Siamo entrati in casa Crespi, in Corso Venezia, nel cuore di Milano, in punta di piedi. Donna Giulia Maria, 93 anni, presidente onoraria del Fai, ci ha accolto nel salottino privato, pieno di fiori e altri preziosismi. Sul tappeto, ai suoi piedi il suo cane lupo. Quadri antichi alle pareti. Libri ovunque, impilati su diversi tavolini. Austera ma allo stesso tempo molto disponibile, ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Agricoltore, ambientalista, e fondatrice del Fai, – le abbiamo chiesto – in quale di queste figure lei si riconosce meglio?
«Sicuramente ambientalista, che riunisce poi tutte e tre le figure».
Come concilia la sua battaglia per la salvaguardia del patrimonio artistico e ambientale, con l’agricoltura a basso impatto ambientale e la biodinamica nella fattispecie?
«Secondo me tutto è collegato, ma la maggior parte della gente non se ne rende conto. Se i beni artistici sono circondati da brutture la loro “magia” svanisce. Oggi purtroppo gli uomini stanno trattando la terra con troppa sufficienza adottando una cementificazione selvaggia e realizzando costruzioni in zone pericolose, contribuendo a deturpare l’ambiente e a favorire frane e alluvioni. Non bisogna invece mai dimenticarsi della “madre terra” perché si può fare a meno di tutto ma non di mangiare! Inoltre sono anche preoccupata per la salute degli uomini e ritengo che i prodotti chimici che vengono messi nel terreno dovrebbero essere utilizzati con più attenzione. Ecco dunque che arte, ambiente e agricoltura si fondono…».
I terreni gestiti dal Fai verranno convertiti alla biodinamica?
«Dove possibile si cercherà di farlo. In alcuni si è già fatto. E dove non è possibile si cercherà comunque di usare meno chimica possibile».
Perché la biodinamica fa fatica a farsi strada?
«I motivi sono molti. In agricoltura biologica e biodinamica non si usano prodotti chimici di sintesi, il che rappresenta un valore aggiunto per gli alimenti bio che non va sottovalutato se davvero si vuole garantire ai cittadini la sicurezza alimentare. In più la crescente richiesta di prodotti biologici e biodinamici da parte dei mercati internazionali scatena antagonismi e fortissimi attacchi. Malgrado ci siano evidenze scientifiche che confermano la validità di queste produzioni (Sustainability of organic food production. Proceeding of nutrition society 2015) questo costituisce una preoccupazione per le multinazionali che sono potenti compagnie che governano il mondo al di sopra dei poteri politici».
Scienza o stregoneria?
Cosa risponde a chi dice la biodinamica è una stregoneria?
«Cinquanta anni fa l’aveva scritto anche Montanelli. Io non rispondo a queste provocazioni e dico soltanto: assaggiate i prodotti biodinamici e osservate la loro durabilità. Consiglio, fra l’altro, di andare a vedere le diverse pubblicazioni scientifiche validate. Ad esempio la ricerca Doc dell’istituto svizzero Fibl (www.fibl.ch); le ricerche sulla qualità soprattutto dei cereali portate avanti da oltre vent’anni dalla professoressa Lucietta Betti dell’Università di Bologna mediante analisi cristallografiche con microscopio in campo oscuro. Ripeto, ricerche e dati sono tutti pubblicati da prestigiose riviste scientifiche internazionali. I sapori dei prodotti bio sono diversi… ma purtroppo la maggior parte delle persone ha perso il gusto dei sapori veri».
Come si evidenzia la scientificità del biodinamico? Il prossimo convegno di Milano potrebbe dare concrete risposte?
«Certo, ai nostri convegni contribuiscono da anni scienziati di rilievo. Ma secondo me per dimostrare la validità di questa pratica agricola bisogna partire da premesse totalmente diverse dalle attuali. Se si parte unicamente dalla ricerca delle sostanze e non della qualità, non ci siamo. Bisogna infatti considerare che nella sostanza, nella terra, c’è qualche altra cosa. La vita non si genera dalla materia».
La biodinamica prevede il ritorno al lavoro manuale, ma questo non è un passo indietro?
«Non è corretto. La Biodinamica richiede un maggior impiego di manodopera, ma è un lavoro comunque per gran parte meccanizzato, ci tengo a sottolineare che questo maggior impiego riveste un ruolo sociale molto importante e inoltre riveste anche un ruolo urbanistico e paesaggistico, i lavoratori agricoli per la gran parte occupano i fabbricati aziendali giustificando la manutenzione e conservazione delle cascine che in molte aziende stanno crollando perché la monocultura richiede poca mano d’opera.Uno degli obbiettivi del convegno di novembre dell’Associazione Biodinamica, in collaborazione con il Fai, è proprio quello di indicare le nuove tecnologie per favorire la coltivazione biologica e biodinamica».
