzo.
Diverso è il discorso che riguarda le distanze brevi che il seme deve percorrere per allontanarsi dalla pianta madre che lo produce. In quest’ultimo caso esso può avvalersi di due meccanismi di diffusione che la natura gli ha fornito: può essere letteralmente fiondato, a brevi distanze, dal frutto maturo e, una volta arrivato sul terreno, può essere ulteriormente trasportato da insetti (formiche in particolare) che si cibano della loro caruncola (vedi prima) senza compromettere la loro facoltà germinativa. Inizialmente la specie si diffonde a chiazze sull’appezzamento ma negli anni la sua diffusione diventa capillare e può succedere, come nel caso di cui stiamo parlando, che il campo si presenti letteralmente invaso ed in modo uniforme dalle piante di euforbia (foto 8) con investimenti variabili tra 50 e 300 piante/m2.
Biologia e competizione
La specie è dotata di una discreta produzione di semi (da pochi a 400 per pianta) che rimangono vitali nel terreno anche per diversi anni e, posti in condizioni adatte di umidità e di temperatura, hanno pronta e abbondante facoltà germinativa.
La germinazione comunque può avvenire in un largo intervallo di temperature, tra 9 e 26°C, con un’accentuata scalarità di emergenza che le consente di nascere, nei nostri ambienti, dall’inizio della primavera a tutta l’estate, per cui, durante questo periodo può darsi che convivano piante in diversi stadi vegetativi. Secondo osservazioni fatte in Sud America la maggior parte (circa il 75%) dei semi si stratifica nel terreno nei primi 5 cm di profondità.
Bibliografia disponibile a richiesta
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