Il rapporto tra città e campagna è da anni all’attenzione di ricercatori, istituzioni e operatori, ma negli ultimi tempi ha assunto una rilevanza particolarmente evidente nelle indagini e nei dibattiti accademici, oltre che negli eventi divulgativi e informativi.
Di fatto, negli ultimi decenni l’agricoltura ha ampliato la sua sfera aggiungendo a quella produttiva funzioni percepite come fondamentali dall’odierna società come quelle sociale, ambientale e culturale. Anche dal punto di vista spaziale, spesso i confini tra i due contesti non risultano chiaramente distinti, con le città che si sono allargate assumendo forme e contorni che sfumano nella campagna, in un continuum di spazi verdi e spazi costruiti, tanto da dare luogo a locuzioni ormai universalmente riconosciute come agricoltura urbana e agricoltura peri-urbana, a indicare quelle attività che si svolgono, appunto, nelle o a ridosso delle città.
La complessità di questi spazi e della società che li usa per vivere e lavorare non riesce a essere ancora compresa dalle diverse discipline che l’approcciano in maniera settoriale.
Così può accadere che l’economia agraria definisca questa agricoltura come non professionale, riducendo anche l’attività di tanti imprenditori orientati al mercato a un’azione dimostrativa e didattica; che l’urbanistica non sia preparata a dare risposte a questi territori ibridi urbano-rurale definiti di volta in volta come “campagna urbanizzata” o zone di “urbanizzazione cui non compete il titolo di città”.
L’attenzione data da molti all’agricoltura urbana e peri-urbana, inoltre, risulta ancora troppo spesso concentrata soprattutto sugli aspetti di costume, più che sulle caratteristiche e sulle dimensioni di tali attività, come se nei contesti urbani le funzioni “altre” dell’agricoltura avessero preso il sopravvento su quelle produttive.
Da una lettura dei dati disponibili, invece, emerge un quadro differente, fatto di tante realtà produttive e orientate al mercato che svolgono la propria attività anche stringendo fitte relazioni con altri soggetti economici e sociali, oltre che con i consumatori, che convivono accanto ad altre realtà che utilizzano l’attività agricola soprattutto per produrre esternalità di tipo sociale, culturale, didattico. Per approfondire tali aspetti, l’Inea (ora Crea) già da qualche anno ha attivato un gruppo di lavoro che studia il fenomeno da più punti di vista e con l’utilizzo di diversi approcci: quantitativo e qualitativo, economico e spaziale, sociale e ambientale, che ha permesso di produrre un lavoro di analisi pubblicato nel volume “Agricoltura e città”
Peri-urbano e urbano
Gli spazi per la produzione orientata al mercato si trovano soprattutto ai margini delle città (agricoltura peri-urbana), mentre all’interno di esse sono presenti quasi esclusivamente spazi ridotti nei quali la funzione produttiva può avere difficoltà ad essere espletata (agricoltura urbana).
Nella prima la funzione economica è in genere prevalente, gli operatori si muovono in una visione imprenditoriale e sono alla ricerca di rapporti stabili con il mercato, anche se attraverso approcci nuovi, articolati e legati al contenuto innovativo del prodotto stesso. L’agricoltura urbana, invece, costituisce spesso un laboratorio di nuove esperienze sociali, in cui l’attività agricola si colloca al centro di funzioni complesse che vanno da quella didattica alla terapeutica, a quella ludico-ricreativa e aggregativa, fino alla gestione delle risorse naturali locali e alla cura del verde urbano.
Lo studio Crea parte dal presupposto che queste due realtà rispondano a esigenze economiche, sociali e ambientali diverse, anche se accomunate da rapporti con le città non più basati su un conflitto e sulla competizione delle risorse ma, al contrario, su un adattamento reciproco se non su vere e proprie sinergie.
Due terzi commercializzano direttamente
Per verificare tale ipotesi, sono stati analizzati, attraverso una lettura dell’ultimo censimento Istat, sette poli urbani – Torino, Genova, Milano, Monza e Brianza, Roma, Napoli e Palermo – in cui sono presenti oltre 6.000 aziende agricole, il 68,5% delle quali commercializza il proprio prodotto direttamente.
La Sau media aziendale, che supera i 10 ettari, varia molto tra le aziende dei diversi poli e all’interno di ciascun polo tra le aziende con vendita (oltre il 12%) e le aziende senza vendita (nemmeno il 3%). In questi poli urbani le aziende che svolgono attività connesse sono percentualmente di più di quelle che diversificano nel totale delle aziende italiane (il 9,7% contro il 4,7%) L’attività maggiormente diffusa tra le aziende peri-urbane è quella della sistemazione di parchi e giardini (24,5%), che conferma lo stretto rapporto tra queste aziende e il contesto urbano
In alcuni poli urbani (Roma, Milano, Genova) è presente un numero maggiore, in termini percentuali, di aziende reattive, cioè capaci di “reagire” ai cambiamenti circostanti a indicare, probabilmente, un processo di costruzione di una nuova idea di città. La differenza è data essenzialmente dalle strategie adottate dalle imprese e si ripercuote sulla scelta dell’orientamento produttivo, sull’articolazione delle attività di diversificazione, sulle modalità di commercializzazione, ma anche sulla composizione del reddito.
Il dominio degli orti residenziali
Per quanto riguarda l’agricoltura urbana, in mancanza di fonti informative complete, si è scelto di adottare un approccio spaziale, sfruttando la disponibilità di informazioni di tipo geografico open source, limitando l’analisi a Roma (entro il GRA) e Milano (tutto il territorio comunale). Le due città mostrano caratteristiche simili, anche se si sono sviluppate in tempi e con modalità differenti. Roma ha un paesaggio agricolo urbano amatoriale dominato storicamente da insediamenti non legalizzati che permane tuttora, anche se l’amministrazione ha iniziato recentemente ad affrontare la problematica con la realizzazione di iniziative di promozione e di regolamentazione, cosa avviata molto prima a Milano.
In tutte e due le città predomina la presenza di orti residenziali, quegli spazi adiacenti alle abitazioni che le famiglie coltivano per l’autoconsumo; a Roma essi occupano l’85% degli spazi mappati, mentre a Milano sono il 63%. Differenze maggiori si riscontrano sugli orti condivisi, che a Milano sono il 29% mentre a Roma solo il 5%, a conferma dei processi differenti in atto. In entrambe le città, inoltre, sono presenti orti istituzionali, realizzati da scuole, istituti religioni, ospedali, ecc., che coprono il 6% degli spazi mappati a Milano e l’8% a Roma.
Il lavoro realizzato mostra, dunque, una ricchezza di percorsi e di risultati, illustrata bene nei casi studio e nelle esperienze presentate nel volume “Agricoltura e città”. L’accento è posto su un’agricoltura dinamica, capace di rispondere ai bisogni dei cittadini e alle nuove visioni di una società che muta nei valori, negli stili di vita e nelle modalità di fare impresa.
La bibliografia è reperibile presso l’autrice
Leggi l'articolo completo su Terra e Vita 03/2016 L’Edicola di Terra e Vita