Il “paradiso” di Sekem
Secondo lei se l’agricoltura biodinamica fosse utilizzata in tutto il mondo al posto dell’agricoltura convenzionale, che produce molto di più, sarebbe in grado di nutrire tutti quanti?
«La risposta più semplice sarebbe “no”, ma dobbiamo fare un ragionamento più ampio. Le previsioni dicono che nel 2050 ci saranno da nutrire 9 miliardi di persone, circa il 30% in più di quelle attuali. È necessario raddoppiare le produzioni? Chi avesse qualche interesse di parte risponderebbe di sì. Valutati obiettivamente, i dati indicano che la domanda aumenterà ma a condizione che si continui a mangiare in eccesso, a sprecare sempre più cibo, a consumare sempre più carne (Science 2010; www.sciencemag.org). Dati Fao (www.fao.org) dicono che oggi lo spreco di alimenti prodotti è esattamente del 30%. Ricerche recentissime hanno invece dimostrato che la produzione bio può essere uguale, se non superiore, a quella convenzionale se si fanno scelte agronomiche corrette (Sustainability of organic food products. Proc Nutr Soc 2015; Comparing the yields of organic and conventional agriculture. Nature 2015).
È il caso del deserto di Sekem, una storia affascinante. Nella mia azienda, dove faccio agricoltura biodinamica dalla fine degli ’70, abbiamo da subito iniziato a tenere corsi di formazione, che continuiamo a fare ancora. Ai nostri corsi partecipò per due anni consecutivi un egiziano, un certo Abouleish, che voleva portare la biodinamica nel deserto. Lo presi per matto.
Oggi questo personaggio ha realizzato nel cuore del deserto a Sekem (www.sekem.org), 60 chilometri a nordest del Cairo, una sorta di “paradiso”, dove accanto all’attività agricola ci sono scuole, una università, laboratori, altre 85 aziende agricole si sono aggregate a loro. Insieme danno lavoro a 12 mila persone. Sekem non è un miraggio, ma il frutto dell’agricoltura biodinamica. Un complesso sorto trent’anni fa tra le sabbie del deserto che oggi si nutre con i prodotti della propria terra.
Nell’antica lingua egiziana Sekem significa “vitalità dal sole” e nel progetto di Ibrahim Abouleish la forza del sole dona la vita a 20mila ettari di terra desertica, permettendo a una città di alimentarsi grazie alla verdura fresca, al latte, al tè e al cotone coltivati con l’agricoltura biodinamica e di sostenersi attraverso il commercio equo e solidale di prodotti con il marchio Demeter.
In Australia abbiamo importanti esempi simili. Certo è, che ci vuole qualcuno che ci creda e che sia disposto a lavorare sodo e a investire.La riconversione della terra è il momento più importante e più faticoso. Dipende poi dalla tipologia di terra con cui abbiamo a che fare».
Riacquistare consapevolezza
La biodinamica può garantire un reddito all’agricoltore?
«Qui il discorso si complica. Al giorno d’oggi si preferisce spendere per l’ultimo modello di smartphone piuttosto che per un cibo Bio di qualità. Un tempo più della metà dello stipendio andava per l’acquisto di cibo, oggi invece solo un terzo o addirittura un quarto viene speso per alimenti. Crescono le malattie, le allergie, i tumori, che oggi addirittura non fanno più scalpore. Ma la gente, che non realizza questo, si ammala andando a costituire un costo per lo Stato. Dovremmo dunque riacquistare consapevolezza dell’importanza di quello che si mangia. Proprio per questo diversi alimenti biodinamici già ora non sono sufficienti rispetto alle richieste che abbiamo. Non dimentichiamo il livello ambientale dei terreni - coltivati con agricoltura biodinamica che grazie all’elevato tenore di humus trattengono meglio l’acqua e risultano più resistenti alla siccità e alle alluvioni. Sono tutti plus che non vengono adeguatamente remunerati all’agricoltore».
Cosa non piace, in particolare, della biodinamica?
«Non piace che emerga la modernità e la concreta efficacia della biodinamica nel garantire la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente, come è emerso anche dagli articolo pubblicati sulla vostra rivista Terra e Vita. Fino a che qualcuno diceva che si trattava di una pratica magica la biodinamica non faceva paura a nessuno; oggi finalmente viene riconosciuta per la sua vera natura e il convegno che si terrà a novembre a Milano ne sarà l’ennesima prova».