Centinaia di piantine in vasetti di vetro si riproducono velocemente nel laboratorio di micropropagazione di Marco Fanna a Moimacco, a pochi chilometri da Udine. In un ambiente costantemente immerso nella luce a neon si attua un procedimento che, almeno nel Triveneto, non ha eguali e sembra rendere molto, in termini di clonazione di diverse specie ortofrutticole e vegetali. Tra queste troviamo delle piante per biomassa e ornamentali di difficile riproduzione con i metodi tradizionali.
Le piante madri derivano da materiale selezionato proveniente da istituti o centri che certificano l'elevata qualità e la sanità delle piante che poi il giovane Marco, insieme al padre e titolare dell'azienda, clona.
Con 23 anni da compiere a marzo e in tasca un diploma di tecnico commerciale, Marco lavora in azienda da due anni e mezzo ed è già noto per aver ricevuto, lo scorso anno, uno dei sei Oscar Green di Coldiretti in Friuli Venezia Giulia per la categoria Impresa 3.Terra la quale racchiudeva progetti capaci di valorizzare nuovi percorsi tecnologici di innovazione e comunicazione.
In cosa consiste la vostra attività?
«Principalmente – risponde Fanna - nella riproduzione di piante nell'ambito frutticolo, come il kiwi e il melograno, per aziende nazionali e internazionali che le usano per la creazione di impianti destinati alla produzione di frutta. Il procedimento è questo: prendiamo una gemma dalla pianta madre e la inseriamo in un ambiente protetto, dentro a dei vasi dove introduciamo una particolare gelatina. Quest’ultima è composta da acqua demineralizzata a cui aggiungiamo dei sali minerali, dell’agar-agar, degli zuccheri, delle vitamine e delle piccole dosi di ormoni, pochi milligrammi per litro. La pianta cresce poi per allungamento o radicazione o accestimento. La caratteristica principale del procedimento è che ogni piantina che nasce è uguale alla precedente: questa è la propagazione che molti chiamano “clonazione”».
Si riescono ad ottenere molti “cloni” in questo modo?
«Il ciclo medio iniziale è di 40 giorni – spiega il giovane ricercatore -, poi si passa alla moltiplicazione delle piante. Da 10 vasi si arriva a 40, da 40 a 120. In pratica, si triplicano o si quadruplicano le piante iniziali».
In Friuli Venezia Giulia non c’è nessun altro che si occupa di micropropagazione. Praticamente non c’è concorrenza, al momento?
«In effetti è una pratica poco conosciuta, se non nell’ambito della ricerca. Per questo lavoriamo per l’Università di Udine, dato che sono procedure in fase di studio. So che in Triveneto sono l’unico e mi risulta che in Emilia-Romagna ci siano due o tre laboratori di questo tipo».
Questa pratica quindi dove è più diffusa?
«In Olanda ci sono parecchie attività del genere».
Sembra un metodo di coltivazione semplice, almeno in apparenza.
«Apparentemente, ma il lavoro è piuttosto difficile. Ci vuole molta manualità e attenzione perché il pericolo di contaminazione è decisamente alto».
Cosa succede in caso di contaminazione?
«Uno dei rischi maggiori – risponde Fanna - sono le muffe. Per questo facciamo parecchia attenzione quando dobbiamo trattare il mezzo di coltura e quando procediamo con la sterilizzazione tramite un autoclave».
Utilizzate solo dei contenitori in vetro?
«Durante la prima fase del lavoro sì, creano un clima migliore per le piante. Quando si passa alla produzione di massa usiamo la plastica. Dopo questo step – precisa Fanna - le piante finiscono nelle sale di coltura climatizzate, dove la temperatura minima notturna è di 20 gradi e la massima diurna di 23. Sono stanze illuminate a led, dove si alternano 16 ore di luce e 8 di buio. L’ultimo passaggio vede la pianta all’esterno, in una serra dove viene radicata per poi essere messa in campo. Qui ci affidiamo ad altri. Non a caso il mio prossimo progetto porterà alla costruzione di una serra mia entro quest’anno. Costituiremo quindi un’altra società, oltre a quella di mio padre».
Quali sono e dove si trovano i tuoi clienti ora?
«Lavoriamo molto con l’estero, giusto in questi giorni sto curando una spedizione da 8.000 piante verso il Cile».
Che tipo di piante trattate?
«Principalmente da frutto. Oltre al kiwi e al melograno anche mirtilli, lamponi e Goji. Stiamo sviluppando anche un nuovo progetto con la Paulonia per produrre biomassa, una pianta utilizzata in diversi settori legati al lusso, come ad esempio la costruzione di yacht. Ha un valore del legno piuttosto alto – sottolinea Fanna - perché è una specie molto resistente al fuoco. Si usa parecchio all’estero. Inoltre, ci sono interessanti contributi europei per questa coltivazione. Trattiamo anche il Miscanto e poi l’Amelanchier, un melo “di bellezza”».
Qual è la storia dell’azienda Fanna?
«Tutto è iniziato con mio padre. Nel 2000 si occupava di piante ornamentali, un mercato che è stato preso d’assalto dalle ditte olandesi e che poi è morto. Il laboratorio di micropropagazione esiste praticamente da 20 anni».
Quante persone lavorano qui?
«Ci sono quattro persone fisse in tutto. Con la serra spero ci saranno ulteriori sviluppi».